Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22189 del 14/10/2020

Cassazione civile sez. II, 14/10/2020, (ud. 13/02/2020, dep. 14/10/2020), n.22189

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6313/2016 proposto da:

B.P., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE CLODIO 22,

presso lo studio dell’avvocato DEBORATH FORTINELLI, rappresentato e

difeso dall’avvocato BRUNO GUARALDI;

– ricorrente –

contro

ARREDISSIMA TREVISO SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARIA CRISTINA 8,

presso lo studio dell’avvocato GOFFREDO GOBBI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato LUCIANO GAZZOLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1278/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 10/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/02/2020 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

udito l’Avvocato GUARALDI Bruno, difensore del ricorrente che insiste

per l’accoglimehLo del ricorso;

udito l’Avvocato GOBBI Goffredo, difensore della resistente che si

riporta agli atti ed insiste per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La causa ha avuto origine dalla sottoscrizione, il 7 gennaio 2000, di due contratti di vendita di arredi, da consegnare all’acquirente B.P. in due diverse località da lui indicate, con contestuale versamento a titolo di caparra di Lire 1.000.000 per ciascun contratto, in acconto del prezzo rispettivamente pattuito di Lire 8.400.000 e 5.000.000, con saldo da corrispondere al momento della consegna della merce. Esponendo di non essere stata posta in condizione di consegnare la merce, nonostante le reiterate offerte e diffide al compratore, la venditrice Group Nord Est Ingrosso Mobili s.r.l. ha agito in via monitoria, chiedendo ed ottenendo dal Tribunale di Treviso e dal Giudice di pace di Castelfranco Veneto due decreti ingiuntivi per il prezzo pattuito. I decreti non sono stati opposti e sulla loro base la venditrice ha intrapreso un procedimento esecutivo immobiliare davanti al Tribunale di Ferrara, che si è concluso con l’assegnazione in data 25 maggio 2011 delle somme, somme poi incassate il 19 settembre 2011.

2. Con lettera dell’11 aprile 2012 B. ha chiesto la consegna degli arredi oggetto dei due contratti di vendita, diffidando la venditrice Group Nord Est, nel frattempo divenuta Arredissima Treviso, ad adempiere entro il termine di quindici giorni. Decorso tale termine, B. – sulla base della intervenuta risoluzione dei due contratti – ha chiesto e ottenuto decreto ingiuntivo per la restituzione dell’ammontare ottenuto dalla venditrice.

Avverso il decreto proponeva opposizione la venditrice, in particolare sostenendo l’avvenuta prescrizione della pretesa fatta valere da B. e dell’azione di risoluzione per inadempimento in base alla quale si era pretesa la restituzione del prezzo. B., costituendosi, ha chiesto la conferma del decreto ingiuntivo, in subordine domandando la condanna della venditrice al pagamento a titolo di arricchimento senza causa.

Il Tribunale di Ferrara, con sentenza n. 963/2013, ha accolto l’opposizione.

2. Contro la sentenza ha proposto appello B.P., lamentando l’erroneità dell’assunto di intervenuta prescrizione (perchè articolato con riguardo alla consegna dei mobili e non con riferimento alla pretesa azionata in via monitoria, di natura restitutoria conseguente alla risoluzione per inadempimento della venditrice, termine di prescrizione di cui è stato erroneamente individuato il dies a quo, non avendo poi il giudice di primo grado considerato la rinuncia alla prescrizione medesima da parte della venditrice) e l’erroneo rigetto della domanda di arricchimento senza causa.

La Corte d’appello di Bologna, con sentenza 10 luglio 2015, n. 1278, ha respinto il gravame e ha confermato la sentenza impugnata.

3. Contro la sentenza ricorre per cassazione B.P..

Resiste con controricorso Arredissima Treviso s.r.l., eccependo l’inammissibilità (a causa della “indiscriminata riproduzione integrale degli atti di causa in copia fotostatica”) e comunque l’infondatezza del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

I. Il ricorso, di cui va affermata l’ammissibilità (in quanto, se riproduce integralmente una serie di atti, presenta comunque i fatti in modo funzionale alla comprensione dei motivi, v. al riguardo Cass., sez. un., n. 5698/2012), è articolato in sette motivi.

1) Il primo motivo lamenta “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 163,101,112 e 115 c.p.c., in relazione all’art. 1454 c.c., violazione dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”: dato che, decorso il termine di quindici giorni assegnato dal ricorrente per consegnare gli arredi, il contratto era di diritto risolto, tale risoluzione doveva essere impugnata da controparte con l’opposizione a decreto ingiuntivo, mentre Arredissima si è limitata ad eccepire la prescrizione del diritto alla consegna degli arredi.

Il motivo è inammissibile. Il ricorrente, che pure riporta (pp. 6364 del ricorso) gli argomenti del giudice d’appello, con questi non si confronta, limitandosi a parlare di “mera apparenza del loro contenuto motivazionale” e a sostenere che Arredissima si sarebbe limitata ad eccepire la prescrizione del diritto alla consegna degli arredi quando invece, dall’estratto dell’atto introduttivo del giudizio di opposizione, risulta che Arredissima ha eccepito “la prescrizione del diritto di B.P. di chiedere.. l’adempimento dei due contratti di vendita e, di conseguenza, di farne valere l’asserita risoluzione ai sensi dell’art. 1454 c.c., comma 3”.

2) Il secondo motivo denuncia “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 163,101,112 e 115 c.p.c., in relazione agli artt. 2935,2944,2945 e 2938 c.c., violazione dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”: la Corte d’appello ha considerato fondata l’eccezione di prescrizione rilevando un dies a quo diverso da quello oggetto di allegazione da parte di Arredissima.

Il motivo è inammissibile. Il ricorrente, come nel motivo precedente, riporta gli argomenti del giudice d’appello (pp. 65-66 del ricorso), ma con questi non si confronta. Il giudice d’appello osserva infatti che anche considerando, su rilievo dell’appellante, la successiva corrispondenza tra le parti, e in particolare la missiva del 28 giugno 2001, questo non differirebbe sufficientemente la decorrenza del termine fino a coprire la data della rinnovata richiesta del compratore del 12 aprile 2012.

3) Il terzo motivo riporta “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2733 c.c., in relazione agli artt. 2943 e 2944 c.c., omesso esame di un fatto decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”: la Corte d’appello, affermando che B. non avrebbe documentato atti interruttivi successivi a quelli del giugno 2001, erra dal momento che era stata allegata dal ricorrente l’esistenza di un atto di opposizione all’esecuzione del 23 marzo 2011.

Il motivo non può essere accolto. Il giudice d’appello (p. 6 della sentenza impugnata) afferma che non è stata documentata “l’asserita intermedia interruzione” attribuita a una opposizione proposta nell’ambito dell’esecuzione forzata. Quindi il giudice d’appello non nega l’allegazione relativa alla proposizione dell’opposizione all’esecuzione, ma afferma che questa non è stata provata. Prova che non si deduce di avere dato neppure in questa sede, in cui il ricorrente si limita appunto a dire di avere allegato l’esistenza “di un atto di opposizione all’esecuzione” di cui non specifica minimamente il contenuto e quando lo avrebbe eventualmente prodotto in giudizio.

4) Il quarto motivo lamenta “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2733 c.c. e degli artt. 101,112 e 115 c.p.c., in relazione all’art. 2937 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) e nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4”: la Corte d’appello ha omesso di prendere in considerazione l’esistenza e la rilevanza di “contegni” della società venditrice integranti, ad avviso del ricorrente, rinuncia alla prescrizione.

Il motivo è inammissibile. Il ricorrente, di nuovo, riporta le ragioni della sentenza impugnata (pp. 70-71 del ricorso), ma con esse non si confronta. Il giudice d’appello ha esaminato le doglianze del ricorrente relative al mancato esame dei comportamenti del venditore da parte del primo giudice, reputandole “illogiche”, in particolare escludendo la portata interruttiva della prescrizione dell’azione esecutiva e la stessa rilevanza della clausola di riserva della proprietà delle merci (p. 7 della sentenza impugnata).

5) Il quinto motivo denuncia “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 948 c.c., in relazione all’art. 2943 c.c. e dell’art. 133c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), omesso esame di un fatto decisivo (art. 360 c.p.c., n. 5)”. Il ricorrente è diventato proprietario degli arredi – avendo pagato sia pure coattivamente – solo nell’estate del 2011, così che nel 2012 aveva il pieno diritto di ottenerne la consegna: al riguardo la Corte d’appello, sollecitata sul punto, ha risposto “in modo errato, inconferente e apparente”.

Il motivo non può essere accolto. A fronte di un motivo d’appello che lamentava “la prescrizione del diritto di proprietà, affermato dalla sentenza, violazione dell’art. 948 c.c.” in quanto il giudice di primo grado sarebbe arrivato ad affermare la prescrittibilità del diritto di proprietà (v. la trascrizione del motivo alle pp. 43-44 del ricorso), il giudice d’appello – con motivazione sufficiente e coerente – ha affermato come il Tribunale non avesse affermato la prescrittibilità del diritto di proprietà, ma del diritto di credito scaturito dai due contratti.

6) Il sesto motivo censura la “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 101,112 e 115 c.p.c. e dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3” per essersi la Corte d’appello “supinamente adagiata” sul dictum del primo giudice, sovrapponendo l’azione restitutoria delle somme percepite a titolo di prezzo dalla società venditrice con la domanda di ingiustificato arricchimento proposta in via residuale dal ricorrente.

Il motivo non può essere accolto. Nel caso in esame, il ricorrente aveva chiesto, in sede di opposizione al decreto ingiuntivo, in via subordinata la condanna della venditrice al pagamento della somma incassata a titolo di arricchimento senza causa. Al riguardo il giudice d’appello ha confermato la decisione di primo grado in applicazione del consolidato principio di questa Corte secondo cui “l’azione generale di arricchimento non è proponibile quando il danneggiato avrebbe potuto esercitare un’azione tipica e questa si è prescritta” (così, da ultimo, Cass. 30614/2018), motivatamente respingendo i rilievi sollevati dal ricorrente all’applicazione al principio (v. pp. 7-8 della sentenza impugnata).

7) Il settimo e ultimo motivo riporta “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 92 e 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, omessa pronunzia sul capo relativo alle spese del primo grado”: nell’atto di appello si era chiesta la riforma della sentenza di primo grado in punto spese di lite e il giudice ha “omesso ogni statuizione sul punto”.

Il motivo non può essere accolto. A prescindere dall’erroneo richiamo al parametro di cui al n. 3, invece che a quello di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 4, il ricorrente non specifica le modalità di proposizione del motivo e, comunque, il giudice d’appello ha rigettato il gravame “per tutti i profili”, integralmente confermando la sentenza di primo grado, così che l’omessa pronuncia non è ravvisabile.

II. Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore della controricorrente che liquida in Euro 3.700, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.

Sussistono, del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Pubblica udienza della Seconda Sezione Civile, il 13 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2020

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