Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22192 del 03/11/2016


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Cassazione civile sez. trib., 03/11/2016, (ud. 08/07/2016, dep. 03/11/2016), n.22192

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9647/2010 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

M.P., elettivamente domiciliata in ROMA VIA BIAGIO

PETROCELLI 224, presso lo studio dell’avvocato DAYSA GIACANI, che la

rappresenta e difende giusta delega a margine;

– controricorrente –

sul ricorso 285062012 proposto da:

M.P., elettivamente domiciliata in ROMA VIA BIAGIO

PETROCELLI 224, presso lo studio dell’avvocato DAYSA GIACANI, che la

rappresenta e difende giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 28/2009 della COMM. TRIB. REG. del LAZIO,

depositata il 19/02/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/07/2016 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;

udito per la controricorrente l’Avvocato GIACANI che si riporta agli

atti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

dell’Agenzia delle Entrate, rigetto ricorso della contribuente.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M.C. con ricorso del 22 febbraio 2005, presentato alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, si opponeva all’iscrizione a ruolo della cartella di pagamento emessa dall’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Roma, notificata il 16 dicembre 2004, per il pagamento dell’IRPEF, ILOR, interessi e sanzioni, anno di imposta 1997. Si precisava che la cartella di pagamento veniva notificata alla contribuente in quanto socia della società La Stella V.M. e C. sas.

La Commissione Tributaria Provinciale di Roma accoglieva il ricorso. Secondo la CTP di Roma l’Ufficio, quale soggetto attivo doveva documentare quanto affermato sulla data dell’avviso di accertamento della società La Stella V.M. e C. sas., indicata genericamente come avvenuta prima dell’1 gennaio 2003, senza però aver dimostrato quanto affermato. E di più, vi era stata inerzia dell’Ufficio in merito alla presentazione dell’istanza di autotutela del contribuente, violando in tal modo i principi sanciti dallo Statuto del contribuente.

La Commissione Tributaria Regionale del Lazio, pronunciandosi su appello dell’Agenzia delle Entrate, con sentenza n. 28/28/09, rigettava l’appello e confermava la sentenza della CTP di Roma, compensava le spese. Secondo la CTR del Lazio, posto che l’avviso di accertamento alla società era stato notificato oltre il termine del 31 dicembre 2002, non poteva che annullare l’iscrizione a ruolo della cartella di pagamento, emessa per il socio della società.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta dall’Agenzia delle Entrate di Roma con ricorso affidato ad un motivo. M.P. ha resistito con controricorso.

La sig.ra M. con ricorso notificato il 7 dicembre 2012 ha impugnato, in ragione dell’art. 16, comma 8, richiamato dal D.L. n. 98 del 2011, art. 39 comma 12, convertito nella L. n. 14 del 2012, il diniego di definizione di lite pendente presso la Corte di Cassazione con NGR 9647 del 2010. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

A.- Ricorso principale.

1.- Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate lamenta la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 19 e 21, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Secondo la ricorrente, la Commissione Tributaria Regionale avrebbe annullato la cartella di pagamento oggetto del giudizio accogliendo doglianze articolate dalla contribuente in ordine alla fondatezza della pretesa impositiva, benchè risultasse acclarato e pacifico dagli atti di causa che detta cartella traesse origine da un avviso di accertamento emesso nei confronti della sig.ra M.P. e divenuto definitivo per mancata impugnazione da parte della contribuente tessa.

Pertanto, conclude la ricorrente, dica la Suprema Corte: se la cartella di pagamento emessa in esito ad avviso di accertamento divenuto definitivo per mancata impugnazione, sia impugnabile solo per vizi propri e, non anche per vizi che avrebbero potuto/dovuto essere denunziati in relazione all’atto presupposto (non tempestivamente impugnato) e se, conseguentemente, violi del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 19 e 21, la sentenza della CTR che investita dell’impugnativa della cartella esattoriale emessa nei confronti della società sas. per redditi non dichiarati da partecipazione alla società medesima e sulla base di avviso di accertamento emesso direttamente nei confronti della socia e (pacificamente) divenuto definitiva per mancata impugnazione da parte della stessa annulli la conseguente cartella di pagamento (erroneamente), ritenendo fondate le censure non tempestivamente formulate mediante l’impugnazione dell’avviso di accertamento presupposto, non costituendo vizi propri della cartella, non potessero essere sollevate per la prima volta in sede di impugnazione di quest’ultima.

1.1.- Il motivo è fondato.

La giurisprudenza di questa Corte è pacifica nel senso che la cartella di pagamento non può essere impugnata per vizi che attengono l’accertamento fiscale, potendosi appuntare le doglianze della parte contribuente unicamente sui vizi propri dell’atto, a meno che l’atto stesso non abbia il contenuto sostanziale dell’accertamento e il contribuente era venuto a conoscenza della pretesa impositiva, solo con la notificazione della cartella predetta. (cfr., ex plurimis, Cass. 4818 del 2015, ivi ulteriori indicazioni).

E, questa Corte ha già ampiamente chiarito che, in ordine ai rapporti fra giudizio relativo all’accertamento e procedimento contro la cartella non è configurabile un rapporto di continenza, ex art. 39 c.p.c., comma 2, tra le cause aventi ad oggetto l’impugnazione, rispettivamente, della cartella di pagamento e dell’avviso di accertamento, in quanto la cartella è impugnabile solo per vizi propri, essendo precluso proporre avverso la stessa vizi di merito relativi all’avviso di accertamento, a loro volta proponibili soltanto nel diverso giudizio promosso per il suo annullamento, sì che sussiste tra le due cause diversità della “causa petendi” e, per l’effetto, del “thema decidendum”; tra le due cause difetta inoltre l’identità anche parziale dei fatti costitutivi oggetto di accertamento, in presenza della quale è rinvenibile quel nesso di pregiudizialità logica e giuridica che giustifica, per effetto della continenza, lo spostamento di una causa da un giudice ad un altro in deroga alle ordinarie regole sulla competenza territoriale. Irrilevante, infine, è la relazione che lega l’efficacia della cartella, quale atto esecutivo, al permanere in vita dell’avviso di accertamento, in quanto tale rapporto non scalfisce l’autonomia e l’indipendenza dei due giudizi, ma può soltanto portare ad affermare in capo al contribuente il diritto al rimborso di quanto versato, nel caso in cui il giudizio di accertamento porti ad un esito a lui favorevole.

1.2. Inconferente, e, comunque, infondata, è, altresì, l’eccezione avanzata, neppure in modo chiaro, dalla controricorrente, secondo la quale la sentenza impugnata avrebbe annullato la cartella di pagamento per due ordini di ragioni differenti e uno di questi sarebbe dato dal fatto che l’Agenzia delle Entrate non avrebbe impugnato l’annullamento della cartella, con il ricorso in cassazione, rendendo, perciò, impraticabile una riforma della sentenza impugnata. In particolare, secondo la controricorrente, la CTR di Roma avrebbe annullato la cartella di pagamento, anche per gli effetti preclusivi della posizione del socio relativa al condono tombale presentato dalla società, ai sensi della L. n. 282 del 1992, art. 9, la quale questione aveva costituito oggetto di specifica pronuncia da parte della CTR di Roma. E’ inconferente sia perchè la sentenza non fa alcun riferimento ad un condono tombale presentato dalla società cui farebbe parte la stessa controricorrente, sia perchè gli effetti del condono tombale presentato dalla società non potrebbero essere estesi alla socia e non foss’altro perchè la cartella oggetto del giudizio trovava il suo fondamento in un accertamento emesso direttamente nei confronti della socia e divenuto definitivo, sia ancora perchè la CTR di Roma nella motivazione specifica semplicemente che la cartella andava annullata perchè l’avviso di accertamento era stato notificato oltre il 31 dicembre 2002 e cioè oltre i termini di legge.

B.- Ricorso avverso diniego definizione lite pendente.

2. Con il primo motivo la sig.ra M.P. lamenta la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, conv. nella L. n. 14 del 2012, nonchè della L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 3 e dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Secondo la M., erroneamente l’Agenzia delle Entrate di Roma avrebbe rigettato l’istanza di definizione della lite fiscale pendente sul presupposto che la lite dipendente davanti alla Corte di Cassazione avente ad oggetto la cartella di pagamento non potesse essere definita quale lite pendente perchè la cartella di pagamento non può che essere considerata tra “le liti pendenti” di cui parla il comma 12 dell’art. 39 già richiamato se non altro perchè la finalità della norma è quella di ridurre il numero delle pendenze e liberare risorse dell’Amministrazione finanziaria.

2.1.- La censura è infondata.

E’ sufficiente richiamare il principio, numerose volte insegnato da codesta Corte, quello secondo cui: “In materia definizione agevolata prevista dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, non può ritenersi lite fiscale pendente la controversia introdotta con l’impugnazione di una cartella di pagamento recante le somme dovute a seguito di un avviso di accertamento notificato e non impugnato, trattandosi di atto che si esaurisce nel l’intimazione al versamento della somma dovuta in base ad una pretesa fiscale ormai definitiva e non integra un nuovo ed autonomo atto impositivo”. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 27163 del 04/12/2013).

3.- Con il secondo motivo M.P. lamenta la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, conv. nella L. n. 14 del 2012, nonchè della L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 3, con riferimento specifico alla motivazione del diniego della definizione in relazione alla esatta natura della lite pendente di specie.

Secondo la ricorrente M. l’Agenzia delle Entrate di Roma non avrebbe tenuto conto che la vicenda processuale non riguardava la cartella di pagamento riguardava anche gli effetti preclusivi per le posizioni dei soci da parte del condono tombale presentato dalla società ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9. Il mancato riferimento a tale esatta natura della lite pendente da parte del provvedimento notificato all’Agenzia delle Entrate lo rende evidentemente illegittimo per carenza assoluta di conferente motivazione del diniego.

3.1.- Il motivo non merita di essere accolto, posto che i dati richiamati dalla M. integrano gli estremi di eccezioni difensive, ma non idonei a modificare l’oggetto del giudizio che è e rimane la validità della cartella di pagamento.

In definitiva, va accolto il ricorso principale, e rigettato il ricorso avverso diniego definizione lite pendente. La sentenza impugnata va cassata e non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la Corte giudica nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., rigettando il ricorso introduttivo del contribuente. La particolarità della questione esaminata, l’andamento dell’intero giudizio nonchè la reciproca soccombenza nel giudizio di cassazione, sono ragioni sufficienti per compensare le spese dell’intero giudizio.

PQM

La Corte accoglie il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta il ricorso introduttivo del contribuente, compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria della Corte Suprema di Cassazione, il 8 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2016

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