Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22162 del 03/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 03/11/2016, (ud. 07/07/2016, dep. 03/11/2016), n.22162

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19844/2014 proposto da:

A.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

GIULIANA, 82, presso lo studio dell’avvocato MARIA ANTONIETTA

FIGOLI, rappresentato e difeso dall’avvocato CARMELO COSENTINO

giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati MAURO RICCI,

EMANUELA CAPANNOLO, CLEMENTINA PULLI, giusta procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1021/2013 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO

del 27/06/2013, depositata il 27/08/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

07/07/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FABRIZIA GARRI;

udito l’Avvocato Saverio Raiolo (delega avvocato Carmelo Cosentino)

difensore del ricorrente che si riporta ai motivi;

udito l’Avvocato Mauro Ricci difensore del controricorrente che si

riporta ai motivi.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte di appello di Catanzaro ha riformato la sentenza di primo grado avendo verificato, in esito ad una nuova consulenza medico legale, che le condizioni sanitarie per il riconoscimento dell’assegno ordinario di invalidità chiesto da A.G. sussistevano dal (OMISSIS) e non dal (OMISSIS) come riconosciuto dal giudice di primo grado.

Per la cassazione della sentenza ricorre A.G. che articola un unico motivo con il quale denuncia la violazione e falsa applicazione della L. 12 giugno 1984, n. 222, art. 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Sostiene che sin dalla data di presentazione della domanda amministrativa del dicembre 2007 si trovava nelle condizioni sanitarie per poter beneficiare dell’assegno chiesto e che le valutazioni espresse dal consulente nominato in grado di appello alle quali si è attenuta la Corte territoriale erano basate su una errata ricostruzione del quadro patologico da cui era affetto l’invalido rimasto identico sin dalla data di presentazione della domanda amministrativa ed immotivatamente ritenute rilevanti solo dal giugno 2012.

L’Inps si è difeso con controricorso ed ha insistito per la inammissibilità del ricorso.

Tanto premesso si osserva che le censure, pur formulate sotto il profilo della violazione di legge, si risolvono nella sostanza in una inammissibile richiesta di diversa valutazione delle emergenze istruttorie non consentite alla Corte di Cassazione.

L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, ed applicabile nel presente giudizio, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Secondo l’interpretazione resane dalle Sezioni Unite di questa Corte, da un lato è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, cosicchè tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione; e, dall’altro, che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr., Cass., SU, nn. 8053/2014; 8054/2014; 9032/2014).

Orbene nel caso in esame la Corte nel far proprie le conclusioni alle quali era pervenuto il consulente nominato in grado di appello non è incorsa in alcuna delle violazioni denunciabili in Cassazione.

La motivazione della sentenza ha ben chiarito le ragioni che l’hanno determinata a rinnovare l’accertamento medico legale ed ha altresì precisato che solo per effetto del documentato aggravamento delle patologie già sussistenti all’atto della presentazione della domanda amministrativa si erano verificate le condizioni per il riconoscimento della prestazione previdenziale chiesta.

Si tratta all’evidenza di valutazione di merito insuscettibile di essere rinnovata nel corso del giudizio di legittimità.

In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo non ricorrendo i presupposti per l’esonero di cui all’art. 152 disp. att. c.p.c..

La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poichè l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass., Sez. Un., n. 22035/2014).

PQM

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 2500,00 per compensi professionali ed Euro 100,00 per esborsi oltre al 15% per spese forfetarie ed accessori dovuti per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R..

Così deciso in Roma, il 7 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2016

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