Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22190 del 14/10/2020

Cassazione civile sez. II, 14/10/2020, (ud. 13/02/2020, dep. 14/10/2020), n.22190

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4653/2016 proposto da:

B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato RENZO PASQUALETTI;

– ricorrente –

contro

V.G., BAR CENTRALE DI V. G E C SNC, quale

titolare dell’omonima impresa individuale e, in persona dei soci e

legali rappresentanti, elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA

SALLUSTIO 9, presso lo studio dell’avvocato LORENZO SPALLINA, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FABIO MENICHETTI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1319/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 13/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/02/2020 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

udito l’Avvocato SPALLINA Lorenzo, difensore dei resistenti che si

riporta agli atti depositati.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione del 19 giugno 2002 V.G. e la società Bar Centrale di V.G. & C. s.n.c. convenivano in giudizio B.G., chiedendo che venisse dichiarata la risoluzione del contratto preliminare di compravendita, stipulato tra le parti in relazione al complesso aziendale costituito dal Bar Centrale di V.G. & C. e dall’impresa individuale V.G., risoluzione derivante dalla clausola risolutiva espressa prevista dal contratto, operante in caso di mancato pagamento anche di una sola rata del prezzo per inadempimento di B., con conseguente condanna di quest’ultimo al risarcimento dei danni subiti. Costituitosi in giudizio, B. domandava in via riconvenzionale la condanna degli attori al risarcimento del danno per il mancato utilizzo delle aziende.

Il Tribunale di Firenze, sezione distaccata di Empoli, con sentenza n. 131/2011, pur dando atto del parziale inadempimento del convenuto (mancato pagamento di Lire 30.120.000 a fronte dei 500.000.000 di lire pattuiti), ha rigettato la domanda attorea, ritenendo applicabile al caso di specie l’art. 1525 c.c. e ha rigettato pure la domanda proposta in via riconvenzionale dal convenuto per mancanza di prove.

2. Avverso tale sentenza proponevano appello V.G. e la società Bar Centrale di V.G. & C. s.n.c., lamentando l’erronea applicazione dell’art. 1525 c.c., al caso di specie nonchè l’erronea quantificazione dell’inadempimento in Lire 30.120.000 anzichè in Lire 283.356.000, come provato in atti. B. spiegava appello incidentale in punto rigetto della propria pretesa risarcitoria.

La Corte d’appello di Firenze, preliminarmente condivisa l’interpretazione del contratto operata dal giudice di prime cure quale contratto di vendita con patto di riservato dominio anzichè quale contratto preliminare, riteneva però inapplicabile al caso di specie l’art. 1525 c.c., essendo più d’una le rate non pagate da B.. Pertanto, con sentenza 30 luglio 2015, n. 1319, in riforma dell’impugnata sentenza, il Tribunale dichiarava la risoluzione del contratto, confermava l’ordinanza di restituzione agli appellanti delle aziende oggetto di compravendita, emessa dal Tribunale di Firenze in data 18 maggio 2002 in seguito a ricorso ex art. 700 c.p.c. e, operata la compensazione tra il dare e l’avere delle parti, condannava l’appellato al pagamento della somma residua di Euro 15.857,50; dichiarava invece inammissibile, per genericità dei motivi, l’appello incidentale.

3. Contro la sentenza ricorre per cassazione B.G.. Resistono con controricorso V.G. e la società Bar Centrale di V.G. & C. s.n.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

I. Il ricorso è articolato in quattordici motivi, che riportano quasi tutti la seguente rubrica: “ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione e/o falsa applicazione del principio fondamentale dell’uomo del ricorrente sig. B.G. di peaceful enjoyment of his possessions di cui all’art. 1 prot. 1 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo ex artt. 2 e 117 Cost. Italiana, con violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2 Cost., comma 1 e/o art. 117 Cost. italiana, oltre che violazione e/o falsa applicazione dell’art. 42 Cost. italiana, ed oltre che per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1525,1526,1362,1363,1325,1455 e 1341 c.c., artt. 112 e 228 c.p.c., anche in relazione a questi stessi; e ovvero in subordine, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ex art. 112 c.p.c. ed ex art. 228 c.p.c. e del principio della completezza della prova formatasi in appello; e ovvero in ulteriore subordine ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omessa valutazione di una circostanza essenziale, sulla quale vi è stato contraddittorio tra le parti, prova documentale, confessione adversa e comunque nessuna contestazione da parte avversa”.

1) Per il primo motivo – la rubrica è sopra riportata – la Corte d’appello avrebbe disatteso la lettera e comunque l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 1525 c.c., così che il ricorrente chiede al Collegio di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’articolo nella interpretazione seguita dal giudice d’appello.

Il motivo non può essere accolto. La Corte d’appello non ha disatteso nè la lettera nè l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 1525 c.c.. L’applicazione della disposizione è infatti stata esclusa perchè le rate, a prescindere dal loro ammontare, erano più di una (p. 11 della sentenza impugnata). In tal modo il giudice ha rispettato la lettera dell’articolo (“nonostante patto contrario, il mancato pagamento di una sola rata, che non superi l’ottava parte del prezzo, non dà luogo alla risoluzione del contratto”) e il suo scopo, che è quello di limitare l’autonomia contrattuale attraverso “l’eteroregolamentazione legale che richiede, affinchè la vendita possa risolversi su domanda del venditore rimasto creditore del prezzo, che il compratore non sia inadempiente per il mancato pagamento di una sola rata che non superi l’ottava parte del prezzo”, con “la rilevanza dell’inadempimento tipizzata dall’ordinamento che preclude al venditore o al suo cessionario di poter chiedere la risoluzione oltre i limiti della rilevanza legale” (Cass., sez. un., n. 11718/1993), senza per questo violare le svariate norme costituzionali e sovranazionali richiamate dal ricorrente.

Quanto alla richiesta di sollevare la questione di legittimità costituzionale essendo necessaria una lettura costituzionalmente orientata della disposizione, la richiesta è inammissibile, spettando l’interpretazione conforme al giudice ordinario.

2) Per il secondo motivo – la rubrica è sopra riportata – la Corte d’appello non ha tenuto conto “della circostanza essenziale della successiva e continua presentazione all’incasso delle successive cambiali, rispetto a quelle chiamate a fondare il ricorso ex art. 700 e la risoluzione automatica”.

Il motivo non può essere accolto. Il giudice d’appello ha basato la propria decisione sul mancato pagamento di più di una rata (dal 15 ottobre 2001 al 6 o 15 febbraio 2002), così che l’eventuale successiva presentazione all’incasso delle cambiali non è circostanza decisiva.

3) Per il terzo motivo – la rubrica è sopra riportata l’inadempimento fatto valere da controparte sarebbe riconducibile al previo grave inadempimento della medesima rispetto alla “clausola 7/a del contratto”, per “omessa stipulazione con il ricorrente compratore B. del nuovo contratto e delle sue condizioni economiche peggiorative in danno del B. stesso”.

Il motivo non può essere accolto. Il giudice d’appello, attesa la natura di vendita con riserva della proprietà del contratto e la previsione della clausola risolutiva espressa collegata al mancato pagamento di una sola rata, ha dichiarato la risoluzione del contratto, risoluzione del contratto che non opera ope iudicis, non è cioè sottoposta al controllo giudiziale sulla notevole importanza dell’inadempimento di cui all’art. 1455 c.c.: essendo la risoluzione ope legis, “basta la richiesta del creditore per far scattare la risoluzione, senza che sia necessaria l’azione giudiziaria che accerti e controlli la rilevanza dell’inadempimento e all’esito dichiari l’avvenuta risoluzione” (Cass., sez. un., n. 11718/1993, già richiamata), così che diviene irrilevante, rispetto alla risoluzione del contratto, l’eventuale inadempimento del venditore.

4) Per il quarto motivo – la rubrica è sopra riportata – la Corte d’appello avrebbe dovuto tenere conto ai fini della rilevanza dell’inadempimento che le somme pagate da B. ammontano a Lire 323.169.180 e considerare che l’inadempimento era comunque giustificato dall’illecita maggiorazione del contratto di locazione.

Il motivo non può essere accolto. Come nel precedente motivo, il ricorrente non considera che il giudice d’appello ha dichiarato risolto il contratto ope legis e non ope iudicis, quindi senza un controllo della rilevanza dell’inadempimento.

5) Per il quinto motivo – la rubrica è sopra riportata – la Corte d’appello ha disatteso le confessioni rese nell’interrogatorio formale da V.G., così come le dichiarazioni testimoniali “tutte favorevoli a B.”.

Il motivo è inammissibile in quanto chiede a questa Corte – senza trascrivere, in particolare per le dichiarazioni dei testimoni, i capitoli di prova e le dichiarazioni rese – di valutare elementi di prova, valutazione che spetta al giudice di merito e non a questa Corte di legittimità.

6) Per il sesto motivo – che riporta “ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione e/o falsa applicazione della L. n. 1923 del 1957, art. 31 e, ovvero in subordine, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ex artt. 112 e 115 c.p.c., ed ex art. 228 c.p.c. e del principio della completezza della prova formatasi in appello; e ovvero in ulteriore subordine ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omessa valutazione di una circostanza essenziale, sulla quale vi è stato contraddittorio tra le parti, prova documentale, confessione adversa e comunque nessuna contestazione da parte avversa” – la consulenza tecnica d’ufficio “è del tutto infondata” non avendo V. titolo rispetto all’assegnazione della rivendita ed avendo la medesima consulenza disatteso le risultanze testimoniali.

Il motivo è inammissibile perchè – come nel motivo precedente si chiede a questa Corte di valutare elementi di prova che vengono solo genericamente richiamati, ma non specificamente riportati.

7) Per il settimo motivo – la rubrica è sopra riprodotta – la Corte d’appello ha disatteso “l’inesistenza, la nullità, l’inefficacia, l’irrilevanza della consulenza tecnica d’ufficio, sempre determinata dal dispregio delle preclusioni istruttorie e confessorie e testimoniali”.

Il motivo, generico nella individuazione dei vizi da cui sarebbe affetta la consulenza tecnica d’ufficio, è comunque inammissibile in quanto chiede a questa Corte di legittimità una rivalutazione del mezzo istruttorio.

8) L’ottavo motivo – che riporta “ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 334 e 342 c.p.c. e ovvero in subordine, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ex artt. 334,342,112,228,183 e 184 c.p.c., del principio della completezza della prova formatasi in appello; e ovvero in ulteriore subordine ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omessa valutazione di una circostanza essenziale, sulla quale vi è stato contraddittorio tra le parti, prova documentale, confessione adversa e comunque nessuna contestazione da parte avversa” – lamenta la declaratoria di inammissibilità dell’appello incidentale proposto dal ricorrente.

Il motivo – del quale non si comprende il richiamo alla giurisprudenza “tutta in materia di diritto amministrativo” – è inammissibile perchè generico, non riportando i motivi dell’appello incidentale.

9) Il nono motivo, dopo la rubrica sopra riprodotta, lamenta “l’omessa valutazione della nullità di ogni atto processuale di ogni grado e/o fase in quanto sottoscritti unicamente da un solo socio e non come necessario da tutti”.

Il motivo è inammissibile nella sua genericità e apoditticità, e sembra sottendere che tutti gli atti del processo debbano essere sottoscritti personalmente dalla parte (pur rappresentata in giudizio da un difensore) e in particolare da tutti i soci di una società in nome collettivo.

10) Il decimo motivo, dopo la rubrica sopra riportata, si limita a contestare “omessa valutazione della vessatorietà dell’art. 700 c.p.c., in quanto non espressamente richiamato e sottoscritto ex art. 1341 c.c.”.

Il motivo, assolutamente generico, è inammissibile.

11) L’undicesimo motivo – la rubrica è sopra riprodotta denuncia che si sarebbe formato giudicato implicito sulla sentenza di primo grado “circa l’assenza di danno sulla azienda Bar Centrale, mai ex adverso impugnata.. essendo indistinta e indistinguibile la cifra per l’impresa individuale” e si sarebbe “altresì formato il giudicato sulla omessa domanda di risarcimento del danno da parte dell’impresa individuale”.

Il motivo è inammissibile in quanto eccepisce la formazione del giudicato interno su una parte della decisione di primo grado sì riportando le conclusioni di controparte di primo e secondo grado, ma senza riportare la decisione di primo grado.

12) Secondo il dodicesimo motivo – la rubrica è sopra riprodotta “nessuna parte avversa mai ha proposto alcuna domanda di equo compenso quale deterioramento della cosa venduta”, così che i 25.000 Euro riconosciuti dalla Corte d’appello “sono privi di ogni titolo, con violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.”.

Il motivo è infondato. Il giudice d’appello ha riconosciuto la somma di Euro 25.000 “quale equo compenso per il naturale deterioramento della cosa venduta e contropartita all’uso” e nell’atto di citazione gli attori avevano richiesto “la somma di Euro 104.117,71 o quella maggiore o minore che sarà ritenuta di giustizia per l’uso delle aziende” (v. p. 4 del controricorso), così che non è ravvisabile il vizio di cui all’art. 112 c.p.c..

13) Nel tredicesimo motivo alla rubrica sopra riprodotta segue la frase “in quanto le sanzioni per Euro 424 per il gioco lotto che non è nemmeno oggetto di contratto tra le parti”.

Il motivo è inammissibile perchè del tutto generico.

14) Per il quattordicesimo motivo – la rubrica è sopra riprodotta il ricorrente sarebbe comunque creditore “come provato in atti dalle confessioni avverse e dai documenti avversi offerti in prova e dalle non contestazioni avverse, ut sopra già espresso”, con una debenza finale – sembra – di Euro 74.052,23 in suo favore.

Il motivo, che si limita a richiamare confessioni, documenti, non contestazioni avverse “ut sopra”, è inammissibile perchè generico.

II. Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore dei controricorrenti che liquida in Euro 9.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.

Sussistono, del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella pubblica udienza della Sezione Seconda Civile, il 13 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2020

 

 

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