Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22188 del 12/09/2018

Cassazione civile sez. lav., 12/09/2018, (ud. 10/05/2018, dep. 12/09/2018), n.22188

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3500-2014 proposto da:

GENERTEL S.P.A. P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, 19,

presso lo studio TOFFOLETTO DE LUCA TAMAJO E SOCI, rappresentata

difesa dagli avvocati FRANCO TOFFOLETTO, FEDERICA PATERNO’, ELIO

CHERUBINI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

S.F., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dagli avvocati FRANCO BERTI, PAOLO LONGO, CARLO BERTI, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 248/2013 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 05/08/2013 R.G.N. 262/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2018 dal Consigliere Dott. MARGHERITA MARIA LEONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA MARIO che ha concluso per inammissibilità, in subordine

rigetto;

udito l’Avvocato BENEDETTA GAROFALO per delega verbale Avvocato

FEDERICA PATERNO’.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte di appello di Trieste con la sentenza n. 248/2013, in parziale riforma della decisione del tribunale locale ed in parziale accoglimento dell’appello proposto da Genertel spa, aveva condannato la predetta società a pagare a S.F., ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5 una indennità onnicomprensiva pari a otto mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla costituzione in mora al saldo.

La Corte territoriale aveva confermato nel resto l’impugnata sentenza quanto alla declaratoria di illegittimità del termine apposto ai contratti stipulati tra le parti, ritenendo che la ragione appositiva del termine non fosse stata sufficientemente chiarita in quanto le necessità organizzative si sovrapponevano con quelle sostitutive di personale, così risultando differente l’indicazione contrattuale rispetto all’effettivo motivo di assunzione a termine.

La stessa corte aveva poi ritenuto equo determinare l’indennità di cui al richiamato art. 32, comma 5, in otto mensilità, in considerazione del periodo di durata della prestazione, delle dimensioni dell’impresa e del numero dei dipendenti. Aveva infine condannato la S. a restituire l’eventuale differenza tra gli importi ricevuti in esecuzione della sentenza di primo grado e quelli determinati dalla sentenza di appello.

Avverso detta decisione la Genertel spa aveva proposto ricorso affidandolo a quattro motivi cui aveva resistito la S. anche depositando successiva memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1)- Con il primo motivo la società deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., per aver, la corte triestina, erroneamente interpretato il contenuto dei contratti stipulati con riferimento alle ragioni appositive del termine, in maniera difforme dal senso letterale delle parole ivi contenute.

In sostanza la società si duole della valutazione svolta dal giudice di appello sulle effettive ragioni determinative della assunzione della lavoratrice ed in tale contesto individua quale vizio la errata interpretazione del contratto.

In realtà la Corte territoriale ha consapevolmente considerato la dizione letterale dei contratti e quindi le ragioni di carattere organizzativo enunciate, ponendole a raffronto con le stesse affermazioni della società circa la necessità di utilizzare la lavoratrice per sopperire ad una temporanea carenza di personale “ordinario” impegnato nella fase di sperimentazione del nuovo sistema di gestione dei documenti. Pertanto non di errata interpretazione del contratto può parlarsi ma di valutazione di merito circa la difformità tra le indicazioni contrattuali e la realtà della prestazione di lavoro fornita in quel rapporto di lavoro. Il motivo risulta quindi inconferente e deve essere disatteso e rigettato.

2)- Con il secondo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) con riguardo alla errata nozione di specificità, in quanto la Corte avrebbe interpretato tale elemento in maniera difforme rispetto al prevalente orientamento giurisprudenziale e dottrinario.

Sul punto la sentenza ha chiarito che il richiamo al “Progetto di gestione ottica documentale” contenuto nei contratti in questione, sarebbe stato sufficiente indicazione delle ragioni della assunzione se fosse risultato il diretto rapporto causale con l’impiego della lavoratrice, ciò non risultando nel caso di specie in quanto la S. non era stata adibita a tale progetto ma a prestare attività già in precedenza svolte da lavoratori impegnati nel progetto.

Il motivo di censura non risulta quindi mirato all’effettiva statuizione in quanto non risulta alcuna dissonanza tra la nozione di specificità utilizzata dalla corte rispetto a quella individuata dagli orientamenti più consolidati. Questa Corte ha precisato che “In tema di assunzioni a termine, il datore di lavoro ha l’onere di specificare in apposito atto scritto, in modo circostanziato e puntuale, le ragioni oggettive, ossia le esigenze di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che giustificano l’apposizione del termine finale. Ne consegue che compete al giudice di merito accertare la sussistenza di dette ragioni, valutando ogni elemento idoneo a darne riscontro” (Cass. n. 2680/2015).

Ha altresì soggiunto che “L’apposizione di un termine al contratto di lavoro, consentita dal D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1 a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, sì da rendere evidente la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa. Spetta al giudice di merito accertare – con valutazione che, se correttamente motivata ed esente da vizi giuridici, resta esente dal sindacato di legittimità – la sussistenza di tali presupposti, valutando ogni elemento, ritualmente acquisito al processo, idoneo a dar riscontro alle ragioni specificamente indicate con atto scritto ai fini dell’assunzione a termine, ivi compresi gli accordi collettivi intervenuti fra le parti sociali e richiamati nel contratto costitutivo del rapporto” (Cass. n. 10033/2010).

Dai principi enunciati risulta quindi essenziale ai fini del requisito di specificazione, non solo la precisa e puntuale indicazione delle ragioni determinative dell’assunzione a termine, ma anche la diretta utilizzazione del lavoratore nell’ambito e nelle attività indicate ai fini dell’assunzione. Tale ultimo requisito, come valutato dalla Corte territoriale, difettava nel caso di specie, essendo stata, la lavoratrice, adibita a mansioni non direttamente afferenti al Progetto indicato nel contratto, ma allo svolgimento di attività ordinarie evidentemente estranee al progetto, pur realizzato dalla società. Il motivo deve essere rigettato.

3)- Con il terzo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per la errata ricostruzione dell’onere allegatorio e probatorio. Si duole parte ricorrente della mancata pronuncia della Corte territoriale sul motivo di gravame inerente la mancata ammissione delle prove testimoniali articolate dalla società nel giudizio di primo grado. Il motivo risulta infondato in quanto non risulta considerata nelle., censura proposta la ratio decidendi della sentenza impugnata (e prima ancora della decisione del tribunale), costituita dalla difformità tra l’attività assegnata alla lavoratrice e le ragioni giustificative della assunzione a termine. Come evidenziato al punto precedente della presente decisione, la valutazione sulla divaricazione tra mansioni svolte e progetto indicato nel contratto di assunzione, ha determinato i giudici di merito a ritenere illegittima l’apposizione del termine ed a considerare irrilevanti i capitoli di prova dedotti. La correttezza di tale assunto, come valutata al punto 2) sopra riportato, rende assorbito, o comunque infondata la censura.

4)- Con il quarto motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32 e L. n. 604 del 1966, art. 8 (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver, la Corte territoriale, determinato l’indennità risarcitoria spettante al lavoratore in caso di conversione del contratto a tempo determinato in violazione dei criteri contenuti nel richiamato articolo 8. In particolare si duole della scarsa considerazione della minima anzianità di servizio della lavoratrice e della sopravvalutazione degli altri criteri previsti altresì lamentando illogicità e carenza motivazionale sul punto.

Il motivo se pur riesca a superare il vaglio di ammissibilità, in quanto diretto a denunciare un vizio motivazionale (illogicità e carenza della motivazione), attraverso la denuncia della violazione di legge, risulta comunque infondato in quanto la Corte territoriale ha valutato i criteri legali utili a determinare l’indennità in questione ed ha individuato la più equa misura in otto mensilità, in considerazione del numero dei dipendenti della società, della reiterazione delle assunzioni e del periodo di lavoro prestato. Si tratta quindi di valutazione di merito, correttamente corredata dalla indicazione degli elementi posti a fondamento della stessa.

Il ricorso deve essere rigettato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 4.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 10 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2018

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