Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22153 del 05/09/2019

Cassazione civile sez. III, 05/09/2019, (ud. 08/02/2019, dep. 05/09/2019), n.22153

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21580/2017 proposto da:

S.M.R., domiciliata ex lege in ROMA presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

GRAZIA PULVIRENTI;

– ricorrente –

contro

COMUNE GIARRE in persona del Sindaco pro tempore D.A.,

domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIO LEOTTA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 205/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 22/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/02/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. S.M.R. ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 205/17, del 22 marzo 2017, della Corte di Appello di Catania, che – rigettando il gravame dalla stessa esperito avverso la sentenza n. 767/2014, del 22 aprile 2014, del Tribunale di Catania, sezione distaccata di Giarre – ha respinto l’opposizione proposta dall’odierna ricorrente contro l’ordinanza n. 19 del 3 maggio 2012, con cui il Comune di Giarre le ha intimato lo sgombero di un alloggio popolare dalla stessa occupato in via (OMISSIS).

2. Riferisce, in punto di fatto, la ricorrente di aver adito la sezione di Giarre del Tribunale etneo per veder dichiarare il proprio diritto alla stipula del contratto di locazione dell’alloggio sopra meglio identificato, sul presupposto di averlo occupato, unitamente al proprio nucleo familiare, in data anteriore al dicembre 2001, essendo pertanto in possesso di tutti i requisiti necessari per regolarizzare il rapporto locativo, ai sensi del D.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035, art. 2.

Si costituiva in giudizio il Comune di Giarre che, proposta una serie di eccezioni preliminari (tutte respinte dal giudice di prime cure), concludeva per la reiezione della domanda attorea.

L’adito Tribunale respingeva la stessa, sul presupposto che la S. non avesse diritto alla stipula del contratto ai sensi della L.R. 9 agosto 2002, n. 11, giacchè essa non avrebbe sufficientemente provato di essere in possesso dei requisiti previsti dall’art. 1, comma 2, di tale legge regionale, non avendo, in particolare, dimostrato di essere venuta in possesso dell’alloggio prima del 31 dicembre del 2001.

Proposto gravame innanzi alla Corte catanese, lo stesso veniva rigettato sul presupposto che l’alloggio non potesse ritenersi abitato alla data del 31 dicembre 2001, essendo stato il contratto per il consumo di energia elettrica stipulato soltanto nel 2006, peraltro a nome del marito della S., nonchè avendo la stessa dichiarato ai vigili urbani, con comunicazione del 9 luglio 2012, di abitare nell’alloggio solo dal gennaio del 2005.

3. Avverso tale ultima decisione ha proposto ricorso per cassazione la S., sulla base di tre motivi.

3.1. Con il primo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – si deduce “error in iudicando”, ed esattamente errata interpretazione e applicazione della L.R. siciliana n. 11 del 2002.

Ribadisce la S. di essere in possesso dei requisiti necessari, ai sensi della legge regionale suddetta, per conseguire l’assegnazione dell’alloggio, rilevando come le risultanze anagrafiche abbiano, in tale ambito un valore solo presuntivo, dovendosi verificare l’effettiva dimora del soggetto nell’immobile.

Assume, poi, la ricorrente che, nel caso di specie, dato il carattere abusivo della detenzione dell’alloggio, essa non avrebbe potuto certo conseguire il trasferimento della residenza, costituendo l’occupazione di un alloggio popolare un reato, sicchè l’Ente comunale avrebbe commesso, a propria volta, il delitto di cui all’art. 323 cod. pen. consentendole il trasferimento della residenza, divenuto, pertanto, possibile solo dopo la presentazione della domanda di regolarizzazione del rapporto locativo in base alla già citata L.R. n. 11 del 2002.

Si censura, inoltre, la sentenza impugnata per avere omesso di considerare le dichiarazioni sostitutive di atto notorio prodotte in giudizio.

3.2. Con il secondo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – si deduce “erronea e falsa applicazione” degli artt. 2697,2699 e 2700 c.c., nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c., oltre a contraddittorietà e illogicità della motivazione della sentenza.

La sentenza è censurata per avere erroneamente valutato la già citata dichiarazione resa dalla S. ai vigili urbani, giacchè essa, quando ebbe ad affermare di vivere nell’alloggio dal gennaio 2005, intese riferirsi al trasferimento della residenza anagrafica e non all’effettiva dimora. D’altra parte, poi, si sottolinea come le dichiarazioni rese ai vigili urbani, anche se cristallizzate in un atto pubblico, non sono coperte da fede privilegiata, sicchè la loro veridicità può essere esclusa sulla base di elementi di valutazione di segno antitetico.

3.3. Infine, il terzo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – deduce violazione dell’art. 2702 c.c. e dell’art. 115 c.p.c..

Si duole la ricorrente del fatto che la Corte territoriale non ha attribuito alcun valore alla circostanza che, nelle more della realizzazione della palazzina di via (OMISSIS), la S. veniva trasferita in alloggio sito nella via (OMISSIS) del Comune di Mascali, per poi rientrare nell’alloggio di via (OMISSIS), consegnatole da parte dell’ente comunale, e ciò in forza proprio del completamento dell’iter amministrativo previsto dalla già più volte citata L.R. n. 11 del 2002.

4. Il Comune di Giarre ha resistito, con controricorso, all’avversaria impugnazione, chiedendone la declaratoria di inammissibilità ovvero, in subordine, di infondatezza.

L’inammissibilità viene eccepita in base al rilievo che ciascuno dei motivi di ricorso realizzerebbe una indebita mescolanza di censure eterogenee.

Nel merito, peraltro, si sottolinea come la S. sia priva dei requisiti per poter conseguire l’alloggio popolare per cui è causa.

5. La ricorrente ha presentato memoria evidenziando di essere legittimata a stipulare il contratto di locazione relativo all’immobile per cui è causa anche ai sensi di quanto previsto dalla sopravvenuta L.R. 8 maggio 2018, n. 8.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. “In limine” va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso (o meglio, dei motivi in cui si articola) per “mescolanza” di censure.

6.1. Invero, “il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sè, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati” (così Cass. Sez. Un., sent. 6 maggio 2015, n. 9100, Rv. 635452-01; in senso sostanzialmente analogo, sebbene “a contrario”, si veda anche Cass. Sez. 3, ord. 17 marzo 2017, n. 7009, Rv. 643681-01).

7. Ciò detto, il ricorso va rigettato.

7.1. Il primo motivo non è fondato.

7.1.1. Esso, infatti, fuoriesce dalla previsione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), se è vero che “il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa” – che è quanto si lamenta nel caso di specie, dal momento che ci si duole del mancato riconoscimento, da parte della Corte etnea, delle condizioni perchè la S. beneficiasse dell’assegnazione dell’alloggio – “è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (da ultimo, “ex multis”, Cass. Sez. 1, ord. 13 ottobre 2017, n. 24155, Rv. 645538-03, nonchè Cass. Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6035, Rv. 648414-01).

7.2. Neppure il secondo motivo è fondato.

7.2.1. Al riguardo deve, infatti, osservarsi, per un verso, che la “violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti” (così, da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 29 maggio 2018, n. 13395, Rv. 649038-01), nonchè, per altro verso, che l’eventuale “cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640194-01; in senso conforme, tra le altre, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass. Sez. 3, sent. 12 aprile 2017, n. 9356, Rv. 644001-01).

7.3. Infine, il terzo motivo risulta inammissibile.

7.3.1. Esso, infatti, non si correla ad alcuna specifica statuizione contenuta nella sentenza impugnata, sicchè trova applicazione il principio secondo cui la “proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al “decisum” della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio” (Cass. Sez. 6-1., ord. 7 settembre 2017, n. 20910, Rv. 645744-01).

8. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

9. A carico della ricorrente, essendo stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato, non sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, secondo quanto previsto dall’art. 108, comma 1, lett. a) del medesimo D.P.R. (Cass. Sez. Lav., sent. 2 settembre 2014, n. 18523, Rv. 632638-01).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condannando S.M.R. a rifondere al Comune di Giarre le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.300,00, più Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 8 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2019

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