Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22178 del 25/10/2011

Cassazione civile sez. III, 25/10/2011, (ud. 06/10/2011, dep. 25/10/2011), n.22178

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 8383-2010 proposto da:

D.P.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA LUIGI CALAMATTA 16, presso lo studio dell’avvocato

MELITI MARCO, rappresentato difeso dagli avvocati RASERA BERNA

FRANCESCO, DELLA COLLETTA LUIGI giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

INA ASSITALIA SPA (già Le Assicurazioni d’Italia Spa), in Persona

del Procuratore Speciale in virtù di atto di fusione per

incorporazione di INA VITA SPA e ASSITALIA LE ASSICURAZIONI D’ITALIA

SPA nella FATA ASSICURAZIONI SPA che ha assunto la nuova

denominazione INA ASSITALIA SPA, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA DEI MARTIRI DI BELFIORE 2, presso lo studio dell’avvocato

CILIBERTI GIUSEPPE, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato MODE’ LEOPOLDO giusta mandato a margine del

controricorso;

– controricorrente –

e contro

B.E. (OMISSIS), MINISTERO DELL’INTERNO

(OMISSIS), ALLIANZ LLOYD ADRIATICO (OMISSIS), D.

G.E. (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 985/2009 del TRIBUNALE di VENEZIA del 6/02/09,

depositata il 08/04/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/10/2011 dal Consigliere Relatore Dott. MAURIZIO MASSERA;

udito l’Avvocato Cortesi Massimo per delega avvocato Meliti,

difensore del ricorrente che si riporta agli scritti;

udito l’Avvocato Ciliberti Giuseppe, difensore della controricorrente

che si riporta al controricorso;

è presente il P.G. in persona del Dott. TOMMASO BASILE che ha

concluso conformemente alla relazione.

La Corte, Letti gli atti depositati:

Fatto

OSSERVA

E’ stata depositata la seguente relazione:

1 – Con ricorso notificato il 15 marzo 2010 D.P.A. ha chiesto la cassazione della sentenza, non notificata, depositata in data 8 aprile 2009 dal Tribunale di Venezia che, in riforma della sentenza del Giudice di Pace di Belluno, aveva rigettato la domanda di risarcimento danni conseguenti a sinistro stradale.

L’Ina – Assitalia S.p.A. ha resistito con controricorso, mentre il Ministero dell’Interno, B.E., D.G.E. e l’Allianz Lloyd Adriatico S.p.A. non hanno svolto attività difensiva.

2 – I cinque motivi del ricorso risultano inammissibili, poichè la loro formulazione non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366- bis c.p.c..

Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per, ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360, per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico- giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).

3. – Il primo motivo lamenta, omessa, insufficiente contraddittoria motivazione circa la responsabilità nella causazione del sinistro.

Occorre ribadire che il vizio di contraddittorietà della motivazione ricorre solo in presenza di argomentazioni contrastanti e tali da non permettere di comprendere la “ratio decidendi” che sorregge il “decisum” adottato, per cui non sussiste motivazione contraddittoria allorchè dalla lettura della sentenza non sussistano incertezze di sorta su quella che è stata la volontà del giudice. (Cass. n. 8106 del 2006).

Il difetto di insufficienza della motivazione è configuratale soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese e alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poichè, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione; in ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Cass. n. 2272 del 2007).

Dalla stessa citazione testuale di parte della sentenza riferita nel ricorso si evince che essa ha motivato le ragioni delle proprie scelte e reso perfettamente comprensibile la ratio decidendi; le argomentazioni a sostegno della censura non dimostrano i vizi denunciati nei limiti in cui essi sono configurabili in base ai principi sopra enunciati, ma esprimono dissenso dal contenuto di merito della decisione.

Il momento di sintesi finale si articola nella prospettazione di ben nove questioni diverse tra loro, in tal modo frustrando le finalità perseguite dall’art. 366 bis c.p.c..

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2054 c.c.. La doglianza, pur formalmente prospettata sotto il profilo della violazione di norme di diritto, in realtà stigmatizza il contenuto decisorio della sentenza impugnata. Questa, contrariamente all’assunto, ha esaminato la condotta di guida del D.G., escludendo qualsiasi profilo di colpa, per cui ha rispettato il dettato della norma di riferimento. La affermata esclusione di qualsiasi colpa in capo al D.G. può essere o meno condivisa, ma è statuizione che attiene al merito e che risulta congruamente motivata. Infine, è decisivo il rilievo che è stato del tutto omesso il prescritto quesito di diritto.

Il terzo motivo adduce violazione o falsa applicazione delle norme sui limiti di velocità (artt. 141 e 142 C.d.S.).

Anche questa censura, a dispetto della rubrica, tratta questioni di fatto e non contiene il prescritto quesito idoneo a postulare l’enunciazione di un principio fondato sulle norme di cui è stata denunciata la violazione.

Le medesime considerazioni determinano l’inammissibilità del quarto motivo, che ipotizza violazione o falsa applicazione (anche in questo caso non specificate, come se fossero sinonimi) delle norme sul sorpasso (art. 148 C.d.S.).

Il quinto motivo denuncia nullità della sentenza o del procedimento;

nullità dell’atto di citazione d’appello in riassunzione. Il tema è il vizio della vocatio in jus di due litisconsorti necessari, difettando l’invito e l’avvertimento ex art. 163, n. 7.

Il ricorrente non nega che l’atto sia stato notificato ai due litisconsorti e ciò è sufficiente per determinare il rispetto del principio dell’integrità del contraddittorio, che è l’unico nei confronti del quale è ravvisabile un suo interesse processuale. I vizi denunciati attengono al diritto di difesa dei due litisconsorti indicati (Ministero degli Interni ed D.G.E.), che sono gli unici legittimati a farli valere.

Il motivo non contiene in alcuna sua parte una formulazione appropriata del prescritto quesito di diritto.

4.- La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti;

Il ricorrente ha presentato memoria; le parti hanno chiesto d’essere ascoltate in camera di consiglio;

5.- Ritenuto:

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione;

che le argomentazioni addotte dal ricorrente con la memoria non superano i rilievi contenuti nella relazione e, anzi, neppure danno ad essi risposta (si vedano, ad esempio, il concetto di difetto della motivazione, trattato a pag. 4 della relazione, l’omissione dei momenti di sintesi e del quesito di diritto e il carattere di merito delle censure, di cui alle pagg. 5 e 6 della relazione);

che pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza;

visti gli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ..

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 1.500,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2011

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