Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2216 del 25/01/2019

Cassazione civile sez. trib., 25/01/2019, (ud. 10/01/2019, dep. 25/01/2019), n.2216

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON E. – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI G. – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI P. – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M. G. – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 3836 del ruolo generale dell’anno

2013, proposto da:

Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del Direttore pro

tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ambrosio Group s.p.a., in liquidazione, in persona della liquidatrice

e legale rappresentante pro tempore T.M. nonchè

B.M.R., nella sua qualità di liquidatrice giudiziale

dei beni del concordato preventivo con cessione dei beni di Ambrosio

Group s.p.a. in liquidazione, autorizzata con provvedimento del G.D.

alla procedura G. D. del 26/2/2013, rappresentati e difesi,

giusta procura speciale a margine del controricorso, dall’avv.to

Giuseppe Sangiovanni, tutti elettivamente domiciliati presso lo

studio dell’avv.to Alessandra La Via, in Roma, alla Via G. Avezzana

51;

– controricorrenti –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Campania n. 470/45/2011, depositata il 15 dicembre

2011.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10 gennaio 2019 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati

Viscido di Nocera.

Fatto

RILEVATO

Che:

– con sentenza n. 470/45/2011, depositata il 15 dicembre 2011, la Commissione tributaria regionale della Campania rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti della Ambrosio Group s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, avverso la sentenza n. 694/31/2009 della Commissione tributaria provinciale di Napoli che aveva accolto il ricorso proposto dalla detta società avverso l’avviso di rettifica di accertamento n. (OMISSIS) con il quale l’Amministrazione doganale, in relazione alla bolletta (OMISSIS) per l’immissione in libera pratica nel 2007 di magliette di provenienza cinese, aveva rideterminato, attraverso la consultazione del sistema denominato M.E.R.C.E. con riguardo al valore medio delle merci similari, il maggiore valore unitario pari a Euro 5,56, a fronte di quello dichiarato dalla società di Euro 2,32;

– la CTR, nel confermare la sentenza di primo grado, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che l’Agenzia delle dogane si era limitata acriticamente ad utilizzare i dati contenuti in una banca dati (c.d. sistema MERCE), senza in alcun modo evidenziare le differenze commerciali, qualitative e quantitative delle transazioni utilizzate come modello rispetto a quella in oggetto e senza considerare le caratteristiche peculiari per la tipologia delle merci trattate della transazione medesima; 2) l’onere della prova della legittimità della scelta della metodologia operata ricadeva a carico dell’ente impositore e nella specie, non era dato verificare, attraverso l’operato dell’Ufficio, la veridicità e correttezza dei dati utilizzati, il loro valore statistico ed informativo e, soprattutto, la loro correlazione con la tipologia e peculiarità delle merci in esame;

– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle dogane propone ricorso per cassazione affidato a due motivi cui hanno resistito, con controricorso, la società contribuente e M.R.B., nella qualità di liquidatrice giudiziale dei beni del concordato preventivo;

– Ambrosio Group s.p.a., in liquidazione, nonchè M.R.B., nella sua qualità di liquidatrice giudiziale dei beni del concordato preventivo, hanno depositato memoria illustrativa, ai sensi dell’art. 380bis.1. c.p.c., nella quale hanno insistito per l’inammissibilità o per il rigetto del ricorso;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

– con il primo motivo del ricorso, l’Agenzia delle dogane denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 151 del Reg. CE 2454/93 (D.A.C.) e 30 comma 2, lett. b) del Reg. CE 2913/92 (C.D.C.), per avere la CTR erroneamente ritenuto la metodologia utilizzata dall’Ufficio di rideterminazione del valore in dogana delle merci importate, mediante il riferimento al valore di transazione delle merci similari (sistema M.E.R.C.E.), non rispondente alle caratteristiche peculiari, per la tipologia delle merci trattate, della transazione in oggetto, ancorchè – come risultava dalla nota del 7 novembre 2007 dell’Ufficio di Napoli 2- quest’ultimo avesse tenuto conto della media dei valori più bassi tra quelli praticati e avesse selezionato i valori di importazione per merci appartenenti alla stessa voce doganale, importate a titolo definitivo, con il medesimo mezzo di trasporto, nella stessa area geografica dell’Amministrazione procedente;

– ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., non sono soggette a cassazione le sentenze erroneamente motivate in diritto, quando il dispositivo sia conforme al diritto; in tal caso la Corte si limita a correggere la motivazione;

– nella specie, il giudice di appello, ha fondato il proprio giudizio circa l’illegittimità dell’avviso di rettifica dell’accertamento in questione sulla rilevata mancata prova da parte dell’ufficio dell’aderenza del criterio di rideterminazione del valore in dogana delle merci importate, mediante il sistema MERCE, alle caratteristiche peculiari, per tipologia delle merci trattate, della transazione in oggetto; benchè conforme a diritto nel dispositivo, risulta sul punto erroneamente motivata con conseguente possibile correzione della stessa nei termini che seguono;

– in materia, questa Corte, nella sentenza n. 23245 del 2018, ha chiarito che l’unico valore rilevante ai fini dell’obbligazione doganale è il valore in dogana; e il valore in dogana di norma coincide col valore di transazione, ossia col prezzo effettivamente pagato o da pagare (Corte giust. 12 dicembre 2013, causa C-116/12, Christodoulou e a., punto 28). Una tale disciplina ha una ben precisa ratio: la normativa unionale in tema di valutazione doganale mira a stabilire un sistema equo, uniforme e neutro, che esclude l’impiego di valori in dogana arbitrari o fittizi (tra varie, Corte giust. in causa C-116/12, cit., punto 44; 20 dicembre 2017, causa C- 529/16, HannamatsuPhotonics Deutschland GmbH c. Hauptzollamt Munchen; 15 luglio 2010, Gaston Schul, causa C-354/09, punto 27; 28 febbraio 2008, causa C-263/06, Carboni e derivati s.r.l., punto 60) e tanto risponde altresì alle necessità di certezza della prassi commerciale. Il che spiega perchè il codice doganale comunitario abbia stabilito con gli artt. 29, 30 e 31 una rigida sequenza di regole di determinazione del valore doganale e perchè il regolamento attuativo del codice abbia predisposto una apposita disciplina, regolata dall’art. 181-bis, qualora le autorità doganali abbiano “fondati dubbi che il valore dichiarato rappresenti l’importo totale pagato o da pagare ai sensi del codice doganale, art. 29” (Cass. 4 aprile 2013, n. 8323; 13 settembre 2013, n. 20931). In questo caso, per potersi discostare dalla regola del valore di transazione, l’autorità doganale deve chiedere informazioni complementari e sollecitare il contraddittorio, prima di decidere di non determinare il valore in dogana delle merci importate in base alla regola generale fissata dall’art. 29;

– il valore di transazione deve comunque riflettere il valore economico reale della merce importata e tener conto di tutti gli elementi di rilievo economico di essa. Ne consegue che, nel seguire la rigida scansione delle regole fissate dal codice doganale comunitario, quando il valore in dogana non possa essere determinato mediante ricorso al valore di transazione delle merci importate, la valutazione doganale si dovrà attenere alle disposizioni dell’art. 30 del codice, applicando, in sequenza, i metodi previsti alle lett. da a) a d) del paragrafo 2 di quest’ultimo articolo (Corte giust. in causa C-116/12, cit., punto 41). E soltanto quando non sia possibile determinare il valore in dogana delle merci importate neppure sulla base dell’art. 30 del codice doganale, si opererà la valutazione in dogana conformemente alle disposizioni dell’art. 31 di tale codice (sentenza in causa C-116/12, punto 42). In definitiva, i criteri di determinazione del valore in dogana devono essere applicati in base sì agli artt. 29, 30 e 31 del codice doganale comunitario, ma rispettando il nesso di sussidiarietà tra essi esistente: soltanto quando il valore in dogana non possa essere determinato applicando la disposizione precedente, si deve far riferimento a quella immediatamente successiva secondo l’ordine stabilito dal codice (sentenza in causa C-116/12, punto 43);

– il valore di transazione resta il metodo prioritario di determinazione, in quanto è considerato il più adatto ed il più frequentemente utilizzato. Per disattenderlo, occorre che: a) l’amministrazione abbia fondati dubbi che esso sia inattendibile; b) i dubbi persistano, anche dopo una richiesta di ulteriori informazioni o complementi di documentazione e dopo aver fornito all’interessato una ragionevole possibilità di far valere il proprio punto di vista riguardo ai motivi sui quali sono fondati tali dubbi; c) l’amministrazione ricorra in primo luogo ai metodi di valutazione immediatamente sussidiari, ossia a quelli stabiliti dall’art. 30 del codice doganale comunitario, in successione;

– ne consegue l’enunciazione del seguente principio di diritto: “Nel caso di fondati dubbi da parte dell’Amministrazione doganale della corrispondenza tra il valore dichiarato e l’importo totale pagato o da pagare ex art. 29 C.D.C., la medesima Amministrazione- dopo la richiesta di informazioni complementari e dopo aver fornito all’interessato una ragionevole possibilità di far valere il proprio punto di vista riguardo ai motivi sui quali siano fondati tali dubbi, in ossequio della specifica garanzia procedurale di cui all’art. 181-bis, paragrafo 2, del Reg. CEE n. 2454 del 1993- è tenuta a dimostrare, con onere probatorio a proprio carico, di avere applicato, nella rideterminazione del valore in dogana, i metodi immediatamente sussidiari di cui agli articoli 30 e 31 del codice doganale, secondo la rigida sequenza ivi prevista in successione ovvero è tenuta a dare conto delle ragioni per cui il rispetto del detto ordine previsto dal codice doganale comunitario non sia stato possibile”;

– nella specie, essendosi pacificamente trattato – a fronte del mancato superamento da parte della Amministrazione dei dubbi circa la non corrispondenza del valore dichiarato in dogana a quello del prezzo pagato o da pagare – di una successiva rideterminazione da parte dell’Amministrazione del valore in dogana della merce importata elevando il valore unitario dichiarato di Euro 2,32 a Euro 5,56 mediante il ricorso al valore medio di merce similare risultante dalla banca dati MERCE – l’Agenzia ha impiegato un metodo di determinazione non immediatamente sussidiario (ossia quello fondato in base all’art. 30 sul valore di transazione di merci identiche…) rispetto a quello ancorato al valore di transazione, senza allegare le ragioni che escludevano la possibilità di rispettare la precisa sequenza dei metodi di cui al codice doganale, artt. 30 e 31;

– il che determina l’infondatezza della censura, alla luce dell’orientamento di questa Corte del quale si è dato conto;

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso del giudizio qual era il valore in dogana da attribuire ai beni importati, per essersi la CTR limitata a ritenere illegittimo il criterio, mediante il sistema M.E.R.C.E., di rideterminazione del valore in dogana in quanto, in sostanza, non rispettoso delle caratteristiche peculiari, per tipologia delle merci trattate, della transazione in oggetto, senza argomentare in ordine all’avvenuto riferimento, nella correzione dei dati dichiarati, ad operazioni aventi ad oggetto merce similare compiuta nello stesso periodo, presso uffici della medesima area geografica e operando una media sui valori più bassi rispetto a quelli registrati;

– la infondatezza del primo motivo di censura con la correzione della motivazione nei sensi di cui sopra, rende inutile la trattazione del secondo motivo, con assorbimento dello stesso;

– in conclusione, il ricorso va rigettato;

– stante il consolidamento della giurisprudenza di legittimità in materia dopo la proposizione del ricorso per cassazione, si ravvisano giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità;

PQM

La Corte rigetta il ricorso; compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità;

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2019

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