Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22182 del 12/09/2018

Cassazione civile sez. lav., 12/09/2018, (ud. 18/04/2018, dep. 12/09/2018), n.22182

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antoni – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26329-2013 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la

rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

A.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO

CESARE 61, presso lo studio dell’avvocato LUCIANO DRISALDI,

rappresentata e difesa dall’avvocato BENEDETTO GUGLIELMO, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8290/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/11/2012 R.G.N. 6698/2006.

Fatto

RILEVATO

Che la corte d’Appello di Roma con sentenza del 13.11.2013 ha riformato la sentenza del tribunale di Latina che aveva respinto la domanda di A.R., assunta dalla società Obiettivo lavoro con contratto a termine per il periodo 4.4.2003 /30.6.2003, sulla base di un contratto di fornitura con Poste italiane spa ed ha accertato la natura subordinata a tempo indeterminato del rapporto con la utilizzatrice, ritenendo che il contratto di fornitura avesse una causale generica, in quanto faceva riferimento soltanto a “casi previsti dal CCNL – punte di più intensa attività” e che anche il contratto di lavoro contenesse eguale generica causale.

Che la corte territoriale ha poi accertato che comunque le ragioni indicate nella causale non fossero state provate, stante la inidoneità sia della documentazione prodotta da Poste spa sia delle prove testimoniali offerte ad assolvere tale onere, incombente sulla società.

Che la corte ha quindi ritenuto la fornitura avvenuta al di fuori dei casi consentiti dalla L. n. 196 del 1997, art. 1, comma 2 e che, ritenuto il richiamo nella L. n. 196, art. 10 citata all’art. 1369 c.c., si era realizzata la fattispecie interpositoria, con conseguente illegittimità anche del contratto di lavoro e relativo accertamento del rapporto direttamente in capo all’utilizzatore.

Che la corte ha ritenuto non applicabile, quanto alle conseguenze risarcitorie, la L. n. 183 del 2010, art. 32.

Che per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso Poste Italiane spa affidato a cinque motivi, a cui ha resistito la lavoratrice con controricorso. La società ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c.

Diritto

CONSIDERATO

Che i motivi di ricorso hanno riguardato: 1) la violazione dell’art. 2909 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per essere passata in giudicato la statuizione del Tribunale di Latina circa la non genericità della causale apposta ai contratti – di fornitura e di lavoro -, atteso che la lavoratrice non aveva appellato la sentenza del tribunale su tale specifico punto, 2) l’insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver considerato la corte di merito che nel caso del lavoro interinale o somministrato a termine la legge – sia la n. 196 del 1997 che il D.Lgs. n. 276 del 2003 – richiede solo che le causali siano contenute nel contratto con informazione per iscritto al lavoratore, ma non richiede alcuna ulteriore specificazione delle ragioni quando la causale si collega ad ipotesi specifiche del CCNL, come nel caso in esame; 3) l’insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non avere la corte territoriale esaminato i fatti indicati nei capitoli di prova in cui si precisavano i maggiori volumi di attività venutisi a creare nel periodo di cui al contratto a termine della A., come attestato anche dai documenti prodotti, trascritti in ricorso; 4) la violazione della L. n. 196 del 1997, art. 10 per avere la corte territoriale ritenuto erroneamente che la sanzione di cui alla L. n. 1369 del 1960, art. 1 potesse essere applicata anche alle patologie formali del contratto di lavoro che sono contemplate dall’art. 10, comma 2 della legge citata, ossia la mancanza di forma scritta e l’omessa indicazione della data di inizio della prestazione; 5) la violazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5 per non avere la corte romana applicato la nuova normativa che prevede l’indennità onnicomprensiva in ogni caso di illegittima apposizione del termine.

Che il primo motivo è infondato, atteso che dall’esame dell’atto di appello dell’ A., trascritto da Poste spa nel proprio ricorso, emerge con chiarezza che l’appellante ha impugnato la decisione di primo grado anche nella parte in cui il tribunale ha ritenuto la specificità della causale, richiamandosi alla fattispecie prevista del CCNL di più intensa attività. Ed infatti la A. nel secondo motivo dell’atto di appello, ha ribadito la mancanza di una causa giustificatrice, che non sarebbe soddisfatta dalla mero riferimento delle “punte di più intensa attività”. Pertanto nessun passaggio in giudicato può ritenersi essersi verificato.

Che peraltro deve rilevarsi che la corte di merito ha ritenuto la nullità del termine e comunque l’esistenza di una fattispecie interpositoria non solo sul rilievo della genericità della causale – “casi previsti dal CCNL – punte di più intensa attività-, ma ha svolto una seconda e più articolata ratio decidendi in ordine alla mancanza di prove della causale indicata, esaminando i fatti oggetto di discussione tra le parti.

Che per tale ragione non meritano accoglimento neanche il secondo motivo ed il terzo motivo, che in maniera non più ammissibile in base alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 applicabile ratione temporis, censurano la decisione lamentando un’omessa motivazione. Si tratta di censure inammissibili, prima che infondate, perchè criticano l’iter motivazionale seguito dalla corte che, invece, analizzando le prove documentali e le prove testimoniali con l’esame dei fatti in esse contenuti, ne ha rilevato la inidoneità a dimostrare il sostenuto aumento dell’attività di recapito e l’intensificazione dei volumi del traffico di corrispondenza, attraverso la mera indicazione dei “pezzi lavorati”nel corso dell’anno 2003.

Che è infondato il quarto motivo, che non tiene conto del fatto che i giudici di merito hanno applicato nel caso in esame la regola inerente alla disciplina generale dei contratti, relativa al negozio in frode alla legge, ritenuto nel caso in esame realizzato attraverso un complesso coordinamento negoziale, comunque coinvolgente l’impresa utilizzatrice, volto a deviare lo strumento di cui alla Legge n.196/1997 in direzione della stabile utilizzazione del medesimo prestatore di lavoro. La corte, avendo ritenuto conseguentemente la nullità dei contratti elusivi, ha correttamente ricondotto la fattispecie concreta, fuoriuscita dall’ipotesi esonerativa, alla disciplina di cui alla L. n. 1369 del 1960.

Che deve invece accogliersi il quinto motivo di gravame. Questa corte, con orientamento oramai consolidato (cfr Cass.n. 1148/2013, Cass. n. 8286/2015, Cass. n.10317/2017) a cui questo collegio si riporta, ha ritenuto che in tema di lavoro interinale l’indennità prevista dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32 nel significato chiarito dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, art. 1, comma 13 trova applicazione con riferimento a qualsiasi ipotesi di ricostituzione del rapporto di lavoro avente in origine termine illegittimo e si applica anche nel caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore a causa dell’illegittimità di un contratto per prestazioni di lavoro temporaneo a tempo determinato, ai sensi della L. 24 giugno 1997, n. 196, art. 23, comma 1, lett. a) convertito in contratto a tempo indeterminato tra lavoratore e utilizzatore della prestazione.

Che la sentenza deve quindi essere cassata in relazione al motivo accolto, rigettati gli altri con rinvio alla corte di appello che dovrà provvedere alla determinazione dell’indennità risarcitoria di cui alla L. n. 132 del 2010, art. 32 limitandosi a quantificarla per il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia con cui è stata disposta la riammissione in servizio (cfr per tutte Cass. n. 14461/2015), con interessi e rivalutazione da calcolarsi a far tempo dalla sentenza dichiarativa della nullità del termine (cfr Cass. n. 3062/2016). La corte di rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

PQM

La corte accoglie in quinto motivo rigettati gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla corte d’Appello di Roma in diversa composizione, a cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 18 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2018

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