Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22185 del 05/09/2019

Cassazione civile sez. trib., 05/09/2019, (ud. 24/01/2019, dep. 05/09/2019), n.22185

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina M. – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Mar – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Robert – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 5361/2014 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, con domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

CELOX TRADE S.R.L. in persona del legale rappresentante pro tempore

rappresentata e difesa giusta delega in atti dall’avv. Gregorio

Leone e dall’avv. Lorenza Roberta Leone ed elettivamente domiciliata

presso il secondo difensore in Roma, via Luigi Luciani n. 42 (studio

Salustri e associati)

– controricorrente –

e contro

UNIVEG IMPORT

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale

dell’Emilia Romagna n. 10/1/13 depositata il 13/2/2013, non

notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

24/1/2019 dal consigliere Roberto Succio.

Fatto

RILEVATO

che:

– con la sentenza di cui sopra il giudice di seconde cure ha accolto l’appello della società contribuente e riformato la decisione della CTP conseguentemente annullando l’avviso di accertamento emesso per il recupero di maggiori dazi derivanti da operazioni di importazione di aglio;

– avverso la sentenza di seconde cure propone ricorso per cassazione l’avvocatura dello Stato per conto dell’Agenzia delle Dogane a tre motivi; la società contribuente resiste con controricorso che illustra con memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– vanno preliminarmente affrontate le questioni relative alla eccepita improcedibilità del ricorso;

– con riferimento al mancato deposito dell’istanza di trasmissione dei fascicoli del merito, la stessa è infondata; l’atto de quo risulta infatti depositato presso la CTR in data 20 febbraio 2014;

– riguardo l’eccezione relativa alla mancata indicazione il calce al ricorso per cassazione dell’eventuale deposito di atti e documenti, essa è infondata, dal momento che non avendo parte ricorrente altro depositato, non vi è l’obbligo di indicare ciò che non si deposita;

– quanto al contestato mancato deposito della sentenza impugnata, l’eccezione è infondata dal momento che la sentenza della CTR è versata in atti in copia autentica; sebbene non indicata tra le produzioni di parte ricorrente nel proprio atto, ciò che conta è che detto documento sia stato, di fatto, materialmente prodotto, e tanto è avvenuto in data 10 marzo 2014, quindi tempestivamente nel termine di giorni venti dalla notifica del ricorso per cassazione, che risulta passato in notifica il 18 febbraio 2014;

– in sintesi, quindi, con riferimento alla asserita violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, la Corte rileva il rispetto, nel presente caso, della specifica indicazione degli atti processuale e dei documenti sui quali si fonda il ricorso, che va invero valutata non in astratto ma alla luce dell’articolazione e del contenuto dei motivi dedotti in ricorso;

– infine, con riguardo all’eccepito ed autonomo difetto di autosufficienza relativo alla mancata esposizione in fatto della vicenda processuale, la Corte rileva come la stessa sia agevolmente ricostruibile dal testo complessivo dei motivi di ricorso; pertanto anche tal ultima eccezione è infondata e può quindi addivenirsi all’esame dei motivi di ricorso;

– con il primo motivo di ricorso l’Amministrazione Finanziaria censura la sentenza impugnata denunciando la violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il secondo giudice avrebbe erroneamente, in violazione dei principi in tema di onere della prova, ritenuta provata sia l’esistenza di un contratto di commissione tra la ricorrente (committente) e la società Univeg Import Italia s.r.l., già Bocchi Import s.r.l. (commissionaria), sia l’operazione di acquisto della merce estera da parte di Celox, sia l’operazione di ulteriore cessione da parte di Celox a Univerg; in realtà secondo l’Amministrazione doganale dalla documentazione in atti doveva ritenersi provata l’esecuzione da parte di Celox di una mera attività di sdoganamento a dazio agevolato onde far ottenere a Univeg un risparmio fiscale non consentito e non spettante;

– il secondo motivo denuncia l’omesso esame su un fatto controverso e decisivo del giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non avere la CTR esaminato adeguatamente una serie di fatti dedotti dall’Amministrazione Finanziaria a riprova della fittizietà delle operazioni di cui al rapporti di commissione, che in realtà celerebbe un trasferimento dei diritti di cui ai certificati AGRIM da Celox a Univeg; tale seconda società sarebbe infatti il soggetto “dominus” dell’operazione, mentre Celox avrebbe funzione di mero soggetto interposto;

– il terzo motivo di ricorso censura la sentenza impugnata per avere la CTR violato e falsamente applicato il principio dell’abuso del diritto come configurato dalla giurisprudenza comunitaria e dalla Corte di cassazione secondo il Reg. CEE n. 2988/95, art. 4, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., per avere la CTR ritenuto non elusiva (o non abusiva, che dir si voglia) l’operazione contestata, avendo le parti raggiunto un obiettivo – l’applicazione all’operazione commerciale contestata del dazio agevolato a favore di Univeg, che non ne avrebbe avuto diritto avendo già utilizzato tutti i suoi certificati AGRIM e che quindi si è in sostanza servita di quelli di Celox – non consentito dalle disposizioni vigenti, specialmente dal Reg. CEE 2988/95, art. 4, n. 3;

– i motivi possono esaminarsi congiuntamente, in quanto strettamente connessi e sostanzialmente costituenti frammentazione di una medesima censura;

– essi sono complessivamente fondati, con le precisazioni che seguono;

– osserva la Corte in via preliminare che la sentenza impugnata risulta depositata in data 13 febbraio 2013 e quindi trova applicazione, quanto ai motivi di ricorso e ai vizi deducibili per cassazione, il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, cosiddetto “Decreto Sviluppo”, pubblicato in Gazzetta Ufficiale 26 giugno 2012, n. 147, convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 187 del 11-08-2012);

– tal disposizione, applicabile alle sentenze pubblicate a partire dall’11 settembre 2012 quindi anche alla pronuncia qui gravata, consente invero di adire la Suprema Corte per “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”;

– ciò premesso, rileva la Corte come secondo l’amministrazione doganale i contratti posti in essere dalla contribuente con la Univeg avrebbero avuto, in sintesi, la finalità di consentire l’importazione della merce a dazio agevolato;

– a tal scopo Univeg avrebbe (formalmente quale commissionario di Celox, in realtà quale “dominus” dell’operazione) diretto le operazioni di acquisto e importazione ed utilizzato titoli di importazione AGRIM rilasciati ad altre impresa (l’odierna controricorrente) in possesso dei requisiti per ottenere titoli di importazione a dazio agevolato, impresa utilizzata quale società in sostanza interposta, anche se realmente esistente ma mero strumento parte del complessivo disegno e dell’articolato di atti collegati tra di loro e complessivamente elusivi; così facendo la Univeg,. Avrebbe acquistato prodotti senza il pagamento del dazio specifico, per quantità superiori a quelle a lei spettanti in base al proprio titolo d’importazione, aggirando il divieto di cessione dei titoli previsto dalle disposizioni comunitarie;

– ciò precisato in punto di fatto, quanto al tema decisionale, è preliminare dal punto di vista logico e giuridico procedere ad un’attenta disamina della pronuncia resa della Corte di giustizia dell’UE del 14 aprile 2016, in causa C-131/14, Cervati e Malvi, nonchè l’estensione della logica della sentenza i cui principi possono applicarsi anche al caso in questione, pure con riferimento all’istituto dell’abuso del diritto nella materia di cui trattasi;

– dato centrale è quello che segue: avendo le parti stipulato non un atto diretto a trasmettere i titoli (certamente non cedibili in forza del Reg. CE n. 1047/2001, art. 5, e del Reg. CE n. 565/2002, art. 3, par. 3, oltre che dal Reg. CE n. 1870/2005, art. 5, par. 5) ma viceversa un contratto di commissione, nel quale i diritti contenuti nei titoli del committente sono però in sostanza oggetto della gestione del commissionario, non vi sarebbe stata alcuna violazione del divieto di trasferimento dei diritti derivanti dai titoli quale previsto dal regolamento, onde l’abuso sarebbe configurabile in base alla giurisprudenza (Corte UE, sentenze Halifax e a., C-255/02, EU:C:2006:121, punti 68 e 69 e giurisprudenza ivi citata, nonchè SICES e a., C-155/13, EU:C:2014:145, punti 29 e 30) per cui i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme dell’unione;

– come è noto, per la configurazione di una pratica abusiva è necessario un elemento oggettivo che si manifesta in un insieme di circostanze da cui risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa dell’Unione, l’obiettivo perseguito da detta normativa non è stato raggiunto (sentenze Emsland-Strke, C-110/99, EU:C:2000:695, punto 52, nonchè SICES e a., C-155/13, EU:C:2014:145, punto 32), e un elemento soggettivo, nel senso che deve risultare da un insieme di circostanze oggettive che lo scopo essenziale delle operazioni controverse è ottenere un vantaggio indebito, anche indirettamente non voluto dal sistema tributario, non vietato peraltro da una disposizione espressa, mediante la creazione artificiosa delle condizioni richieste per il suo conseguimento;

quanto poi alla normativa comunitaria specificamente relativa alle operazioni che ci occupano, va anche ricordato che il Reg. CEE 2988/95, art. 4, n. 3, prevede che “gli atti per i quali si stabilisce che hanno per scopo il conseguimento di un vantaggio contrario agli obiettivi del diritto comunitario applicabile alla fattispecie, creando artificialmente le condizioni necessarie per ottenere detto vantaggio, comportano, a seconda dei casi, il mancato conseguimento oppure la revoca del vantaggio stesso”; il contenuto della disposizione è sostanzialmente analogo ai dettati della giurisprudenza sopra citata;

– sotto questo profilo, l’affermazione della CTR a pag. 3, ultimo capoverso, diretta a valorizzare l’elemento formale dell’emissione delle fatture in capo all’una e all’altra delle società coinvolte, è quindi del tutto fuorviante, oltre che insufficiente a fondare il decisum, in quanto incentrata su una circostanza per l’appunto puramente formale, che rendeva necessario l’esame della sostanza dell’operazione e non il mero attenersi a quel dato documentale in sè non significativo;

– analogamente, non può desumersi la legittimità dell’operazione, come fa la CTR, dal fatto che l’impresa commissionaria ha rivenduto alla committente il prodotto, con la girata del titolo rappresentativo, ricavandone un utile rispetto al prezzo d’acquisto, maggiorato anche delle spese di trasporto e spedizione;

– infatti, la Corte di giustizia prevede che spetti al giudice nazionale verificare “nondimeno” in ogni caso (n. 44), in base alle prove acquisite, “se ogni operatore coinvolto percepisca una remunerazione adeguata per l’importazione, la vendita o la rivendita della merce di cui trattasi, che gli consenta di mantenere la posizione assegnatagli nell’ambito della gestione del contingente” (n. 43). Sotto questo profilo, il solo mark-up rispetto al prezzo di acquisto, estrapolato dal contesto complessivo dell’operazione, che prevedeva tra l’altro pagamenti a mezzo di compensazione di partite e la gratuità del rapporto committente-commissionario, non risulta di per sè significativo;

– accertato che sia poi da parte del giudice nazionale che il meccanismo di cui trattasi comprometta gli obiettivi perseguiti dal regolamento (elemento oggettivo), posto che come detto l’accertamento della sussistenza di una pratica abusiva richiede la presenza cumulativa anche di un elemento soggettivo, la Corte di giustizia si preoccupa anche di indicare “le condizioni che consent(ono) di dimostrare la sussistenza di un siffatto elemento soggettivo” correlato allo scopo “di conferire al secondo acquirente nell’unione un vantaggio indebito”. In tal senso, “spetta al giudice del rinvio verificare”: se “l’importazione sia stata finalizzata a conferire un tale vantaggio (indebito) a detto (secondo) acquirente” e se “le operazioni siano prive di qualsiasi giustificazione economica e commerciale per l’importatore nonchè per gli altri operatori intervenuti nel meccanismo” (n. 47);

– quindi, ai fini dell’accertamento, da parte del giudice nazionale, che un siffatto meccanismo non sia privo di qualsiasi giustificazione economica e commerciale, la Corte di giustizia fornisce un parametro di verifica esemplificativo, costituito dal criterio già sopra accennato che “il prezzo di vendita della merce (sia) fissato a un livello tale da permettere all’importatore e agli altri operatori intervenuti nel meccanismo di trarre un guadagno considerato normale o abituale, nel settore interessato, per il tipo di merce e di operazione in questione”. Ancora una volta, al di là della generica affermazione nell’ordinanza di rinvio della sentenza della Corte Unionale sopra citata, qui non rilevante, secondo la quale la merce sarebbe stata ceduta “a fronte di una remunerazione adeguata”, la Corte di giustizia, ai fini della rinnovata verifica di tale presupposto, detta il criterio sussidiario per cui “la mera circostanza che tale remunerazione sia inferiore all’importo del dazio specifico dovuto per le importazioni fuori contingente è ininfluente per stabilire se tale remunerazione sia normale o abituale, nel settore interessato, per il tipo di merce e di operazione in questione” (n. 48);

– dopo aver fornito alcune altre indicazioni, infine, la Corte di giustizia, considerato che “non si può escludere che, in determinate circostanze, un meccanismo come quello di cui trattasi… venga attuato essenzialmente allo scopo di creare artificiosamente le condizioni richieste per ottenere il dazio agevolato”, formula il criterio secondo cui “fra gli elementi che potrebbero consentire di dimostrare il carattere artificioso di un siffatto meccanismo figura segnatamente la circostanza che l’importatore intestatario dei titoli non abbia assunto alcun rischio commerciale, o anche la circostanza che il margine di profitto dell’importatore sia insignificante o che il prezzo della vendita dell’aglio da parte dell’importatore al primo acquirente nell’unione, poi da quest’ultimo al secondo acquirente nell’unione, sia inferiore al prezzo di mercato” (n. 51). In definitiva, la Corte di giustizia riscontra il rinvio pregiudiziale dichiarando che le norme regolamentari devono essere interpretate nel senso che “in via di principio” “non ostano ad un meccanismo come quello di cui trattasi nel procedimento principale”;

– integrando il dispositivo con la motivazione, come sopra riepilogata, è agevole rilevare che l’affermazione “in via di principio” va completata con la verifica del caso concreto da parte del giudice nazionale, che può portare sia a ritenere il meccanismo legittimo, sia a ritenerlo illegittimo in quanto correlato a una pratica abusiva. Quanto fin qui detto rende evidente la necessità di accoglimento dei motivi in esame sussistendo senza dubbio – sia per quanto concerne l’applicazione e l’interpretazione delle norme rilevanti, sia per quanto attiene all’impianto motivazionale delle relative valutazioni – una completa omissione da parte della commissione tributaria regionale degli anzidetti principi di diritto e criteri valutativi di matrice giurisprudenziale unionale, con rinvio a detta commissione di merito, la quale, stante l’ampio spettro delle verifiche da effettuarsi sulla base del materiale probatorio acquisito, potrà addivenire, alternativamente, al risultato della legittimità o della illegittimità, con le conseguenze di legge;

– analoga omissione si ritrova, nella sentenza impugnata, quanto agli elementi di fatto che potrebbero far concludere per la fittizietà delle operazioni, dal momento che la CTR non li ha esaminati – come dovevasi – nè complessivamente quanto al fatto nè nell’ottica delle indicazioni del diritto Unionale quanto al diritto;

– il ricorso quindi, per quanto di ragione, va accolto e la sentenza cassata con rinvio al secondo giudice.

P.Q.M.

accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna in diversa composizione, che statuirà anche quanto alle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2019

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