Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22161 del 05/09/2019

Cassazione civile sez. III, 05/09/2019, (ud. 22/03/2019, dep. 05/09/2019), n.22161

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18649-2017 proposto da:

B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, V. COLA DI

RIENZO 297, presso lo studio dell’avvocato DIEGO SOLLECCHIA,

rappresentato e difeso dall’avvocato UGO BOIRIVANT;

– ricorrente –

contro

MPS GESTIONE CREDITI BANCA SPA, EREDITA’ GIACENTE DI

M.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 149/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 25/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/03/2019 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, cui è poi succeduta la M.P.S. Gestione Crediti Banca S.p.A., chiese con citazione del 20/6/2003 al Tribunale di Livorno di dichiarare la simulazione assoluta o, in subordine, la revocatoria ordinaria di tre atti di compravendita, tutti stipulati tra l'(OMISSIS), tra cui quello con il quale l’odierno ricorrente B.G. aveva acquistato da M.M. e F.L. la proprietà di un immobile sito in (OMISSIS).

Nel contraddittorio anche con l’odierno ricorrente B. e con i suoi danti causa, il Tribunale, assunta prova orale, completata l’attività istruttoria con documenti e con CTU, con sentenza del 28 ottobre 2008, rigettò le domande, quella di simulazione perchè in base alla documentazione acquisita risultava che i corrispettivi indicati in atti fossero stati in tutto o in parte pagati; quella revocatoria perchè, pur sussistendo l’eventus damni, non vi era la prova dell’elemento soggettivo del terzo di cui all’art. 2901 c.c., n. 2, elemento che, in mancanza di allegazione dell’anteriorità del credito delle banche rispetto agli atti di disposizione, andava provato con la partecipazione del terzo alla dolosa preordinazione.

La Corte d’Appello di Firenze, adita da M.P.S., con sentenza n. 149 del 25/1/2017, per quel che ancora di interesse in questa sede, ha innanzitutto ritenuto necessario accertare “se il credito fosse o meno anteriore agli atti di disposizione, mutando il thema decidendum ed il thema probandum dell’azione revocatoria, dovendosi nell’un caso allegare e provare il solo dolo generico e cioè la mera consapevolezza, da parte del debitore e del terzo, del danno derivante dall’atto dispositivo e nell’altro la ricorrenza del dolo specifico”; ha ritenuto che il credito fosse anteriore agli atti dispositivi, in quanto, alla data del 17/8/2000, il credito era già consolidato, e al momento degli atti di disposizione, consistendo esso anche di finanziamenti, non poteva che essere maggiore di quanto consolidato alla data della chiusura, in ragione del fatto che il credito della banca decresce con il pagamento delle rate.

Stabilita l’anteriorità del credito rispetto agli atti di disposizione, secondo la Corte era sufficiente dimostrare il solo dolo generico di cui all’art. 2901 c.c., n. 1, prima alinea, cioè la mera consapevolezza, sia da parte del debitore che del terzo, del danno derivante dall’atto dispositivo.

Ciò posto, mentre per i debitori-fidejussori la conoscenza del pregiudizio era in re ipsa, per quel che riguarda gli atti dispositivi a titolo oneroso coinvolgenti terzi, dall’istruttoria emergeva senza ombra di dubbio la consapevolezza da parte dei terzi dell’intenzione fraudolenta dei debitori.

Per quel che riguarda B. la Corte ha osservato che la difesa del medesimo, volta a dimostrare l’assenza del consilium fraudis, non fosse convincente, sia in considerazione del prezzo pagato, sia per la cronologia degli atti e la molteplicità delle vendite sia per il grado di parentela: il prezzo pagato sarebbe inferiore a quello stimato dal CTU e resterebbe senza giustificazione il preteso avvenuto versamento di un acconto di 50 milioni di lire versato al venditore senza richiedere alcuna ricevuta; quanto al grado di parentela, il B. in quanto padre di B.D., cognato dei venditori M.- F., sarebbe stato in rapporti talmente stretti da far ritenere inverosimile che il padre non fosse a conoscenza delle difficoltà del cognato del figlio; quanto alla cronologia gli atti sono stati stipulati tutti dallo stesso notaio ed intervenuti in un lasso di tempo brevissimo.

Tutto ciò premesso, la Corte d’Appello ha accolto l’appello e per quel qui di interesse, ha dichiarato l’inefficacia, ai sensi dell’art. 2901 c.c. dei rogiti stipulati da M.M., tra cui quello di vendita al B., condannando il medesimo ad una quota delle spese del grado.

Avverso la sentenza B.G. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi. Nessuno resiste.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c. con riferimento all’onere probatorio di cui all’art. 2697 c.c. La Corte d’Appello avrebbe errato nel ritenere che il credito fosse anteriore agli atti di disposizione, valorizzando come prova la richiesta della Banca di ammissione al passivo del fallimento della Duemme che, lungi dall’essere una prova documentale andava considerata mera allegazione di parte, anzichè, come aveva correttamente ritenuto il giudice di primo grado, ritenere che l’atto di disposizione era anteriore al sorgere del credito, stipulato in data 11/5/2000 a fronte di un credito individuabile con il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo del 16/8/2000. Ciò premesso, il Giudice avrebbe dovuto provare che il terzo fosse partecipe della dolosa preordinazione, e non che fosse meramente consapevole della potenzialità lesiva degli atti dispositivi rispetto alle ragioni dei creditori. In mancanza di prova diretta o presuntiva della consapevolezza del terzo, la sentenza dovrebbe essere cassata in relazione.

1.1 Il motivo, pur suggestivo, è infondato perchè in sostanza rimette in discussione i presupposti dell’azione revocatoria che spetta al giudice del merito individuare. In particolare va a colpire l’anteriorità del credito rispetto all’atto oggetto di revocatoria, accertamento di esclusiva competenza del giudice di merito. La giurisprudenza di questa Corte sul punto statuisce che il requisito dell’anteriorità del credito rispetto all’atto impugnato in revocatoria deve essere riscontrato in base al momento in cui il credito stesso insorge e non a quello del suo accertamento giudiziale (Cass., 1, n. 8013 del 2/9/1996; Cass., 3, n. 17356 del 18/8/2011). In continuità con questa giurisprudenza la prospettazione del giudice d’appello è corretta e deve essere preferita rispetto a quella del giudice di primo grado che aveva fatto riferimento alla data del decreto ingiuntivo.

2. Con il secondo motivo censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. con riferimento all’art. 116 c.p.c.. La Corte d’Appello avrebbe errato nel risalire da un fatto noto (prezzo pagato, rapporto di parentela, cronologia e molteplicità degli atti di disposizione) ad un fatto ignorato (consapevolezza dell’acquirente B. della intenzione fraudolenta dei debitori-venditori M.M. e F.L.). Tutti i fatti che si assumono noti in effetti non lo sarebbero perchè: risulterebbe, a parte l’acconto di Lire 55 milioni privo di ricevuta, il versamento di Lire 195 milioni; la parentela mancherebbe; la cronologia e la molteplicità degli atti di disposizione, se idonei a dimostrare la consapevolezza del creditore di ridurre con la sua attività le garanzie del credito, non potrebbe essere utilizzata nei confronti dell’acquirente, parte di un unico contratto di compravendita, a meno che non si dimostri che il medesimo avesse cognizione dei molteplici atti di disposizione.

2.1 Il motivo è infondato. La Corte d’Appello ricostruisce i presupposti dell’azione revocatoria ordinaria considerando innanzitutto l’anteriorità del credito rispetto agli atti di disposizione, sussistendo una consistente esposizione debitoria della Duemme s.r.l. nei confronti di MPS ben prima della stipula degli atti impugnati, di guisa da dover applicare, quanto all’elemento soggettivo del terzo, la disciplina prevista dall’art. 2901 c.c., n. 1 piuttosto che quella contenuto nel n. 2, stesso art..

Quanto alla consapevolezza da parte del debitore e del terzo che l’atto arrecasse danno alle ragioni creditorie, la Corte d’Appello l’ha correttamente desunta in via presuntiva da una serie di elementi: a) il prezzo pagato, sensibilmente inferiore a quello stimato dal CTU, e soprattutto l’avvenuto versamento di un acconto di Lire 50 milioni privo di qualsivoglia ricevuta; b) il rapporto di parentela consistente nel fatto che B.G. era padre di B.D., cognato dei venditori M. e F., di guisa da far ritenere inverosimile che B. padre non fosse a conoscenza delle difficoltà del cognato del figlio; c) infine, ultimo elemento valutato dalla Corte d’Appello, è l’aspetto cronologico e la molteplicità degli atti, tutti intervenuti in un lasso di tempo molto breve.

Da quanto esposto emerge che l’argomentazione del Giudice di merito appare in continuità con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale in tema di azione revocatoria ordinaria quando l’atto di disposizione è successivo al sorgere del credito unica condizione per il suo esercizio è la conoscenza che il debitore abbia del pregiudizio delle ragioni creditorie nonchè, per gli atti a titolo oneroso, l’esistenza di analoga consapevolezza in capo al terzo la cui posizione, sotto il profilo soggettivo, va accomunata a quella del debitore. La relativa prova può essere fornita tramite presunzioni il cui apprezzamento è devoluto al giudice del merito ed è incensurabile in cassazione ove congruamente motivato (Cass., 3, n. 27546 del 30/12/2014; Cass., 3, n. 5618 del 22/3/2016).

La sentenza è altresì conforme alla consolidata giurisprudenza di legittimità relativa al ragionamento presuntivo secondo la quale: “Il procedimento che deve essere seguito in tema di prova per presunzioni si articola in due momenti valutativi: in primo luogo occorre che il giudice valuti in maniera analitica ognuno degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e invece conservare quelli che, presi singolarmente, rivestano i caratteri della precisione e della gravità; successivamente egli deve procedere ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati e accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o più indizi. Quindi è censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi quand’anche singolarmente sforniti di prova indiziaria non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi” (Cass., 1, n. 19894 del 13/10/2005; Cass., 5, n. 9108 del 6/6/2012; Cass., U, n. 584 dell’11/1/2008; Cass., 6-5, n. 5374 del 2/3/2017; Cass., 3, n. 9059 del 12/4/2018).

3. Conclusivamente il ricorso va rigettato. In considerazione delle alterne soluzioni della controversia nel giudizio di merito, sussistono i presupposti per compensare le spese del giudizio di cassazione. Occorre invece porre a carico del ricorrente il cd. “raddoppio” del contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e, in considerazione delle alterne soluzioni della controversia nel giudizio di merito, compensa le spese del giudizio di cassazione. Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile, il 22 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2019

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