Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22158 del 05/09/2019

Cassazione civile sez. III, 05/09/2019, (ud. 21/03/2019, dep. 05/09/2019), n.22158

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24499-2017 proposto da:

B. COSTRUZIONI IN ACCIAIO SRL in persona del legale

rappresentante pro tempore B.L., elettivamente domiciliata

in ROMA, VIALE DELLE MEDAGLIE D’ORO 157, presso lo studio

dell’avvocato FRANCESCO SAULLE, rappresentata e difesa dagli

avvocati ALESSIA BEGHINI, ALESSANDRO BENUSSI;

– ricorrente –

contro

UNICREDIT LEASING SPA in persona del procuratore speciale Dott.

S.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA EMANUELE GIANTURCO

6, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO CATAVELLO, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2006/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 10/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/03/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO ALBERTO, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato LUANA NANNI per delega.

Fatto

SVOLGIMENTO IN FATTO

1. Con ricorso notificato il 16/10/2017 B. Costruzioni in Acciaio s.r.l. ricorre per la cassazione della sentenza n. 2006/2017, depositata il 10/05/2017, emessa dalla Corte d’appello di Milano a conclusione di un procedimento d’appello avviato nei confronti UNICREDIT LEASING s.p.a., già Locat s.p.a. nel 2013, per ottenere la riforma della pronuncia del Tribunale di Milano che, con rito sommario, la aveva condannata alla restituzione di un complesso immobiliare oggetto di locazione finanziaria dopo aver accertato l’intervenuta risoluzione di diritto del contratto di leasing per inadempimento della conduttrice, a seguito di intimazione della concedente inviata il 14 gennaio 2011, e l’infondatezza della domanda riconvenzionale opposta in relazione alla nullità della clausola penale e sulla mora.

2. La Corte d’appello ha accertato i) la validità dell’intimata risoluzione di diritto con diritto alla restituzione dell’immobile locato e la validità delle condizioni generali del contratto sugli interessi moratori (clausola n. 23 in combinato disposto con gli artt. 21 e 22) e ciò in base alla “clausola di salvaguardia” dall’usura apposta nel contratto con riferimento agli interessi moratori; ii) l’inammissibilità della deduzione di illiceità in ordine alla penale convenuta, non applicata in concreto dalla concedente che si è limitata a richiedere la restituzione dell’immobile concesso in leasing; iii) la infondatezza dell’eccezione sul carattere usurario del tasso di attualizzazione previsto nella clausola penale, che secondo l’utilizzatore avrebbe dovuto comportare il ricalcolo dei tassi moratori complessivamente applicati e del saldo finale dovuto, ai fini all’accertamento dell’inadempienza contestata, stante la natura essenzialmente finanziaria del leasing, da cui deriva la necessità che il concedente si trovi, in caso di risoluzione anticipata, nella medesima posizione in cui egli si sarebbe trovato in caso di adempimento del contratto, previa deduzione del prezzo realizzato con la vendita dell’immobile; vii) la legittimità del provvedimento del giudice di primo grado di non mutare il rito da sommario a ordinario sulla base della riconvenzionale della utilizzatrice e di rigettare l’istanza di CTU.

3. Il ricorso è affidato a due motivi. La parte intimata resiste con controricorso. La parte ricorrente ha prodotto memoria. Il PM sul secondo motivo chiede il rigetto. Per il primo motivo chiede rigetto con correzione del motivo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 violazione dell’art. 644 c.p.c. e art. 1815 c.c., sull’assunto che la Corte di merito avrebbe dato una lettura riduttiva della normativa antiusura, nella misura in cui ha affermato che i tassi di mora, anche di per sè considerati, non sono sottoposti al vaglio di usurarietà oggettiva. Il ricorrente assume inoltre che ai fini del calcolo del tasso di mora convenuto si debba considerare come ulteriore “tasso di mora” il tasso di attualizzazione del 3,20% indicato dal concedente per il calcolo dei canoni a scadere, e che dunque l’usura va valutata sommando tali due poste, rappresentando la posta di attualizzazione del capitale, inserita nel contratto, un elemento aggiuntivo che si configura come una “commissione occulta” in grado di far sconfinare il tasso moratorio oltre la soglia di liceità, nonostante la clausola di salvaguardia e antiusura inserita nel contratto, riferibile però al solo caso del tasso di mora.

1.1. Il motivo è infondato nei limiti di seguito esposti, dovendosi in parte correggere il ragionamento della Corte.

1.2. Il contratto di leasing in esame, nell’art. 11 delle condizioni generali, prevede un tasso moratorio calcolato in base al tasso “Euribor tre mesi” in vigore durante il periodo di mora, maggiorato di 9 punti percentuali, da ricondurre al tasso soglia vigente arrotondato al punto percentuale inferiore. La clausola n. 23 del contratto prevede una penalità per l’estinzione anticipata per morosità, con decadenza dal beneficio dal termine e facoltà del concedente di chiedere l’immediato pagamento del corrispettivo o dei corrispettivi insoluti, maggiorati degli interessi di mora, calcolati come all’art. 11, oltre un indennizzo pari ai canoni non ancora scaduti attualizzati al tasso per l’attualizzazione pari al 3,20.

1.3. La società debitrice ha agito in via riconvenzionale per l’accertamento negativo del diritto di corrispondere la penale e gli interessi moratori in quanto illegittimi, facendo valere la nullità delle due clausole, e la conseguente insussistenza dell’inadempienza alla medesima imputata e illegittimità della risoluzione operata. La società ricorrente, utilizzatrice dell’immobile, ha chiesto infatti una riconsiderazione degli interessi convenuti a titolo di penale in ragione del tasso di attualizzazione applicato, celante un mascherato contratto di swap, in tesi mai oggetto di contrattazione, con conseguente ricomputo dell’importo dovuto nella misura di Euro 2.974.062,70 anzichè nell’importo di Euro 5.620.588,00, per far valere l’illegittimità dell’intimata risoluzione del contratto.

1.4. La Corte di merito ha rigettato l’impugnazione dell’utilizzatore assumendo una sorta di difetto di interesse in capo alla ricorrente, a motivo del fatto che la penale contrattuale non è stata richiesta dalla concedente e che la concedente ha agito solo per ottenere la restituzione dell’immobile dopo l’operata risoluzione di diritto, in virtù del mancato pagamento dei canoni convenuti, quando gli interessi di mora e la clausola penale intervengono in seguito al verificarsi dell’inadempimento. La decisione della Corte è corretta, in quanto l’inadempimento dell’obbligo di pagamento dei canoni di leasing scaduti determina per contratto la risoluzione di diritto del rapporto, non essendo stata affermata la sussistenza di ipotesi di tassi usurari in relazione al corrispettivo convenuto, ma solamente in relazione alla clausola penale convenuta e ai tassi moratori, non in grado di incidere sul debito per i canoni scaduti posto a motivo dell’operata risoluzione di diritto.

1.5. Si osserva che l’eccezione di nullità sollevata dal ricorrente non è in ogni caso in grado di invalidare il contratto, oramai risolto per il mancato pagamento dei canoni convenuti con tassi di adeguamento non contestati, ma solamente di incidere sugli obblighi risarcitori conseguenti all’inadempimento accertato, non potendosi comunicare l’eventuale nullità delle due clausole valevoli per la situazione di mora alle clausole sulla pattuizione di interessi corrispettivi (Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 21470 del 15/09/2017).

1.6. Pertanto non rileva in questa sede processuale considerare, mancandone un interesse concreto, il carattere usurario o meno degli interessi moratori e di quelli convenuti per attualizzare i canoni a scadere ai fini del calcolo della penale, posto che la ricorrente ha opposto – infondatamente – a un inadempimento contrattuale per mancato pagamento del corrispettivo, la cui gravità è stata già convenzionalmente ritenuta ai fini della risoluzione, la nullità di due clausole che rilevano solo in relazione alle conseguenze della mora e dello scioglimento anticipato del rapporto contrattuale, ma che non incidono sull’operata risoluzione contrattuale che dà diritto al concedente di ottenere comunque la restituzione del bene.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ex art. 360 c.p.c., n. 4 in quanto la Corte d’appello non avrebbe rilevato la nullità del procedimento di primo grado per violazione dell’art. 702 ter c.p.c., commi 3 e 4, in relazione alla ritenuta non necessità di convertire il rito sommario in rito ordinario ex art. 702 ter c.p.c., comma 2, per procedere a istruzione con rito ordinario con riguardo alle difese svolte dalla convenuta, avendo il giudice così precluso alla parte di svolgere approfondimenti istruttori.

2.1. Il motivo è infondato.

2.2. Sul punto la Corte di merito ha ritenuto che non vi sia stata alcuna violazione processuale perchè la domanda riconvenzionale della ricorrente avrebbe semmai imposto una separazione delle due cause, e comunque tale valutazione è rimessa alla discrezionalità del giudice.

2.3. La mancata conversione del rito sommario in rito ordinario, coinvolgendo un’attività discrezionale del giudice, non si pone quale motivo di nullità del giudizio di primo grado per violazione dei diritti processuali e di difesa. Difatti la valutazione, da parte del giudice, della necessità di un’istruzione non sommaria, ai fini della conversione del rito ex art. 702 ter c.p.c., comma 3, presuppone pur sempre che le parti – e in primo luogo il ricorrente – abbiano dedotto negli atti introduttivi tutte le istanze istruttorie che ritengano necessarie per adempiere all’onere probatorio ex art. 2967 c.c., non potendosi attribuire a tale decisione la funzione di rimetterle in termini per la formulazione delle deduzioni istruttorie, che siano state omesse o insufficientemente articolate “in limine litis” (Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 24538 del 05/10/2018). In sede di impugnazione, poi, il Giudice dell’appello è tenuto a considerare tutte le istanze istruttorie, non ammesse dal giudice del primo grado, di cui si reitera la richiesta di ammissione. Pertanto la deduzione di nullità processuale non ha alcun fondamento.

3. Conclusivamente il ricorso viene rigettato, con ogni conseguenza in ordine alle spese di lite.

P.Q.M.

I. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese liquidate in Euro 17.000,00, oltre Euro 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge;

II. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 21 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2019

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