Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22157 del 20/10/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 22157 Anno 2014
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: VENUTI PIETRO

SENTENZA
sul ricorso 15064-2011 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2014
2467

ì

contro

EMILIANI ANGELA C.F. MLNNGL67D61L814H, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA RENO 21, presso lo studio
dell’avvocato ROBERTO RIZZO, che la rappresenta e

Data pubblicazione: 20/10/2014

difende, giusta delega in atti;
– contrari corrente –

avverso la sentenza n. 1102/2010 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 31/05/2010 R.G.N.
8682/2009;

udienza del 10/07/2014 dal Consigliere Dott. PIETRO
VENUTI;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega verbale
FIORILLO LUIGI;
udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MAURIZIO VELARDI che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso principale, in
subordine rigetto.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

R.G. n. 15064/11
Ud. 10.7.2014

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
premesso che aveva stipulato con Poste Italiane S.p.A. tre
contratti a termine nel periodo 9 marzo 1998 – 30 gennaio 1999,
chiedeva che, accertata la nullità dei termini apposti ai contratti,
fosse dichiarata la sussistenza di un unico rapporto di lavoro a
tempo indeterminato, la sua riammissione in servizio e la
condanna della società al pagamento delle retribuzioni maturate.
Il Tribunale adito accoglieva il ricorso e dichiarava che tra
le parti era intercorso un rapporto di lavoro a tempo
indeterminato a decorrere dalla stipula del primo contratto (9
marzo 1998). Condannava la società a ripristinare il rapporto ed
a corrispondere alla ricorrente le retribuzioni a partire dal 23
dicembre 1999.
Proponeva impugnazione la società e la Corte d’appello di
Roma, con sentenza n. 1311/05, in accoglimento del gravame,
rigettava le domande del lavoratore.
Su ricorso di quest’ultimo, questa Corte, con sentenza n.
17433/09, accoglieva la censura relativa al terzo contratto,
stipulato dopo il 30 aprile 1998, e rigettava le altre, annullando
la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta.
Il processo veniva riassunto davanti alla Corte d’appello di
Roma, la quale, in diversa composizione, con sentenza
depositata in data 31 maggio 2010, dopo avere affermato che
sulla legittimità dei primi due contratti si era formato il giudicato
per effetto della sentenza della Cassazione, dichiarava illegittimo
il terzo contratto a termine relativo al periodo 2 novembre 1998 30 gennaio 1999, successivamente prorogato al 31 marzo 199%e
confermava la statuizione di primo grado con la quale era stata

Con ricorso al Tribunale di Roma Angela Emiliani,

2

disposta la riammissione in servizio del lavoratore ed era stata
condannata la società a corrispondere alla lavoratrice le
retribuzioni a decorrere dal 23 dicembre 1999.
Contro questa sentenza ricorre per cassazione Poste
Italiane sulla base di tre motivi. Il lavoratore resiste con
controricorso, illustrato da memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
1. Con il primo motivo, la ricorrente, denunziando
violazione e falsa applicazione degli artt. 23 della legge n. 56/87
e 8 CCNL dei dipendenti postali del 26 novembre 1994, rileva
che, in virtù della delega conferita dal legislatore con la legge
anzidetta, l’autonomia sindacale non incontra limiti ed ostacoli
di sorta nella tipologia dei contratti a termine in relazione alle
ipotesi che ne legittimano la conclusione. Alla data della stipula
del terzo contratto, relativo al periodo 2 novembre 1998 – al 30
gennaio 1999, con proroga sino al 31 marzo 1999, permanevano
le esigenze legittimanti la stipula dei contratti a termine ai sensi
dell’accordo del 25 settembre 1997 e non era scaduto il termine
finale di efficacia dell’accordo medesimo, come era dimostrato
dai successivi accordi, aventi natura ricognitiva del processo di
ristrutturazione di Poste ancora in corso. Non ricorreva quindi il
limite temporale del 30 aprile 1998 ravvisato dalla sentenza
impugnata.
2. Con il secondo motivo la ricorrente, denunziando
omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio, rileva che la sentenza
impugnata non ha sufficientemente esposto le ragioni per le
quali ha ritenuto illegittimo il terzo contratto. In particolare non
ha spiegato i motivi secondo cui l’accordo del 25 settembre 1997
avesse una efficacia temporale limitata sino alla data 30 aprile
1998.
3. Con il terzo motivo la ricorrente, denunziando omessa
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio,
sostiene che la sentenza impugnata è errata nella parte in cui la

MOTIVI DELLA DECISIONE

3

Corte di merito, nel ritenere illegittimo il terzo contratto, ha
confermato, con riguardo alle conseguenze economiche, le
statuizioni del giudice di primo grado, statuizioni che erano
relative al primo contratto, poi ritenuto legittimo dalla Corte di
Cassazione.
In ogni caso, aggiunge, nel corso del giudizio è
caso di conversione del rapporto prevede la condanna del datore
di lavoro al pagamento di una indennità onnicomprensiva,
compresa tra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale
di fatto, secondo i criteri indicati dall’art. 9 della legge n. 604/66,
disposizione questa che trova applicazione per tutti i giudizi, ivi
compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della legge.
4. I primi due motivi sono inammissibili.
Questa Corte, con la citata sentenza n. 17433/09,
nell’accogliere la censura della lavoratrice relativa al terzo
contratto, ha annullato la sentenza di appello che aveva
dichiarato legittimo il termine apposto allo stesso.
La Corte, in sintesi, nel rilevare, in relazione alla L. n. 56
del 1987, art. 23, la configurabilità di una vera e propria delega
in bianco a favore dei sindacati nell’individuazione di nuove
ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di
lavoro, ha osservato che, in forza di tale delega, le parti sindacali
avevano individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine,
quella di cui all’accordo integrativo del 25 settembre 1997, in
base al quale era stato stipulato il contratto a termine (esigenze

eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione degli assetti
occupazionali in corso).
Ed ha ritenuto errata l’interpretazione del giudice di
merito, rilevando che doveva escludersi la legittimità dei contratti
a termine stipulati – come nella specie – dopo il 30 aprile 1998 in
quanto privi di presupposto normativo.
In particolare, secondo la Corte, non poteva attribuirsi
rilevanza all’accordo del 18 gennaio 2001 in quanto stipulato

sopravvenuta la legge 4 novembre 2010 n. 183, art. 32, che, in

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dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè
quando il diritto del soggetto si era già perfezionato; ed infatti,
ammesso che le parti avessero espresso l’intento di interpretare
autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di
sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la
copertura dell’accordo del 25 settembre 1997, doveva escludersi

strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo
speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel
D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la
stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto
della durata in precedenza stabilita.
Il giudice di rinvio, sulla scorta di tali principi, ha
dichiarato illegittimo il terzo contratto.
La ricorrente, dolendosi di tale pronuncia, tende a
rimettere in discussione i principi affermati dalla Cassazione, ma
i motivi in esame sono inammissibili atteso che il riesame delle
questioni decise dalla Cassazione verrebbe a porre nel nulla o
limitare gli effetti della stessa, in contrasto con il principio di
intangibilità delle pronunce di illegittimità (cfr., in questi termini,
Cass. n. 8889/03; Cass. 11939/06; Cass. 26241/09).
5. Il terzo motivo è fondato.
5.1. La Corte di merito ha confermato la illegittimità del
terzo contratto e “le ulteriori statuizioni del giudice di I grado,
restando estranee al presente giudizio ed ai suoi limiti
nell’ambito del rinvio le ulteriori pretese risarcitorie avanzate in
relazione alle vicende successive alla sentenza cassata”.
Ma, la sentenza di primo grado, compresa la statuizione
relativa alle conseguenze economiche, era relativa al primo
contratto ed è stata travolta dalla sentenza di accoglimento del
gravame della società, che ha ritenuto legittima l’apposizione del
termine, statuizione questa poi confermata dalla Corte di
Cassazione.

che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo

5

Ne consegue che il giudice di rinvio non poteva, con
riguardo alle conseguenze economiche, confermare le statuizioni
del giudice di primo grado.
5.2. E’ altresì fondata l’altra censura, relativa allo

ius

superveniens, costituito dall’art. 32 della legge n. 183/10.
Questa Corte ha più volte affermato che in tema di

lavoro a tempo determinato, la sopravvenuta disciplina degli artt.
32, commi 5, 6 e 7, della legge n. 183 del 2010, come
interpretata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 303 del
2011, si applica nel giudizio pendente in grado di legittimità
qualora tale ius superveniens sia pertinente alle questioni
dedotte nel ricorso per cassazione, in ragione della natura del
controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici
motivi di ricorso (cfr. Cass. 31 gennaio 2012 n. 1409; Cass. 1
ottobre 2012 n. 16642 e, in precedenza, Cass. 26 luglio 2011 n.
16266).
Nella specie ricorre tale condizione, onde deve trovare
applicazione la suddetta disciplina sopravvenuta.
6. In conclusione, va accolto il terzo motivo del ricorso,
mentre vanno dichiarati inammissibili i primi due motivi. La
sentenza impugnata va cassata in relazione alla censura accolta,
con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale provvederà
anche sulle spese del presente giudizio.
P. Q . M .
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso e dichiara
inammissibili i primi due. Cassa la sentenza impugnata in
relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte
di Appello di Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma in data 10 luglio 2014.

risarcimento del danno nei casi di conversione del contratto di

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