Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22177 del 03/11/2016


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Cassazione civile sez. trib., 03/11/2016, (ud. 25/05/2016, dep. 03/11/2016), n.22177

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6009-2012 proposto da:

M.M.L., elettivamente domiciliata in ROMA VIA FLAMINIA

785, presso lo studio dell’avvocato VALENTINA ADORNATO,

rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO TESAURO giusta delega

a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

MINISTERO ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 695/2011 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di

ROMA, depositata il 13/01/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/05/2016 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;

udito per il ricorrente l’Avvocato TESAURO che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato TIDORE che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CUOMO Luigi, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 695 del 2011, accogliendo il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di M.M.L., ha cassato la sentenza n. 130/20/05 della CTR della Lombardia e, decidendo nel merito, ha respinto il ricorso introduttivo proposto dalla contribuente avverso un avviso di rettifica parziale Iva per l’anno 1995 ed un avviso di irrogazione di sanzioni relativo alla medesima imposta.

Per la revocazione di tale sentenza ricorre con cinque motivi M.M.L..

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Col primo motivo la ricorrente denuncia un duplice errore di fatto consistente nella errata percezione del contenuto degli atti impugnati dalla contribuente – laddove si è presunto che essi riguardassero le imposte dirette (e non l’Iva)- nonchè nella errata percezione del contenuto della sentenza d’appello – laddove la controversia è stata decisa nel merito supponendo un fatto (svolgimento, da parte della M., di attività di sfruttamento di cava) la cui verità era esclusa dalla lettura della sentenza di appello.

La censura è in parte infondata e in parte inammissibile.

In particolare, il primo degli errori di percezione denunciati non sussiste perchè nella sentenza impugnata emerge la consapevolezza che gli atti opposti riguardavano l’Iva (vedi la parte dedicata allo svolgimento del processo, dove si precisa che in appello era stata confermata “l’illegittimità dell’avviso di rettifica parziale dell’Iva per l’anno 1995 e dell’avviso di irrogazione di sanzioni relative alla medesima imposta emessi a carico di M.M.L.” nonchè, nella parte relativa ai “motivi di diritto”, la citazione di alcune massime in materia di Iva), mentre vengono riportati i motivi del ricorso per cassazione siccome formulati dall’Agenzia ricorrente.

Per quanto riguarda la decisione nel merito, non emergono elementi che possono correlare la necessità di ulteriori accertamenti in fatto all’affermazione contenuta a pag. 9 della sentenza “i ricavi conseguiti dalla contribuente nell’attività di sfruttamento della cava, svolta come accertato dal giudice di merito (contratto stipulato….) in modo continuativo e stabile..”.

In definitiva non risulta dalla sentenza impugnata che il fatto che si assume erroneo costituisca il fondamento della decisione revocanda o comunque ne rappresenti l’imprescindibile oltre che esclusiva premessa logica sicchè tra il fatto erroneamente percepito e la statuizione adottata intercorra un nesso di necessità logica e giuridica tale da determinare, in ipotesi di percezione corretta, una decisione diversa (v. Cass. 14858/2013).

Giova in proposito evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, l’errore di fatto di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4 deve: consistere in una errata percezione del fatto, una svista di carattere materiale oggettivamente ed immediatamente rilevabile, tale da avere indotto il giudice a supporre la esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile; essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa; non riguardare un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata; presentare i caratteri della evidenza e della obiettività, sì da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche; non consistere in un vizio di assunzione del fatto nè in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo.

L’errore di fatto revocatorio pertanto non soltanto) deve apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, ma non può tradursi in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, ovvero di norme giuridiche e principi giurisprudenziali, configurandosi in tal caso un errore di giudizio, inidoneo a determinare la revocabilità delle sentenze della Cassazione (fra le tante v. Cass. nn. 446 del 2015; 1731 del 2014; 22171 del 2010 nonchè s.u. n. 7217 del 2009), essendo peraltro da aggiungere che non può ritenersi sussistente l’errore revocatorio allorchè la parte abbia denunciato l’erronea presupposizione dell’esistenza di un giudicato, poichè questo, essendo destinato a fissare la “regola” del caso concreto, partecipa della natura dei comandi giuridici e, conseguentemente, la sua interpretazione non si esaurisce in un giudizio di fatto, ma attiene all’interpretazione delle norme giuridiche (v. Ord. n. 321 del 2015; sent. n. 17443 del 2008).

Col secondo motivo, denunciando violazione del giudicato interno formatosi sul capo della sentenza d’appello (CTR Lombardia n. 130/20/05) che ha dichiarato l’illegittimità della rettifica e della sanzione IVA per infondatezza della pretesa, la ricorrente assume che la Code avrebbe omesso di rilevare l’estraneità all’oggetto della controversia delle censure formulate dall’Agenzia delle Entrate e quindi la formazione del giudicato sulla sentenza della CTR oggetto di impugnazione.

La censura è inammissibile alla luce dei principi affermati da questa Corte (v. tra le altre cass. s.u. n. 17557 del 2013 -secondo la quale è inammissibile la revocazione delle sentenze della Corte di cassazione per pretesa violazione di un giudicato interno al processo, non essendo questa violazione riconducile al combinato disposto dell’art. 395 c.p.c., n. 5 e art. 391 bis c.p.c., nonchè cass. n. 155 del 2014 – secondo la quale l’istanza di revocazione prevista dall’art. 395 c.p.c., n. 5, per essere la sentenza da revocare contraria ad altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giuudicata, è ammissibile solo quando si tratta di giudicato risultante da un giudizio separato e sempre che, con la sentenza da revocare, il giudice non abbia pronunciato sull’eccezione di esterno;

quando il contrasto con un precedente giudicato si riferisce ad una sentenza pronunciata nell’ambito dello stesso giudizio, il rimedio contro la violazione del giudicato interno è quello del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Con terzo motivo, deducendo errore di percezione di un atto di causa, cioè delle memorie ex art. 378 c.p.c. nelle quali è stata sollevata l’eccezione di giudicato formulata dalla dott.ssa M. ed opposta nei confronti (non di un terzo, ma) di un soggetto (Agenzia delle Entrate) che è stato parte dei giudizi nei quali si è formato il giudicato, la ricorrente assume che la sentenza impugnata sarebbe affetta dall’errore revocatorio di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, rappresentato dall’errore di percezione commesso riguardo al contenuto della memoria presentata dalla dottoressa M. ai sensi dell’art. 378 c.p.c. In particolare, secondo la ricorrente la Corte non avrebbe considerato l’integrale contenuto dell’eccezione di giudicato esterno formulata nella citata memoria con riferimento alla qualità soggettiva di “privato venditore” della M., nonchè circa la posizione processuale dell’Agenzia delle Entrate, non configurabile quale terzo, a seguito del passaggio in giudicato delle sentenze della CTR dell’Emilia e Romagna nn. 53, 54 e 55 del 1996, giusta ordinanze di questa Corte nn. 23206, 23368 e 23369 del 2008.

Con quarto motivo, deducendo errore di percezione circa il contenuto delle statuizioni oggetto del giudicato opposto dalla dott.ssa M. – il quale avrebbe riguardato direttamente e specificamente lo stato (di non imprenditore) della suddetta -, la ricorrente assume che la Corte sarebbe incorsa in errore di fatto non rilevando che il giudicato opposto “riguardava statuizioni concernenti non il rapporto giuridico d’imposta di cui era soggetto passivo Cave San Bartolo s.p.a. bensì l’esclusione dello status di imprenditrice attribuito alla dott.ssa M.”.

Le censure sono inammissibili avendo la Corte espressamente disatteso l’eccezione di giudicato I laddove ha affermato che la M. “è parte di un distinto ed indipendente rapporto obbligatorio con l’Amministrazione finanziaria, rispetto a quello intercorrente tra questa e la società Cave San Bartolo, con la conseguenza che il giudicato intervenuto nella controversia tra queste ultime non ha alcuna efficacia vincolante nel presente giudizio”.

Con quinto motivo, deducendo violazione del giudicato esterno (formatosi sulla sentenza n. 57/44/07 della CTR Lombardia e relativo alla negazione dello status di imprenditore della dott.ssa M.) la ricorrente assume che la decisione impugnata sarebbe contraria ad altro giudicato “esterno”, costituito dalla sentenza della CTR della Lombardia n. 57/44/07, passata in giudicato per effetto della sentenza della Corte di cassazione n. 697 del 2011, coeva della decisione impugnata. La censura è inammissibile alla luce della giurisprudenza di questo giudice di legittimità (v. tra numerose altre s.u. n. 23833 del 2015; s.u. n. 11508 del 2012; s.u. n. 10867 del 2008) secondo la quale avverso le sentenze della Corte di cassazione non è ammissibile la revocazione per contrasto di giudicati, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 5, non essendo tale ipotesi espressamente richiamata nella disciplina di cui agli artt. 391 bis e 391 ter c.p.c., secondo una scelta discrezionale del legislatore non in contrasto con alcun principio e norma costituzionale.

E ciò a prescindere dal fatto che, in ogni caso, la decisione oggi impugnata non avrebbe potuto prendere in considerazione un giudicato ancora inesistente perchè ad essa successivo, posto che la sentenza di cassazione che ha determinato il passaggio in giudicato della citata pronuncia della C.T.R. è stata pubblicata (quindi è “venuta ad esistenza”) in epoca successiva alla pubblicazione della decisione impugnata in questa sede, come testimoniato dal successivo numero assunto dalla stessa al momento della pubblicazione.

In proposito è appena il caso di rilevare che, secondo quanto ribadito da ultimo da su n. 569 del 201, “il deposito e la pubblicazione della sentenza coincidono e si realizzano nel momento in cui il deposito ufficiale in cancelleria determina l’inserimento della sentenza nell’elenco cronologico con attribuzione del relativo numero identificativo e conseguente possibilità per gli interessati di venirne a conoscenza e richiederne copia autentica: da tale momento la sentenza esiste a tutti gli effetti e comincia a decorrere il cosiddetto termine lungo per la sua impugnazione”, e deve ulteriormente evidenziarsi che la sentenza della Corte di cassazione impugnata in questa sede per revocazione reca il n. 695 del 2011 laddove la sentenza della Corte di cassazione che ha determinato il passaggio in giudicato della sentenza n. 7/44/07 della C.T.R. Lombardia (e quindi la formazione del giudicato esterno del quale si lamenta la violazione) reca il n. 697 del 2011, ed è quindi “venuta ad esistenza” successivamente alla sentenza oggetto della impugnazione in esame.

Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile. Le spese seguono a soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese che liquida in 8.000,00″, oltre spese forfetarie nella misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2016

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