Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22156 del 20/10/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. L Num. 22156 Anno 2014
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: VENUTI PIETRO

SENTENZA

sul ricorso 22260-2010 proposto da:
MEDURI CONSOLATO C.F. MDRCSL36A09L112C, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che lo
rappresenta e difende unitamente agli avvocati
GIANFRANCO PERULLI, FLAVIO LEARDINI, giusta delega in
2014

atti;
– ricorrente –

2419
contro

– AGENZIA DELLE ENTRATE C.F. 11210661002, in persona
del legale rappresentante pro tempore, rappresentata

Data pubblicazione: 20/10/2014

e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso
cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI
PORTOGHESI, 12;
– I.N.P.D.A.P. – ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA PER
I DIPENDENTI DELLA AMMINISTRAZIONE PUBBLICA C.F.

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
CESARE BECCARIA n. 29 presso L’AVVOCATURA CENTRALE
DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dall’Avvocato
DARIO MARINUZZI, giusta delega in atti;
– controrícorrenti nonchè contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;
– intimato –

avverso la sentenza n. 684/2009 della CORTE D’APPELLO
di VENEZIA, depositata il 22/06/200R.G.N. 386/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 09/07/2014 dal Consigliere Dott. PIETRO
VENUTI;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega verbale
FIORILLO LUIGI;
udito l’Avvocato MARINUZZI DARIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

97095380586, in persona del legale rappresentante pro

.

R.G. n. 22260/10
Ud. 9.7.2014

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Entrate ed inquadrato nell’area C, livello C3 super, premesso che
aveva svolto dal 24 novembre 1998 le funzioni di reggente del
Reparto II, area controllo, del I Ufficio delle Entrate di Verona, e
tale incarico gli era stato rinnovato costantemente sino alla data
di collocamento a riposo (gennaio 2003), con ricorso al Tribunale
di Verona proposto nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, del
Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’INPDAP, chiedeva
la rideterrninazione dell’indennità di buonuscita, da calcolarsi
sul trattamento retributivo di dirigente di seconda fascia,
compresa l’indennità di posizione, percepito al momento della
cessazione dal servizio.
Il Tribunale adito accoglieva la domanda, ma la Corte
d’appello di Venezia, su impugnazione dei soccombenti, la
rigettava, riformando la decisione di primo grado.
Ha osservato la Corte di merito, per quanto ancora rileva in
questa sede, che il Meduri non aveva mai rivestito la qualifica
dirigenziale, ma aveva svolto funzioni di reggenza in attesa
dell’avvio della procedura ~concorsuale per la copertura
del posto dirigenziale; che la reggenza del pubblico ufficio, pur
comportando lo svolgimento, di fatto, di mansioni dirigenziali,
non determina il diritto al corrispondente trattamento
retributivo; che, a norma dell’art. 3 D.P.R. n. 1032/73, la base
contributiva è costituita dall’ultimo stipendio percepito; che con
tale locuzione il legislatore ha voluto indicare il trattamento
>.

economico fondamentale e non il trattamento economico
provvisoriamente corrisposto; che la retribuzione di posizione

Il dott. Consolato Meduri, dipendente dell’Agenzia delle

2

non è prevista tra le voci tassativamente indicate dall’art. 38
D.P.R. cit. ai fini della determinazione della base contributiva.
Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso il
dott. Meduri, illustrato da successiva memoria. L’Agenzia delle
Entrate e l’INPDAP hanno resistito con distinti controricorsi. Il
Ministero dell’Economia e delle Finanze è rimasto intimato.
1. Con l’unico motivo del ricorso, articolato in più censure,
è denunziata violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 38
D.P.R. n. 1032 del 1973.
Si deduce che, contrariamente a quanto ritenuto dalla
sentenza impugnata, ‘indennità di buonuscita nel regime attuale
del pubblico impiego privatizzato, ha natura di retribuzione
differita e quindi segue il principio della corrispondenza della
retribuzione alle mansioni effettivamente svolte enunciato
dall’art. 52 D. Lgs. n. 165/01.
Si soggiunge che erroneamente è stato attribuito il
carattere di provvisorietà al trattamento economico stipendiale
corrisposto al ricorrente per effetto dell’incarico di reggenza, con
conseguente erronea esclusione dello stipendio effettivamente
percepito in costanza di servizio dalla base di calcolo
dell’indennità di buonuscita. L’istituto della reggenza comporta
infatti una vera e propria titolarità dell’ufficio ed esclude quindi,
con riguardo all’indennità di buonuscita, la diversità di
trattamento rispetto agli incarichi dirigenziali. Inoltre, la
protrazione nel tempo della reggenza comporta l’ascrivibilità delle
prestazioni lavorative alle mansioni dirigenziali, tenuto conto
peraltro dell’assenza del procedimento di copertura del posto
dirigenziale. Tanto più che, nella specie, l’attribuzione
dell’incarico dirigenziale è stata confermata con l’ultimo
contratto individuale, che prevedeva la cessazione del predetto
incarico al momento del collocamento in quiescenza del
ricorrente. Questi veniva retribuito con le stesse modalità del
personale dirigente e su tale trattamento retributivo – e non già

MOTIVI DELLA DECISIONE

su quello dell’originaria qualifica di appartenenza – sono state
calcolate le ritenute previdenziali.
Si rileva ancora che erroneamente è stata esclusa la
retribuzione di posizione dal trattamento retributivo stipendiale
considerato dagli artt. 3 e 38 D.P.R. n. 1032/73. Tale
emolumento costituisce infatti parte integrante della retribuzione
trattamento economico fondamentale, i connotati di un
compenso fisso, continuativo, costante e generale.
Conseguentemente esso, in quanto percepito dal dipendente al
momento del collocamento a riposo, non può non essere
calcolato nell’indennità di buonuscita.
2. Il ricorso non è fondato.
La questione per cui è controversia è stata decisa in senso
difforme dalla Sezione lavoro di questa Corte, sicché essa, con
ordinanza interlocutoria n. 10979/13, è stata rimessa alle
Sezioni Unite per la composizione del contrasto.
Aveva infatti affermato Cass., sez. lav., 11 giugno 2008, n.
15498, con riferimento alla fattispecie di un funzionario della IX
qualifica funzionale che aveva svolto mansioni vicarie di
dirigente, che nel rapporto di lavoro c.d. privatizzato alle
dipendenze di pubbliche amministrazioni, poiché l’esercizio di
fatto di mansioni più elevate rispetto a quelle della qualifica di
appartenenza non ha effetto ai fini dell’inquadramento del
lavoratore nella superiore qualifica, la base retributiva
dell’indennità di buonuscita, che è normativamente costituita
dalla retribuzione corrispondente all’ultima qualifica
legittimamente rivestita dall’interessato all’atto della cessazione
del servizio, non è da riferire alla retribuzione corrispondente alla
superiore qualifica, bensì a quella corrispondente all’inferiore
qualifica di appartenenza.
Questo principio non è stato condiviso da Cass., sez. lav.,
13 giugno 2012, n. 9646, che ha invece ritenuto che ai fini della
buonuscita si debba considerare il trattamento economico

del dirigente e riveste natura stipendiale, assumendo, come il

4

corrisposto per l’incarico svolto a titolo di reggenza, affermando
in particolare che nell’ipotesi di reggenza conferita per un
posto vacante di dirigente per il periodo necessario
all’espletamento delle procedure di selezione per la copertura
del posto stesso con attribuzione del relativo trattamento
economico, se la reggenza prosegue per un periodo
requisiti per il collocamento a riposo, nel computo
dell’indennità di buonuscita non si può non tenere conto,
come ultimo trattamento economico percepito, di quello
corrisposto per il suddetto incarico dirigenziale, anche se a titolo
di reggenza.
L’orientamento precedente è stato ulteriormente ribadito
da Cass., sez. lav., 2 luglio 2013, n. 16506, che, ponendosi in
critico confronto (ed in consapevole contrasto) con Cass. n. 9646
del 2012, ha in particolare evidenziato che il rapportare la
liquidazione dell’indennità di buonuscita alla retribuzione da
ultimo percepita in forza delle mansioni dirigenziali espletate in
via di reggenza temporanea, anziché alla retribuzione dell’ultima
qualifica rivestita, è una soluzione che si traduce in un
sostanziale aggiramento del disposto dell’art. 52 d.lgs. n. 165 del
2001, di fatto realizzando lo stesso effetto che si sarebbe
verificato se il dipendente avesse regolarmente conseguito il
superiore inquadramento nelle forme previste dalla citata
normativa.
3. Le Sezioni unite di questa Corte, con la recente
sentenza n. 10413 del 14 maggio 2014 hanno aderito a
quest’ultimo, prevalente orientamento.
Richiamando le pronunce della Corte Costituzionale che
hanno affermato la legittimità della tassatività degli emolumenti
computabili ai fmi dell’indennità di buonuscita (C. Cost. n.
243/93 e n. 278/95) nonché le pronunce di legittimità e del
Consiglio di Stato che si sono espresse in piena sintonia con la
giurisprudenza costituzionale con riguardo a settori diversi

eccessivamente lungo e nel frattempo il dipendente matura i

5

(Cass. Sez. Un. n. 3673/97; Cass. n. 16596/04; Cass. n.
22125/11; Cass. n. 2259/12; Cass. n. 709/12: Cons. St., Sez.
VI, n. 6736/11; n. 2075/11; n. 3717/09; n. 482/09), le Sezioni
Unite hanno affermato che gli stessi principi trovano
applicazione nella fattispecie della reggenza, la quale è connotata
dalla temporaneità e presuppone che per obiettive esigenze di

organico, sia temporaneamente adibito a mansioni proprie di
una qualifica superiore. Anche in tali ipotesi l’intrinseca
temporaneità dell’incarico dirigenziale come reggente, affidato al
dipendente sprovvisto della qualifica di dirigente, comporta che
l’incremento di trattamento economico rispetto a quello
corrispondente alla qualifica di appartenenza sia
concettualmente isolabile e non appartenga alla nozione di
“stipendio” che è invece il trattamento economico tabellarmente
riferibile alla qualifica di appartenenza.
D’altra parte, aggiungono le Sezioni Unite, rapportare la
liquidazione dell’indennità di buonuscita alla retribuzione da
ultimo percepita in forza delle mansioni dirigenziali espletate in
via di reggenza temporanea, anzichè alla retribuzione dell’ultima
qualifica rivestita, significa realizzare di fatto lo stesso effetto che
si sarebbe verificato se il dipendente avesse regolarmente
conseguito il superiore inquadramento, effetto questo che il
legislatore con la privatizzazione del rapporto di pubblico impiego
ha sempre inteso evitare, disponendo che l’esercizio di fatto di
mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non
rileva ai fini dell’inquadramento del lavoratore o
dell’assegnazione di incarichi dirigenziali.
Ne consegue, hanno rilevato Sezioni Unite, che nella base
di calcolo dell’indennità di buonuscita del dipendente che da
ultimo abbia svolto le superiori mansioni di dirigente in
situazione di reggenza, non possono comprendersi emolumenti
diversi da quelli previsti dal combinato disposto degli artt. 3 e 38
d.P.R. n. 1032 del 1973 non potendo in particolare interpretarsi

servizio il prestatore di lavoro, nel caso di vacanza di posto in

6

le locuzioni “stipendio”, “paga” o “retribuzione”, nel senso
generico di retribuzione ornnicomprensiva riferibile a tutto
quanto ricevuto dal dipendente in modo fisso o continuativo e
con vincolo di corrispettività con la prestazione, ma dovendo esse
essere riferite al trattamento retributivo relativo alla qualifica di
appartenenza.
civ., il seguente principio di diritto: Nel regime dell’indennità di

buonuscita spettante ai sensi degli artt. 3 e 38 d.P.R. 1032 del
1973 al pubblico dipendente, che non abbia conseguito la qualifica
di dirigente e che sia cessato dal servizio nell’esercizio di mansioni
superiori in ragione dell’affidamento di un incarico dirigenziale
temporaneo di reggenza ai sensi dell’art. 52 d.lgs. n. 165 del
2001, lo stipendio da considerare come base di calcolo
dell’indennità medesima è quello relativo alla qualifica di
appartenenza e non già quello rapportato all’esercizio temporaneo
delle mansioni relative alla superiore qualifica di dirigente.
A questo principio questo Collegio intende dare continuità,
non essendovi ragioni per discostarsene.
4. Con la memoria ex art. 378 cod. proc. civ., la parte
ricorrente, nel dare atto dell’intervento, nelle more, della
sentenza delle Sezioni Unite sopra menzionata, rileva che quella
fattispecie era diversa da quella in esame. Qui infatti le funzioni
dirigenziali sono state svolte dal dipendente in forza di
provvedimenti formali dell’Amministrazione e per circa cinque
anni, in mancanza quindi dei caratteri della straordinarietà e
della temporaneità, mentre nella fattispecie esaminata dalle
Sezioni Unite l’incarico aveva avuto una durata inferiore a tre
anni.
Richiama il ricorrente l’art. 1, comma 32, D.L. n. 138/11,
convertito, con modificazioni, dalla L. n. 148/11 – il quale,
modificando l’art. 19, comma 2, D. Lgs. n. 165/01, ha disposto
che nell’ipotesi in cui la durata dell’incarico dirigenziale sia
inferiore a tre anni perché coincidente con il conseguimento del

Ed hanno affermato, ex art. 384, primo comma, cod. proc.

7

limite di età per il collocamento a riposo dell’interessato, l’ultimo
stipendio, ai fini dell’indennità di buonuscita, va individuato
nell’ultima retribuzione percepita prima del conferimento
dell’incarico avente durata inferiore a tre anni – e deduce che
tale disposizione costituisce un chiaro punto di riferimento per
ritenere, a contrario, che incarichi di durata pari o superiore buonuscita ragguagliato all’ultima retribuzione percepita.
Un’interpretazione diversa, che poggia sulla prevalenza
della qualificazione della fattispecie astratta della reggenza,
connotata dai requisiti di provvisorietà e precarietà, rispetto al
contenuto concreto del rapporto giuridico, non farebbe altro, ad
avviso del ricorrente, che condurre a esiti pesantemente
discriminatori nel trattamento di situazioni simili, in palese
violazione del principio costituzionale di uguaglianza in senso
sostanziale.
5. Non ritiene questa Corte che le superiori deduzioni
possano condurre ad una soluzione diversa da quella adottata
dalle Sezioni Unite (cfr. art. 374, comma 3, cod. proc. civ.).
5.1. E’ innanzitutto irrilevante che lo svolgimento delle
superiori mansioni nella specie è avvenuto in base ad un formale
provvedimento di incarico. Si tratta, infatti, pur sempre, di un
incarico di reggenza affidato ad un funzionario che non riveste la
qualifica dirigenziale e che è nettamente distinto dall’incarico di
dirigente vero e proprio: il primo cessa alla scadenza del periodo
di reggenza, che può essere più o meno lungo; il dirigente
mantiene definitivamente la qualifica una volta superato il
concorso. Ed è tale distinzione che giustifica il diverso
trattamento ai fini della liquidazione dell’indennità in questione.
Il dipendente che svolge mansioni superiori conserva la qualifica
di appartenenza, con la conseguenza che l’indennità di
buonuscita non può che essere commisurata al trattamento
retributivo previsto per tale qualifica. Ed è per questo che l’art. 3
del D.P.R. citato fa riferimento “all’ultimo stipendio percepito” e

come nella specie – a tre anni giustificano un trattamento di

8

non già al “trattamento economico” da ultimo (provvisoriamente)
corrisposto, posto che, diversamente, il sistema si presterebbe a
speculazioni ed a calcoli opportunistici (si pensi all’ipotesi in cui
l’incarico di reggenza venga conferito poco prima che il
dipendente venga collocato a riposo, con la conseguenza che la
buonuscita dovrebbe essere calcolata sulla base dell’ultima

5.2. Quanto alla modifica, richiamata dal ricorrente a
sostegno della propria pretesa, dell’art. 19 D. Lgs. n. 165/01
introdotta dall’art. 1, comma 32, D.L. n. 138/11, convertito, con
modificazioni, dalla L. n. 148/11, va osservato quanto segue.
L’art. 40 D. Lgs. n. 150/09 (c.d. riforma Brunetta) ha
modificato l’art. 19 D. Lgs. n. 165/01

(Incarichi di funzioni

dirigenzialz), inserendo al comma 2 di tale articolo, dopo il
secondo periodo, il seguente: “La durata dell’incarico può essere

inferiore a tre anni se coincide con il conseguimento del limite di
età per il collocamento a riposo dell’interessato”. Alla fine dello
stesso comma, ha poi inserito il seguente periodo: “In caso di

primo conferimento ad un dirigente della seconda fascia di
incarichi di uffici dirigenziali generali o di funzioni equiparate, la
durata sell’incarico è pari a tre anni. Resta fermo che per i
dipendenti statali titolari di incarichi di funzioni dirigenziali ai
sensi del presente articolo, ai fini dell’applicazione dell’art. 43,
comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre
1973, n. 1092, e successive modificazioni, l’ultimo stipendio va
individuato nell’ultima retribuzione percepita in relazione
all’incarico svolto”.
Il suddetto art. 19, comma 2, è stato altresì modificato
dall’art. 1, comma 32, D.L. n. 138/11, convertito, con
modificazioni, dalla L. n. 148/11, nei seguenti termini: “All’art.

19, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in
fine, è aggiunto il seguente periodo: “Nell’ipotesi prevista dal terzo
periodo del presente comma, ai fini della liquidazione del
trattamento di fine servizio, comunque denominato, nonché

retribuzione percepita).

9

dell’applicazione dell’art. 43, comma 1, del decreto del Presidente
della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092, e successive
modificazioni, l’ultimo stipendio va individuato nell’ultima
retribuzione percepita prima del conferimento dell’incarico avente
durata inferiore a tre anni”.
Come si evince dal tenore di dette disposizioni, il
dirigenziali, ha disposto che, ai fini della determinazione della
misura del trattamento di quiescenza ex art. 43 cit., l’ultimo
stipendio va individuato nell’ultima retribuzione percepita in
relazione all’incarico svolto, mentre, nell’ipotesi di incarico
inferiore a tre anni perché coincidente con il conseguimento del
limite di età per il collocamento a riposo dell’interessato (terzo
periodo del secondo comma), il legislatore ha stabilito che
l’ultimo stipendio va individuato nell’ultima retribuzione
percepita prima del conferimento dell’incarico avente durata
inferiore a tre anni, norma questa palesemente diretta ad evitare
ogni forma di speculazione.
Orbene, la disposizione di cui al D. Lgs. n. 150/09, art. 40
– che qui rileva – non è applicabile nella fattispecie in esame,
essendo stato il Meduri collocato in quiescenza a decorrere dal 1
gennaio 2003.
Né dalla introduzione di tale norma possono trarsi
elementi per ritenere che le disposizioni in tema di indennità di
buonuscita dei dipendenti che svolgono funzioni di reggenza
debbano essere interpretate nel senso auspicato dal ricorrente.
L’art. 43 D.P.R. n. 1092/73, richiamato dalla novella di
cui al D. Lgs. n. 150/09, nell’indicare le voci retributive
costituenti la base pensionabile (le stesse di cui all’art. 38 D.P.R.
n. 1032/73, aumentate del 18 per cento) ai fini della
determinazione del trattamento di quiescenza dei dipendenti
civili dello Stato, ha disposto, nell’ultimo comma, che ai fini
anzidetti,

“nessun altro assegno o indennità, anche se

pensionabile, possono essere considerati se la relativa

legislatore, con riguardo ai dipendenti statali titolari di incarichi

10

disposizione di legge non ne preveda espressamente la
valutazione nella base pensionabile”.
In coerenza con la norma anzidetta, il legislatore, con la
disposizione innovativa di cui al D. Lgs. n. 150/09, art. 40, sopra
indicata, ha individuato, ai fini della base di calcolo del
trattamento di quiescenza dei dipendenti statali titolari di

percepita in relazione all’incarico svolto”. Ma, come già
evidenziato, tale disposizione è qui inapplicabile ratione temporis.
Ne consegue che anche i rilievi posti dal ricorrente con la
memoria ex art. 378 cod. proc. civ. sono privi di fondamento.
6.

Manifestamente infondata è la questione di

costituzionalità che il ricorrente ha posto con riferimento all’art.
3 Cost., nell’ipotesi in cui l’interpretazione delle disposizioni in
esame, prospettata dal medesimo, fosse stata disattesa.
La lesione del principio di uguaglianza presuppone infatti
sperequazioni e/o disparità di trattamento in presenza di
situazioni uguali, evenienza questa non ricorrente nella specie
posto che la posizione di chi svolge un incarico dirigenziale per
effetto della reggenza e quella di chi riveste una qualifica
dirigenziale è, ai fini per cui è controversia, diversa per le ragioni
sopra evidenziate.
7. In conclusione il ricorso deve essere rigettato.
8.

Il contrasto giurisprudenziale sopra richiamato

giustifica la compensazione delle spese tra le parti costituite.
Nulla per le spese nei confronti del Ministero dell’Economia e
delle Finanze, rimasto intimato.
P. Q . M .
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese tra le parti
costituite. Nulla per le spese nei confronti del Ministero
dell’Economia e delle Finanze.
Così deciso in Roma in data 9 luglio 2014.

incarichi dirigenziali, l’ultimo stipendio” nell’ultima retribuzione

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA