Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22171 del 05/09/2019

Cassazione civile sez. III, 05/09/2019, (ud. 12/06/2019, dep. 05/09/2019), n.22171

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22152-2016 proposto da:

M.A., titolare dell’omonima ditta individuale,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RADICOFANI 140, presso lo

studio dell’avvocato ORNELLA LOVELLO, rappresentato e difeso

dall’avvocato ENRICO SANTILLI;

– ricorrente –

contro

F.S. in proprio e nella qualità di erede di F.B.

e D.A.N., M.O., F.G. in proprio e nella

qualità di erede di F.B. E D.A.N., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA G.G. BELLI N. 79, presso lo studio

dell’avvocato LOREDANA SERVA, rappresentati e difesi dall’avvocato

ANNA AUTIZI;

– controricorrenti –

e contro

D.A.N.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1229/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/06/2019 dal Consigliere Dott. PELLECCHIA Antonella.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Nel 2005, M.A., nella qualità di titolare dell’omonima ditta individuale, convenne in giudizio M.O., F.G., F.S. e D.A.N., questi ultimi tre sia in proprio che nella qualità di eredi di F.B., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni per equivalente conseguenti all’inadempimento di costoro agli obblighi assunti con la scrittura privata transattiva sottoscritta nel 2005 dall’attore con i convenuti e F.B..

Espose che con la suddetta scrittura erano stati regolati una serie di rapporti di dare e avere, coinvolgenti anche la F. S.r.l., in forza dei quali ad esso istante era stato accordato il diritto di procedere ad attività di estrazione di materiale inerte su terreno di F.B., entro certi limiti di tempo e di quantità, a condizione che fosse rilasciata la relativa autorizzazione dall’autorità competente; che i convenuti si erano resi inadempienti agli impegni presi, provvedendo in proprio allo sfruttamento dell’area e, quindi, precludendo ad esso attore di beneficiare della prestazione promessa nell’accordo transattivo. Chiese la condanna al risarcimento del danno, da quantificare in un importo corrispondente al valore commerciale della cubatura che avrebbe potuto estrarre dalla cava.

Si costituirono i convenuti, contestando la fondatezza di quanto ex adverso sostenuto, essendo decorso il termine per l’adempimento previsto dal contratto ed in considerazione del mancato rilascio in favore del F. dell’autorizzazione allo sfruttamento del terreno.

Il Tribunale di Rieti, con la sentenza n. 308/2012, rigettò la domanda, escludendo qualsivoglia inadempimento degli appellati alle obbligazioni assunte con la citata scrittura privata.

2. La decisione è stata confermata dalla Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 1229 del 24 febbraio 2016.

La Corte territoriale ha osservato che il diritto attribuito al M. era sottoposto alla condizione sospensiva del rilascio dell’autorizzazione amministrativa per l’attività estrattiva di inerti e che tale autorizzazione, regolarmente richiesta per il periodo concordato, non fu mai rilasciata. Ha quindi ritenuto che, non avendo gli eredi F. in alcun modo influito sul mancato avveramento della condizione sospensiva, non sarebbe applicabile l’art. 1359 c.c..

Semmai, secondo la Corte, avrebbe potuto essere invocato l’art. 1358 c.c., in base al quale il contraente che ha attribuito un diritto sotto condizione sospensiva ha il dovere, durante la pendenza della condizione, di comportarsi secondo buona fede per conservare integre le ragioni dell’altra parte. Tuttavia, in tal caso, l’azione di risoluzione del contratto e la pretesa risarcitoria dovevano essere fatti valere prima della scadenza del termine entro cui avrebbe dovuto avverarsi la condizione sospensiva. Pertanto, non avendo il M. chiesto la risoluzione anticipata del contratto per inadempimento dell’obbligo di cui all’art. 1358 c.c. ed essendosi astenuto dal compiere atti conservativi ex art. 1356 c.c. al fine di tutelare il proprio diritto durante la pendenza della condizione, non avrebbe più potuto chiedere la risoluzione per inadempimento dopo il mancato verificarsi della condizione sospensiva, per essere l’inadempimento contrattuale verificabile solo in relazione ad un contratto efficace.

Per queste ragioni, secondo la Corte d’appello, non assumerebbe rilevanza l’accertamento dell’illegittimo sfruttamento della cava durante la pendenza della condizione nè l’individuazione degli autori di tale abusiva attività nelle persone dei convenuti.

3. Avverso tale sentenza propone ricorso in Cassazione M.A., sulla base di un unico motivo.

3.1. Resistono con controricorso F.S. e G., in proprio e nella qualità di eredi di F.B. e di D.A.N., nonchè M.O..

Diritto

CONSIDERATO

che:

4. con l’unico motivo di ricorso, il M. lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1359 c.c. in relazione all’art. 1358 c.c. per mancato avveramento della condizione”. I,a condizione, consistente nella concessione delle autorizzazioni all’estrazione, sarebbe venuta meno per fatto imputabile ai convenuti, i quali, con il loro comportamento, ne avrebbero causato il mancato avveramento.

Infatti parte convenuta, cui spettava ottenere le autorizzazioni, avrebbe tenuto una condotta tale da escludere l’avveramento della predetta condizione, sia perchè avrebbe sfruttato l’area in assenza di autorizzazione, sia perchè, in conseguenza di ciò l’area sarebbe stata oggetto di sequestro.

Non sarebbe poi corretta la riqualificazione della fattispecie sub art. 1358 c.c., operata d’ufficio dalla Corte d’appello. Non potrebbe infatti essere imputato al ricorrente alcun comportamento omissivo o commissivo in ordine all’adempimento della prestazione, nè essere ipotizzata la violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede. Il M., in pendenza della condizione, aveva semmai l’onere di astenersi da azioni che potessero pregiudicare interessi delle controparti e, magari,condizionare in senso negativo l’iter amministrativo volto alla concessione delle autorizzazioni.

Nella fattispecie, inoltre, l’interesse all’avveramento della condizione (cioè all’ottenimento delle concessioni all’estrazione) sarebbe venuto meno per effetto dell’integrale sfruttamento dell’area. Pertanto, potrebbe applicarsi la finzione di avveramento della condizione di cui all’art. 1359 c.c..

5. Il ricorso è inammissibile.

Il ricorrente non contesta l’affermazione della Corte territoriale secondo cui l’autorizzazione amministrativa per l’attività estrattiva era stata regolarmente richiesta per il periodo concordato. Sostiene, però che i F.- M. sfruttando abusivamente l’area de quo, avrebbero influito in senso negativo sull’avveramento della condizione.

Tuttavia, dalla sentenza impugnata, non risulta che la concessione non sia stata rilasciata per ragioni attinenti allo svolgimento abusivo dell’attività estrattiva da parte dei resistenti, nè che in pendenza della condizione sia avvenuto il sequestro dell’area.

Il ricorrente avrebbe perciò dovuto riportare le risultanze istruttorie da cui tali circostanze emergerebbero, oltre che indicare in quali atti delle fase di merito le medesime circostanze sarebbero state dedotte.

In mancanza, non è possibile, in questa sede di legittimità, esaminare la censura con cui si lamenta la mancata applicazione della finzione di avveramento di cui all’art. 1359 c.c., non risultando validamente dedotto alcun comportamento dei resistenti cui sia imputabile il mancamento avveramento della condizione.

Correttamente, poi, la decisione impugnata ha escluso la configurabilità di un obbligo risarcitorio ex art. 1358 c.c. Sul punto, tuttavia, la motivazione deve essere corretta.

Infatti, è vero che, come rileva la Corte d’appello, la giurisprudenza ha affermato che “ove la condizione non si verifichi, non è configurabile un inadempimento delle obbligazioni rispettivamente assunte dalle parti con il contratto, giacchè l’inadempimento contrattuale è verificabile solo in relazione ad un contratto efficace”, con la conseguenza che, in tale ipotesi, “non può farsi luogo a risoluzione per inadempimento delle obbligazioni contrattuali” (Cass. civ. Sez. II 18/03/2002, n. 3942).

La medesima giurisprudenza, però, espressamente salva, in tali casi, la configurabilità dell’azione di risoluzione per inadempimento dell’obbligazione prevista dall’art. 1358 c.c. (Cass. civ. Sez. II, 18/03/2002, n. 3942, cit., Cass. civ. Sez. II, 19/06/2014, n. 14006). Tuttavia, nel caso specifico in cui una parte si sia obbligata o abbia alienato un bene sotto la condizione sospensiva del rilascio di determinate autorizzazioni amministrative necessarie per la realizzazione delle finalità economiche che l’altra parte si propone, è possibile riconoscere il danno solo quando, avuto riguardo alla situazione di fatto esistente nel momento in cui si è verificato l’inadempimento, debba ritenersi che la condizione avrebbe potuto avverarsi, essendo possibile il legittimo rilascio delle autorizzazioni amministrative con riguardo alla normativa applicabile (Cass. civ. Sez. II, 12/02/2014, n. 3207).

Pertanto, il ricorrente avrebbe dovuto fornire la prova che, nella situazione data, una legittima conclusione positiva del procedimento era possibile, in presenza di circostanze tali da fare ragionevolmente presumere che il procedimento amministrativo avrebbe avuto esito favorevole.

Tali circostanze, invece, non risultano nemmeno allegate.

6. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

Infine, dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 girate; introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 6.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2019

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