Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22173 del 12/09/2018

Cassazione civile sez. lav., 12/09/2018, (ud. 06/02/2018, dep. 12/09/2018), n.22173

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17764-2013 proposto da:

V.S., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZALE CLODIO 14, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO DI CELMO,

che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8896/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/01/2013 R.G.N. 6205/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/02/2018 dal Consigliere Dott. FEDERICO DE GREGORIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per inammissibilità, in subordine

rigetto;

udito l’Avvocato MASSIMO DI CELMO;

udito l’Avvocato FRANCESCA BONFRATE per delega verbale Avvocato LUIGI

FIORILLO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

V.S. appellava la sentenza del giudice del lavoro di Roma, che aveva rigettato la propria domanda volta ad accertare il vantato diritto all’assunzione alle dipendenze di POSTE ITALIANE S.p.a. mediante costituzione di rapporto a tempo indeterminato con detta società, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2932 c.c., con la condanna altresì della convenuta al risarcimento dei danni commisurati alle retribuzioni spettanti da aprile a settembre 2010, sulla scorta di apposito accordo sindacale e di verbale di conciliazione.

La Corte di Appello della Capitale rigettava l’interposto gravame, come da sentenza n. 889 in data sei novembre 2012 – 10 gennaio 2013, osservando che in base alla conciliazione la ricorrente era stata convocata con lettera del 17 dicembre 2009 per l’offerta dei posti disponibili ed invitata a chiedere i certificati indicati nella stessa lettera da presentare presso la sede regionale al momento dell’assunzione, in mancanza dei quali non sarebbe stato possibile procedervi. L’accordo sindacale del 10 luglio 2008 ed il verbale di conciliazione, tuttavia, non individuavano alcun diritto soggettivo dell’interessata all’assunzione, per cui era soltanto previsto l’inserimento della lavoratrice nella graduatoria, da cui attingere i soggetti da assumere, previo accertamento dei relativi requisiti.

La lettera di convocazione per la scelta del posto di lavoro, cui aveva fatto seguito la dichiarazione della V. della posizione lavorativa interessata, costituiva, quindi, secondo la Corte capitolina, proposta contrattuale, da valutarsi alla stregua dei principi in materia di responsabilità precontrattuale, con conseguenti eventuali responsabilità ai sensi degli artt. 2043 e 2056 c.c., però senza la costituzione di un obbligo a contrarre rapporto di lavoro ex art. 2932 c.c.. Nella specie, seppure fosse stato ravvisabile un affidamento dell’appellante in ordine all’assunzione, non potevano dirsi violati gli obblighi di correttezza e buona fede da parte della società, che non aveva perfezionato il contratto, risultando l’attrice dal certificato dei carichi pendenti imputata a seguito di citazione diretta a giudizio per i reati indicati, tra cuì quello previsto dall’art. 349 c.p.. Tale condizione, quindi, era ostativa all’assunzione, secondo il modello sottoscritto dall’interessata, laddove si richiedeva espressamente la totale incensuratezza coerentemente con le previsioni di cui all’art. 19 c.c.n.l., secondo cui ai fini dell’assunzione occorreva pure un certificato penale di data anteriore a tre mesi, che per la genericità del termine adoperato (certificato) era riferibile anche a quello di carichi pendenti. Rientrava, quindi, nelle prerogative della società la valutazione, non pretestuosa o in malafede, ai fini della sussistenza delle condizioni soggettive per un’assunzione stabile, atteso l’anzidetto intervenuto esercizio dell’azione penale per i reati di cui agli artt. 650 e 349 c.p..

Avverso la pronuncia di appello ha proposto ricorso per cassazione V.S. come da atto del 9 – 10 luglio 2013, affidato ad un solo articolato motivo, cui ha resistito POSTE ITALIANE S.p.a. mediante controricorso notificato il 31 luglio 2013, poi illustrato da memoria, ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso, formulato ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è stata denunciata la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1175,2043,2056 e 2932 c.c., nonchè dell’art. 19 c.c.n.l. relativo a POSTE ITALIANE con riferimento agli artt. 1362 c.c. e ss. e art. 12 disp. gen., della L. n. 300 del 1970, art. 8 e art. 27 Cost..

Le doglianze ivi mosse, prima ancora che infondate, risultano, invero, inammissibili per difetto dì rituali complete allegazioni ex art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6. Ed invero il ricorso, dopo aver pressochè pedissequamente riportato l’intera sentenza impugnata, ha tuttavia omesso di precisare quanto a suo tempo dedotto con il ricorso introduttivo e con quello d’appello ex art. 434 c.p.c., nonchè in particolare, compiutamente, il contenuto dei pur richiamati accordi sindacali in data 13 gennaio 2006, 10 luglio 2008, verbale di conciliazione e della proposta 1712-2009 “format allegato” (lettera di convocazione per cui il ricorrente assume, però apoditticamente, il difetto di un qualsiasi riferimento a situazioni ostative riconducibili alle esigenze dei carichi pendenti, mediante il solo generico rinvio al doc.to n. 5 della produzione di parte di primo grado, rinvio che come per gli altri atti non soddisfa, però, le formalità di riproduzione, anche se non integrali, richieste a pena d’inammissibilità invece dal succitato art. 366 n. 6, mentre a diverse finalità risponde l’obbligo di deposito, sanzionato a pena d’improcedibilità, invece, dall’art. 369 c.p.c., comma 2.

V. inoltre Cass. Sez. 6 – 3, ordinanza n. 1926 del 03/02/2015: per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), il ricorso per cassazione deve contenere l’esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamene erronea, compiuta dal giudice di merito. Il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa. Conformi Cass. 1 civ. n. 19018 del 31/07/2017, Cass. lav. n. 31082 del 28/12/2017, Cass. lav. n. 7825 del 04/04/2006).

Peraltro, in un caso analogo a quello qui in discussione questa Corte ha avuto modo di affermare, con la sentenza n. 12086 del 18/01 – 16/05/2017, pronunciata a seguito di ricorso proposto da POSTE ITALIANE S.p.a. (avverso sentenza di merito che aveva ritenuto il diritto dell’attore all’assunzione, presso la società convenuta, in base all’accordo sindacale del 13.1.2006 e alla successiva proposta di POSTE ITALIANE, con la condanna di quest’ultima ad assumere il lavoratore istante con rapporto subordinato a tempo indeterminato), che il ricorso risultava fondato, essendo stato erroneamente applicato, nella specie, l’art. 2932 c.c. unitamente alla normativa pattizia e contrattuale richiamata: era pacifico che l’assunzione de qua risultava subordinata alla verifica della documentazione indicata nel “Format Dichiarazione Individuale Posizione Lavorativa di Interesse Recapito Full Time”. Non era condivisibile l’argomentazione dei giudici di appello secondo cui, non essendo il certificato dei carichi pendenti richiesto dal CCNL (art. 19), era illegittima la pretesa della società di considerare non integrata la condizione sospensiva a causa di un procedimento pendente risultante dal detto certificato. Nel “Format infatti, era espressamente indicato tale certificato e l’aspirante si era impegnato, senza alcuna riserva, a produrlo. Il dato letterale del testo era chiaro e, in tema di interpretazione dei contratti, il senso letterale rappresenta lo strumento di interpretazione prioritario e fondamentale per la corretta ricostruzione della comune intenzione delle parti (tra le altre Cass. 2.8.2000 n. 10106). Inoltre, dall’esame dell’accordo collettivo del 13.1.2006, del verbale di conciliazione del 26.5.2006, della convocazione in data 15.1.2008 presso la Struttura Centrale di Roma e del “Format Dichiarazione” sottoscritto in pari data, non era ravvisabile alcun impegno della società ad assumere il lavoratore, con il contestuale obbligo a perfezionare in ogni caso il contratto, perchè il testo del “Format era univoco nel senso di precisare che l’assunzione sarebbe stata subordinata alla presentazione di una serie di documenti e che la sottoscrizione ed accettazione dell’assunzione sarebbe avvenuta in data 1.2.2008 coincidente con il primo giorno lavorativo presso la Struttura all’uopo indicata. Tuttavia, la pendenza di un procedimento penale per il reato di cui all’art. 588 c.p., comma 2, risultante dal relativo certificato, e l’assenza di un obbligo in capo alla società di perfezionare in ogni caso il contratto avevano, quindi, determinato legittimamente la sospensione dell’attività riguardante l’assunzione in parola in attuazione del potere discrezionale – riconosciuto, contrattualmente, con il “Format Dichiarazione” dallo stesso interessato e, costituzionalmente, dall’art. 41 Cost. – di escludere il diritto all’assunzione di soggetti, allorquando l’assunzione stessa si configuri come incompatibile con le esigenze di affidabilità e, nello stesso tempo, di piena, pronta e perdurante funzionalità dell’impresa privata, segnatamente nel caso che l’attività spiegata coinvolga interessi di ampie categorie di cittadini. In presenza di una tale situazione, pertanto, erroneamente i giudici di seconde cure avevano ritenuto applicabile al caso di specie il rimedio alla tutela specifica di cui all’art. 2932 c.c.. Vi ostavano, infatti, ragioni di impossibilità di fatto e di diritto, come sopra evidenziato, che impedivano la realizzazione del risultato del contratto definitivo. E non si trattava di inesattezze o impossibilità compatibili con la pretesa dell’esecuzione del contratto attenendo le cause ostative alla mancanza di una preesistente volontà contrattuale, completa in tutti i suoi elementi e in tutte le valutazioni ancora da compiersi, diretta alla costituzione automatica del rapporto.

In definitiva, il motivo andava accolto, restando assorbito l’esame delle altre doglianze. La sentenza impugnata veniva, dunque, cassata con rinvio della causa alla Corte di merito per nuovo esame, ma in adesione agli anzidetti principi di diritto.

Va soltanto aggiunto che nel caso di specie qui in esame, alla stregua della ratio decidendi – in base alla quale i giudici di merito, di primo e secondo grado, hanno ritenuto l’infondatezza della domanda – si appalesano assolutamente inconferenti le lamentate violazioni di legge in ordine alla L. n. 300 del 1970, art. 8 (divieto di indagini sulle opinioni politiche, religiose e sindacali del lavoratore, nonchè su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore), art. 27 Cost. (circa la responsabilità penale, la presunzione di non colpevolezza sino a condanna definitiva e la funzione della pena). Quanto, poi, agli artt. 1337 e 1338 c.c., concernenti le trattative e la responsabilità precontrattuale, nonchè la conoscenza delle cause di invalidità, come già chiarito in narrativa, i giudici di merito hanno motivatamente escluso ipotesi di mala fede da parte di Poste Italiane, donde l’assenza di ogni responsabilità al riguardo da parte della società convenuta.

Dunque, il ricorso deve essere disatteso, con conseguente condanna del soccombente alle relative spese, sussistendo, per altro verso, anche i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

la Corte dichiara INAMMISSIBILE il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida a favore della società controricorrente in ragione di complessivi =3500,00= (tremilacinquecento/00) Euro per compensi professionali ed in Euro =200,00= (duecento/00) per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2018

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