Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22185 del 12/09/2018

Cassazione civile sez. lav., 12/09/2018, (ud. 24/04/2018, dep. 12/09/2018), n.22185

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20072/2016 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI,

rappresentata e difesa dall’avvocato GRANOZZI GAETANO, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

D.B.D.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 737/2016 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 01/07/201Gr.g.n. 319/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/04/2018 dal Consigliere Dott. MARGHERITA MARIA LEONE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ Stefano, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine rigetto;

udito l’Avvocato FRANCESCA BONFRATE per delega verbale GAETANO

GRANOZZI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte di appello di Palermo con la sentenza n. 737/2016, aveva confermato la sentenza con la quale il tribunale locale aveva annullato il licenziamento intimato da Poste Italiane spa a D.B.D., reintegrando lo stesso nel suo posto di lavoro con le conseguenze di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4.

La Corte territoriale aveva ritenuto che l’addebito mosso al dipendente, relativo alla compartecipazione dello stesso alla illecita clonazione e negoziazione di un assegno tratto dal conto corrente di uno dei clienti della filiale della società presso cui il D.B. era addetto in qualità di vicedirettore, non era risultato provato. In particolare aveva valutato non sufficiente l’unico elemento probatorio consistente nella consultazione, da parte del D.B., del conto corrente del cliente, anche in ragione della prassi aziendale che consentiva alle figure direttive di prendere visione dei dati relativi alle giacenze dei conti allo scopo di avviare proposte di investimento incentivate dall’azienda.

Avverso tale decisione la società Poste aveva proposto ricorso affidandolo a due motivi anche illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c..

Il D.B. era rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1) con il primo motivo la società ha denunciato la violazione degli artt. 115 e 116 c.p,c., art. 2697 c.c., artt. 2077 e 2078 c.c., art. 1 e 8 preleggi, art. 1374 c.c. e art. 421 c.p.c., nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Nullità della sentenza per motivazione incongrua e meramente apparente.

Il vizio denunciato risulta inammissibile per molteplici ragioni.

Deve preliminarmente ribadirsi, in coerenza con precedente orientamento in tal senso, che “nel ricorso per cassazione, i motivi di impugnazione che prospettino una pluralità di questioni precedute unitariamente dalla elencazione delle norme asseritamente violate sono inammissibili in quanto, da un lato, costituiscono una negazione della regola della chiarezza e, dall’altro, richiedono un intervento della Corte volto ad enucleare dalla mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure” (Cass. n. 18021/2016). Nel caso di specie, sono enucleati in un unico motivo molteplici profili di vizi, non singolarmente enunciati rispetto al rispettivo punto decisorio della decisione.

Deve peraltro osservarsi che può ritenersi ammissibile il ricorso per cassazione nel quale si denunzino con un unico articolato motivo d’impugnazione vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto (come nel caso di specie), qualora, però, sia reso palese su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica. (Cass. n. 20335/2017). Ciò non è invece accaduto nel caso in esame.

Infine deve anche rilevarsi che per effetto della modifica dell’art. 366-bis c.p.c., introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2,il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere dedotto mediante esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali l’insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione, fornendo elementi in ordine al carattere decisivo di tali fatti, che non devono attenere a mere questioni o punti, dovendosi configurare in senso storico o normativo e potendo rilevare solo come fatto principale ex art. 2697 c.c.(costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche fatto secondario (dedotto in funzione di prova determinante di una circostanza principale) – Cass. n. 29883/2017.

Alla luce degli enunciati principi il motivo in esame risulta inammissibile anche perchè sostanzialmente diretto a criticare la valutazione effettuata dalla Corte territoriale sui fatti di causa, sia pur veicolato attraverso la illogicità ed incongruenza della motivazione, che, nel caso di specie risulta invece aderente alle circostanze di fatto evidenziate e valutate.

2) Con il secondo motivo si denuncia la violazione degli artt. 2727 e 2728 c.c., art. 2119 c.c., art. 112 c.c., nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Nullità della sentenza per motivazione incongrua e meramente apparente.

Anche tale censura è diretta a contestare la valutazione svolta dal giudice di merito sul comportamento del D.B. che, a dire della società ricorrente, presentava precisi e concordanti indizi tali da far presumere la piena colpevolezza dello tesso. Si tratta, all’evidenza, di contestazione della valutazione di merito e di richiesta di nuovo esame delle circostanze di fatto non consentito in questa sede.

Come già in molte occasioni affermato “l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex multis Cass. n. 19011/2017; Cass. n. 16056/2016). La valutazione richiesta non può neppure trovare sponda sul versante dell’esame della motivazione e della sua denunciata carenza è contraddittorietà, in quanto le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 8053/2014 hanno chiarito che “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54,conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”. L’assenza di precise indicazioni inerenti una delle ipotesi sopra enunciate rende quindi inammissibile la censura.

Ricorso risulta quindi inammissibile. Attesa la mancata costituzione dell’intimato, non si provvede sulle spese.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 24 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2018

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