Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22175 del 22/09/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 22/09/2017, (ud. 07/06/2017, dep.22/09/2017),  n. 22175

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12348-2012 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA,

che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

N.G., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIOVANNI DANIELE TOFFANIN, giusta delega in

atti;

– controricorrente –

e contro

S.G., B.G.;

– intimate –

avverso la sentenza definitiva n. 138/2011 della CORTE D’APPELLO di

VENEZIA, depositata il 16/05/2011 R.G.N. 233/2009;

avverso la sentenza non definitiva n. 785/210 della CORTE D’APPELLO

di VENEZIA, depositata il 03/02/2011 R.G.N. 233/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/06/2017 dal Consigliere Dott. ALFONSINA DE FELICE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per estinzione per S.,

B., rigetto per N.;

udito l’Avvocato CAMILLA NANNETTI per delega verbale Avvocato ARTURO

MARESCA;

udito l’Avvocato GIOVANNI DANIELE TOFFANIN.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenze non definitiva in data 3/02/2011 e definitiva in data 16/05/2011, la Corte d’Appello di Venezia, in parziale riforma della decisione del Tribunale stessa sede n. 134/2009 ha condannato Poste Italiane a riammettere in servizio S.G., Gabriella B.G., N.G., lavoratori a termine somministrati a Poste Italiane S.p.a. in virtù di un contratto di fornitura tra questa e la Ali S.p.a., e a risarcire agli stessi un danno pari alle retribuzioni dalla messa in mora fino al saldo, detratto l’aliunde perceptum.

I lavoratori, addetti ai call center di Poste Italiane nel servizio telegrammi nazionali, avevano lavorato in forza di contratti, prima di fornitura di lavoro temporaneo ex L. n. 196 del 1997 (solo per il N.) e poi di somministrazione di lavoro temporaneo ex L. n. 276 del 2003 con la società Ali s.p.a., prorogati senza soluzione di continuità ed erano stati invitati a non ripresentarsi più al lavoro dopo l’ultima proroga.

Secondo la Corte d’Appello i predetti contratti erano privi dei presupposti previsti dalla legge o dal contratto collettivo: in particolare non indicavano le ragioni giustificatrici del ricorso a tali forme flessibili nè contenevano la data d’inizio e la durata della somministrazione.

La Corte territoriale ha inoltre ritenuto che Poste Italiane non avesse fornito prova dell’esistenza del contratto di fornitura/somministrazione originario, a monte dei rapporti di lavoro in questione e, rilevando incongruenze insuperabili in ordine alla sussistenza dei requisiti di legge relativamente alle successive proroghe, ha applicato la sanzione della nullità per mancanza di forma scritta, ordinando a Poste Italiane la riassunzione a tempo indeterminato degli appellati (D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 11, comma 4 che riproduce la L. n. 196 del 1997, art. 10, comma 2).

Avverso tali decisioni interpone ricorso in Cassazione Poste Italiane S.p.a. con tre censure illustrate da memoria, cui resistono con tempestivo controricorso S.G., B.G. e N.G..

Prima dell’Udienza pubblica, nei termini di legge, il difensore di Poste Italiane S.p.a. ha fatto pervenire a questa Corte due atti di rinuncia al ricorso, rispettivamente nei confronti di S.G. e B.G., con i quali domanda l’estinzione del giudizio per essere le parti addivenute a una soluzione transattiva dell’intera vicenda in sede di conciliazione sindacale, i cui verbali allega.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Nella prima censura parte ricorrente lamenta violazione della L. n. 196 del 1997, art. 1, comma 5 e art. 10, comma 2 avendo la Corte d’appello ritenuto la nullità dei rapporti di lavoro per l’insussistenza della forma scritta del contratto di prestazioni di lavoro temporaneo, che sarebbe stata “coperta” dalla forma scritta di cui alla proroga, debitamente allegata nel giudizio di primo grado.

La prima censura è infondata.

La L. n. 196 del 1997, art. 10 norma ratione temporis applicabile alla fattispecie, individua due sanzioni diverse per due distinte posizioni giuridiche soggettive: la sanzione retributiva in capo all’impresa fornitrice e il conseguente diritto a una maggiorazione (20% della retribuzione) volta a compensare una prestazione resa in assenza di titolo nel caso di superamento della soglia temporale fra una proroga e l’altra (fino a dieci giorni); la sanzione della costituzione ex nunc di un rapporto a tempo indeterminato in capo all’utilizzatrice dovuta all’oggettivo fatto consistente nella prosecuzione del rapporto di lavoro senza soluzione di continuità, fattispecie considerata ad alta capacità di fraudolenza (Sez. Un. n. 11374/2016).

La Corte territoriale con motivazione coerente ed esente da vizi logici e argomentativi ha ritenuto che Poste Italiane S.p.a. non abbia offerto documentazione o prova sufficiente del corretto instaurarsi del contratto di fornitura e del corretto ricorso a prestazioni di lavoro a tempo determinato, ponendo in essere un abuso della forma contrattuale flessibile colpito dalla legge con la più drastica delle sanzioni, con mutamento del solo soggetto datoriale contraente.

La seconda censura si appunta sul cattivo governo delle norme riguardanti il regime probatorio da parte della Corte d’appello (artt. 420,421 e art. 2697 c.c.), deducendo che, il giudice del merito, nell’esercizio degli ampi poteri istruttori che la legge gli attribuisce, avrebbe dovuto indicare a Poste Italiane S.p.a. le irregolarità emerse e, qualora queste fossero sanabili, concedere termini alla parte per provvedervi.

La censura è infondata.

In conformità del costante orientamento di questa Corte, infatti, la sentenza gravata ha statuito che l’esercizio dei poteri ufficiosi non può sopperire a decadenze in cui sia incorsa la parte, onerata della prova del fatto posto a fondamento della difesa (Sez.Un. n.16781/2011).

Con la terza e ultima censura si contesta la violazione della L. n. 183 del 2010, art. 32 (cd. Collegato al lavoro), esteso a tutti i giudizi in corso. Erroneamente, infatti, la sentenza gravata ha condannato la ricorrente alla corresponsione a titolo risarcitorio delle retribuzioni maturate medio tempore, laddove avrebbe dovuto applicare l’indennità omnicomprensiva compresa tra 2,5 e 12 mensilità, prevista dalla L. n. 183, art. 32 per i casi di conversione del rapporto di lavoro a termine in contratto di lavoro a tempo indeterminato, in quanto regola speciale.

La censura è fondata.

Secondo un recente orientamento di questa Corte (Sez. Un. n.11374/2016) la rilevanza di ogni questione che faccia riferimento alla L. n. 183 del 2010, art. 32quale jus superveniens, “…si pone solo quando, accertata l’illegittimità dell’apposizione del termine si passi all’individuazione delle sanzioni da applicare quale conseguenza”.

Essendo stata, nel caso in esame, accertata l’illegittimità dell’apposizione del termine, deve ritenersi fondata la censura con cui si contesta al Giudice d’Appello di aver condannato la ricorrente a corrispondere un risarcimento pari alle retribuzioni medio tempore maturate e non all’indennità omnicomprensiva in una misura ricompresa tra le 2,5 e le 12 mensilità, così come previsto dall’art. 32, quale norma speciale espressamente estesa a tutti i giudizi in corso.

Conclusivamente, mentre è dichiarata cessata la materia del contendere per il giudizio instaurato da Poste Italiane nei confronti di S.G. e B.G., per quanto riguarda il giudizio proposto dalla Società ricorrente nei confronti di N.G. le prime due censure sono rigettate e la terza è accolta. Pertanto, la sentenza è cassata in relazione al motivo accolto, e se ne dispone il rinvio alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione, che statuirà anche in ordine alle spese di questo giudizio.

PQM

 

Quanto al ricorso di Poste Italiane S.p.a. nei confronti di S.G. e B.G., la Corte dichiara cessata la materia del contendere e compensa le spese. In merito al ricorso nei confronti di N.G., la Corte rigetta la prima e la seconda censura, accoglie la terza e rinvia, in relazione al motivo accolto, alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione la quale deciderà anche sulle spese di questo giudizio.

Così deciso in Roma, nell’Udienza, il 7 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2017

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