Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22163 del 05/09/2019

Cassazione civile sez. III, 05/09/2019, (ud. 28/03/2019, dep. 05/09/2019), n.22163

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi A. – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24614-2017 proposto da:

FALLIMENTO (OMISSIS) SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del Curatore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 268/A, presso

lo studio dell’avvocato GIANLUCA CAPOROSSI, rappresentato e difeso

dall’avvocato GIULIO BERNINI;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in proprio e nella

qualità di procuratore speciale di SCIP – Società

Cartolarizzazione Immobili Pubblici Srl, elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo studio dell’avvocato

GIUSEPPE FIORENTINO, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato MARIA MORRONE;

– controricorrente –

e contro

ASSICURAZIONI GENERALI SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 647/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 21/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/03/2019 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito il P.M. in persona del. Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI CARMELO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato BERNINI GIULIO;

udito l’Avvocato FIORENTINO GIUSEPPE.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 21/3/2017 la Corte d’Appello di Firenze ha respinto i gravami interposti dalla società Assicurazioni Generali s.p.a., in via principale, e dalla società (OMISSIS) s.r.l., in via incidentale, in relazione alla pronunzia Trib. Firenze 5/1/2009, di accoglimento della domanda da quest’ultima proposta nei confronti dell’Inpdap ed altri di risarcimento dei danni subiti in conseguenza di incendio sviluppatosi il 27/1/2003, che ha distrutto il capannone industriale sito in (OMISSIS), da essa condotto in locazione.

Incendio ascritto all’esclusiva responsabilità ex art. 2051 c.c. dei custodi, individuati sia nella società Romeo Gestioni s.p.a., gestore dell’immobile di proprietà dell’Inpdap (poi trasferito alla S.C.I.P. Società di Cartolarizzazione Immobili Pubblici con D.M. 21 novembre 2002, cui è successivamente subentrata ex lege l’Inps), committente di lavori di impermeabilizzazione della copertura per l’eliminazione di infiltrazioni all’impresa B.; sia in quest’ultima, appaltatrice dei lavori, il cui dipendente sig. C. aveva mantenuto una “condotta inadeguata e gravemente inadempiente”, con “maldestro uso di una fiamma ossidrica”, cui conseguì “l’accensione del plexiglas di cui erano costruiti i lucernari con conseguente propagazione dell’incendio all’intera struttura”, ivi ricompresa la “campata sotto la quale si trovavano immagazzinati libri ed attrezzature della predetta conduttrice”.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il Fallimento (OMISSIS) s.r.l. in liq. (già (OMISSIS) s.r.l., già (OMISSIS) s.r.l.) propone ora ricorso per cassazione, affidato a 5 motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso l’Inps.

L’altra intimata non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo il ricorrente denunzia violazione dell’art. 2051 c.c., ed “errata disapplicazione” dell’art. 2053 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 5 motivo denunzia violazione dell’art. 115 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente fatto applicazione dell’art. 2051 anzichè dell’art. 2053 c.c., che “atteso il carattere di specialità prevale” sulla responsabilità da custodia.

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente valutato le emergenze processuali.

Con il 2 motivo denunzia “violazione ed errata applicazione” degli artt. 2051,2053 e 832 c.c., L. n. 410 del 2001, artt. 2 e 3, D.M. 22 novembre 2002, ed “errata disapplicazione” dell’art. 2053 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito non abbia considerato che il “portafoglio immobiliare” trasferito a SCIP costituisce “patrimonio separato” e ha come “unico oggetto la gestione della operazione di cartolarizzazione”, sicchè “ciò che viene trasferito a SCIP non pare… integrare il contenuto della piena proprietà ex art. 832 c.c. ma solo funzioni connesse alla cartolarizzazione”.

Lamenta che “alla data dell’evento dannoso (27.1.2003), non essendo intervenuto il trasferimento di cui all’art. 4, D.M. citato, era ancora titolare dei poteri e doveri connaturati alla proprietà, responsabile, quale custode, della gestione dell’immobile e legittimato passivo in ordine alla causa risarcitoria”.

Si duole non essersi dalla corte di merito considerato che “la Romeo Gestioni quale “delegata” di SCIP… operava in nome e per conto della mandante, riversando sulla stessa la relativa responsabilità, mentre l’impresa appaltatrice ( B.), intervenendo sulla porzione di tetto adiacente a quello sovrastante la porzione utilizzata dalla Casa Editrice, non aveva la “custodia” delle lastre di plexiglass che costituivano la copertura del contiguo fabbricato”.

Con il 3 motivo denunzia “erronea interpretazione, violazione e falsa applicazione” degli artt. 2051,2053 e 2697 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole non essersi dalla corte di merito considerato che la “presenza di Romeo Gestioni, mandataria di SCIP, non esclude i doveri di custodia nè interrompe il nesso di causalità che caratterizza la responsabilità della proprietà mandante”.

Con il 4 motivo denunzia “erronea interpretazione, violazione e falsa applicazione” degli artt. 1227 e 2055 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il ricorso è sotto plurimi profili inammissibile.

Va anzitutto osservato che esso risulta formulato in violazione del requisito a pena di inammissibilità richiesto all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nel caso non osservato laddove viene operato il riferimento de relato ad atti e documenti del giudizio di merito (es., al contratto di appalto stipulato dalla società Romeo Gestioni s.p.a. con l'”impresa B.”, alla sentenza del giudice di prime cure, ai “separati appelli Assicurazioni Generali e Casa Editrice”) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti (in particolare, stralci della CTU), senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione.

E’ al riguardo appena il caso di osservare che i requisiti di formazione del ricorso per cassazione ex art. 366 c.p.c. vanno indefettibilmente osservati, a pena di inammissibilità del medesimo.

Essi rilevano ai fini della giuridica esistenza e conseguente ammissibilità del ricorso, assumendo pregiudiziale e prodromica rilevanza ai fini del vaglio della relativa fondatezza nel merito, che in loro difetto rimane invero al giudice imprescindibilmente precluso (cfr. Cass., 6/7/2015, n. 13827; Cass., 18/3/2015, n. 5424; Cass., 12/11/2014, n. 24135; Cass., 18/10/2014, n. 21519; Cass., 30/9/2014, n. 20594; Cass., 5 19/6/2014, n. 13984; Cass., 20/1/2014, n. 987; Cass., 28/5/2013, n. 13190; Cass., 20/3/2013, n. 6990; Cass., 20/7/2012, n. 12664; Cass., 23/7/2009, n. 17253; Cass., 19/4/2006, n. 9076; Cass., 23/1/2006, n. 1221).

A tale stregua, l’accertamento in fatto e la decisione dalla corte di merito adottata e nell’impugnata decisione rimangono invero dall’odierno ricorrente non idoneamente censurati.

Va per altro verso posto in rilievo come, al di là della formale intestazione dei motivi, il ricorrente deduca in realtà doglianze (anche) di vizio di motivazione al di là dei limiti consentiti dalla vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053), nel caso ratione temporis applicabile, sostanziantesi nel mero omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche come nella specie l’omesso e a fortiori l’erronea valutazione di determinate emergenze probatorie (cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, conformemente, Cass., 29/9/2016, n. 19312).

Va per altro verso posto in rilievo come non risulti dall’odierno ricorrente invero censurata la ratio decidendi dell’impugnata sentenza secondo cui (“incontroversa essendo la “responsabilità per danni (cui conseguì il pagamento parziale dell’indennizzo assicurativo) conseguente ad un incendio sviluppatosi il 27/1/2003 nell’immobile di via Nazioni Unite in Scandicci secondo modalità, cause scatenanti e conseguenze che sono pacifiche in causa”) “nel caso… in esame si versa… in una situazione peculiare, poichè l’immobile era bensì locato alla stessa danneggiata (OMISSIS) s.r.l…. ma i danni originarono non da una sua attività bensì… da quella di un terzo, incaricato dal suo gestore di eseguirvi lavori per l’eliminazione di infiltrazioni, cosa che, per effetto del maldestro uso di una fiamma ossidrica comportò l’accensione del plexiglas di copertura del lucernario più vicino, di qui propagatosi a quelli contigui fino all’ultimo, costituente copertura della campata sotto la quale si trovavano immagazzinati libri ed attrezzature della predetta conduttrice. In tale situazione si può del tutto legittimamente dubitare della ricorrenza di un’ipotesi inquadrabile nell’art. 2053 c.c. che, sia per il tenore testuale della disposizione che per l’interpretazione che ne viene data dalla giurisprudenza, considera rovina ogni disgregazione, sia pure limitata, degli elementi strutturali della costruzione, ovvero degli elementi accessori in essa stabilmente incorporati”, sicchè “la responsabilità del proprietario di un edificio o di altra costruzione per i danni cagionati dalla loro rovina può ravvisarsi solo in caso di danni derivanti dagli elementi (anche accessori ma) strutturali dell’edificio o di elementi o manufatti accessori non facenti parte della struttura della costruzione e perciò parti essenziali degli stessi, ossia di danni derivanti dall’azione dinamica del materiale facente parte della struttura della costruzione e non da qualsiasi disgregazione sia pure limitata dell’edificio o di elementi o manufatti accessori non facenti parte della struttura della costruzione. Questo porta ad escludere che l’impianto antincendio possa rientrare nella nozione di elemento essenziale strutturale ancorchè accessorio, essendo esso finalizzato a scongiurare conseguenze dannose correlate a fattori incidentali, quali, appunto, un incendio. Secondo la giurisprudenza, la disposizione si applica in ogni caso di disgregazione, sia pure limitata, degli elementi strutturali della costruzione, ovvero degli elementi accessori e ornamentali in essa stabilmente incorporati mentre nei casi rimanenti sussiste la fattispecie di danno da cosa in custodia di cui all’art. 2051 c.c.”.

Orbene, al riguardo l’odierno ricorrente si limita invero ad inammissibilmente riproporre in termini apodittici la propria non accolta tesi difensiva secondo cui nella specie troverebbe viceversa applicazione la fattispecie di cui all’art. 2053 c.c., senza muovere invero alcuna specifica censura ai suindicati argomenti dalla corte di merito posti a sostegno della raggiunta conclusione.

Del pari deve dirsi con riferimento all’ulteriore ratio decidendi in base alla quale (dato atto che “mentre l’art. 2053 c.c. indica come soggetto responsabile il proprietario, e quindi il titolare del diritto reale o della concessione che legittima il controllo giuridico sul bene”, l'”art. 2051 c.c. considera responsabile il custode dell’edificio”, e “la qualifica di proprietario e quella di custode… non coincidono necessariamente”) la corte di merito è pervenuta a confermare l’affermazione del giudice di prime cure secondo cui nella specie i custodi vanno individuati “nell’appaltatore, esecutore dei lavori” nonchè “nel committente, tale non essendo l’Inpdap o la S.C.I.P. s.r.l. ma il gestore dell’immobile Romeo Gestioni cui era stata trasferita la gestione con contratto del 31/1/2002 (parti entrambe non in causa)”.

Statuizione che, movendo dall’accertamento di fatto dai giudici di merito compiuto in esplicazione di propri poteri (“in tale quadro fattuale, ogni profilo di responsabilità a carico della proprietà – locatrice sfuma fino ad apparire inesistente, poichè non è alla struttura dell’immobile in sè o all’operato della medesima che possa ascriversi un qualsivoglia comportamento

o anche solo una omissione ovvero un profilo oggettivo da identificarsi con quanto viene presupposto dall’art. 2051 c.c. che possa ascriversi la causa dell’innesco di tutto il meccanismo distruttivo che ha portato alla produzione degli immani danni conseguenti al catastrofico incendio determinato… dalla negligenza del materiale operatore che procedeva agli interventi di straordinaria manutenzione, al gestore (Romeo Gestioni) ed all’imprenditore (diverso dalla (OMISSIS) s.r.l.) che non aveva predisposto le opportune misure di sicurezza all’interno dei locali per adeguarli alla specifica attività svolta”), trova rispondenza nei principi affermati da questa Corte secondo cui custodi sono tutti i soggetti, pubblici o privati, che hanno il possesso o la detenzione (legittima o anche abusiva: v. Cass., 3 giugno 1976, n. 1992) della cosa (v. in particolare Cass., 20/2/2006, n. 3651), e pertanto anzitutto ma non solo i proprietari (cfr., con riferimento alle strade, Cass., 9/06/2016, n. 11802; Cass., 20/2/2006, n. 3651), tale qualità non essendo per assumere siffatta qualità nè indefettibilmente necessaria nè esaustiva (v., da ultimo, Cass., 12/3/2019, n. 7005).

Per altro verso, del principio in base al quale in caso di appalto non viene meno per il committente e detentore del bene il dovere di custodia e di vigilanza e, con esso, la conseguente responsabilità ex art. 2051 c.c. laddove non vi sia il totale trasferimento all’appaltatore del potere di fatto sull’immobile nel quale deve essere eseguita l’opera appaltata (v., da ultimo, Cass., 14/5/2018, n. 11671), quest’ultimo d’altro canto rispondendo anche dei danni cagionati a terzi dal preposto o dall’ausiliario della cui opera, ancorchè non alle proprie dipendenze, si avvalga nell’espletamento della propria attività di adempimento dell’obbligazione, assumendo il rischio connaturato alla relativa utilizzazione nell’attuazione della propria obbligazione (cuius commoda eius et incommoda, ovvero dell’appropriazione o “avvilimento” dell’attività altrui per l’adempimento della propria obbligazione), essendo pertanto responsabile di tutte le ingerenze dannose, dolose o colpose, che a costui, sulla base di un nesso di occasionalità necessaria (v. Cass., 17/5/2001, n. 6756; Cass., 15/2/2000, n. 1682), siano state rese possibili in virtù della posizione conferitagli nell’adempimento dell’obbligazione medesima rispetto al danneggiato, e che integrano il “rischio specifico” a tale stregua assunto (cfr., da ultimo, Cass., 12/10/2018, n. 25373).

Emerge infine evidente come il ricorrente inammissibilmente prospetti invero una rivalutazione del merito della vicenda comportante accertamenti di fatto invero preclusi a questa Corte di legittimità, nonchè una rivalutazione delle emergenze probatorie, laddove solamente al giudice di merito spetta individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, non potendo in sede di legittimità riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, atteso il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore del controricorrente Inps, seguono la soccombenza.

Non è viceversa a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione in favore dell’altra intimata, non avendo la medesima svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 8.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore del controricorrente Inps.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 28 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2019

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