Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22151 del 29/10/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 22151 Anno 2015
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: LORITO MATILDE

SENTENZA

sul ricorso 12296-2010 proposto da:
FASANO. ANTONIO C.F. FSNNTN74E10D390N, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA PANAMA 74, presso lo studio
dell’avvocato GIANNI EMILIO IACOBELLI, che lo
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2015
3604

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore,
—–__ elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio

dell’avvocato

FIORILLO

LUIGI,

che

la

Data pubblicazione: 29/10/2015

rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– controri corrente z

avverso la sentenza n. 4845/2008 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 04/05/2009 R.G.N.
8912/2006;

udienza del 23/09/2015 dal Consigliere Dott. MATILDE
LORITO;
udito l’Avvocato RAFFIO MASSSIMO per delega IACOBELLI
GIANNI EMILIO;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega verbale
FIORILLO LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIOVANNI GIACALONE 5 che ha concluso per
raccoglimento del ricorso per quanto di ragione.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n.19502 del 2005 il Giudice del lavoro del
Tribunale di Roma rigettava la domanda proposta da Fasano
Antonio nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, diretta ad
ottenere la declaratoria di nullità del termine finale apposto
ai contratti di lavoro intercorsi tra il lavoratore e la
società dal 8/7/98 al 30/9/98 per necessità di espletamento del
servizio in concomitanza di assenze per ferie, e dal 1/6/99 al
26/8/98 per “esigenze eccezionali” ex art. 8 c.c.n.l. 1994 come
integrato dall’acc. 25-9-97, con le pronunce conseguenziali.
Il Fasano proponeva appello avverso la detta sentenza
chiedendone la riforma con l’accoglimento della domanda.
La società si costituiva e resisteva al gravame.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 4/5/09
rigettava l’appello, accogliendo l’eccezione di risoluzione del
rapporto per mutuo consenso avanzata dalla società.
Per la cassazione di tale sentenza il Fasano ha proposto
ricorso con quattro motivi.
La società ha resistito con controricorso.
Il lavoratore ha altresì depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo il ricorrente lamenta lflomesso rilievo
d’ufficio della inammissibilità della domanda di risoluzione
del rapporto per mutuo consenso” ed in specie sostiene che la
Corte d’Appello avrebbe dovuto rilevare la decadenza della
società dalla proposizione della detta domanda, avanzata come
semplice eccezione e non formulata come domanda
riconvenzionale, trattandosi di “autonoma e distinta domanda
processuale”.
2. Con il secondo motivo, sul presupposto assunto con il primo
motivo, si denuncia vizio di ultrapetizione, avendo i giudici
di appello deciso su una domanda non ritualmente introdotta
come domanda riconvenzionale nel giudizio di primo grado e non
riproposta in secondo grado con apposito appello incidentale.
3. Entrambi i motivi, che possono esaminarsi congiuntamente in
quanto basati sul medesimo presupposto, risultano infondati.
Premesso che il primo giudice ha rigettato la domanda ritenendo
la legittimità del termine, con conseguente assorbimento di
ogni altra questione (tra cui quella in esame) e che, invece,
la Corte d’Appello ha confermato il rigetto della domanda
accogliendo l’eccezione di risoluzione per mutuo consenso già
sollevata in primo grado e riproposta in appello dalla società
appellata, osserva il Collegio che, al di là del contrasto
giurisprudenziale circa la natura dell’eccezione di risoluzione
del rapporto per mutuo consenso tacito (se, cioè, la stessa

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debba intendersi come eccezione in senso stretto, vedi fra le
altre, Cass. 7-5-2009 n. 10526, Cass. 29-3-1982 n. 1939, o in
senso lato, in quanto rappresentante “un fatto oggettivamente
estintivo dei diritti nascenti dal contratto, che può essere
accertato d’ufficio”, cfr. Cass. 6-8-1997 n.7270, Cass. 22-112006 n. 24802, Cass. 24-5-2007 n. 12075, Cass. 20-6-2012 n.
10201, Cass. 17-3-2014 n. 6125), questa Corte ha chiarito che
“di certo, comunque, la proposizione della risoluzione del
rapporto per mutuo consenso tacito non costituisce oggetto di
una “necessaria domanda riconvenzionale” in quanto con essa il
convenuto non oppone una controdomanda intesa ad ottenere un
provvedimento positivo sfavorevole all’attore, ma chiede
semplicemente il rigetto della domanda attrice” (vedi Cass. 48-15 n.16339, Cass. 8-10-2014 n. 21253, Cass. 16-3-2012 n. 4233
Cass. 24-9-2010 n. 20178).
che
ritenersi
quindi,
deve
fattispecie,
Nella
3.1
legittimamente la Corte territoriale ha ritenuto ammissibile
l’eccezione ritualmente sollevata in primo grado e reiterata in
appello dalla società, la quale, vittoriosa nel primo giudizio,
non doveva formulare al riguardo alcun appello incidentale,
avendo soltanto l’onere di manifestare la sua volontà di
chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di
rinuncia derivante da un comportamento omissivo ex art. 346
c.p.c. (v. Cass. 5-6-2007 n. 13082, Cass. 11-6-2010 n. 14086,
Cass. 26-11-2010 n. 24021).
In tal senso vanno quindi respinti i primi due motivi.
4. Con il terzo motivo il ricorrente censura (per violazione di
plurime disposizioni di legge e vizio di motivazione)
l’impugnata sentenza, nella parte in cui ha ritenuto fondata
l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso
tacito, in ragione della “lunghezza notevolissima di non
attuazione del rapporto (7 anni dalla cessazione del primo e 6
anni dalla cessazione del secondo)” e della “mancanza di
qualsiasi manifestazione di interesse da parte dei lavoratori
alla funzionalità di fatto di esso nel tempo antecedente la
proposizione dell’azione giudiziaria”.
In particolare il ricorrente lamenta che la Corte di merito non considerando la avvenuta richiesta di tentativo
obbligatorio di conciliazione che ha preceduto (essendo stata
depositata il 21/1/03) la notifica del ricorso. (avvenuta il
1/8/05) – ha fondato la decisione soltanto sul mero decorso del
tempo e sull’inerzia del lavoratore, senza che la società
avesse allegato e provato ulteriori circostanze chiaramente
significative di una condotta acquiescente alla risoluzione del
rapporto, in presenza, peraltro, di una circolare del 1999 con

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e

la quale si era disposto “di non assumere più a termine coloro
che avessero un contenzioso in essere con l’azienda, così
intimorendo e diffidando tutti coloro che avendo.intenzione di
farlo, nella speranza di lavorare ancora, seppur per pochi mesi
(trattasi pur sempre di disoccupati) sono stati indotti a
desistere dal proposito”.
4.1 11 motivo è fondato e va accolto.
Come questa Corte ha più volte affermato “nel giudizio
instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un
unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto
dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale
ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del
rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata
sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione
dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento
tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative —
una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre
definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (vedi ex
aliis, Cass. 18-11-2010 n. 23319, Cass. 11-3-2011 n. 5887,
Cass. 4-8-2011 n.16932). La mera inerzia del lavoratore dopo la
scadenza del contratto a termine, quindi, “è di per sé
insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del
rapporto per mutuo consenso” (cfr. Cass. 15-11-2010 n. 23057,
Cass. 11-3-2011 n. 5887), mentre “grava sul datore di lavoro”,
che eccepisca tale risoluzione, “l’onere di provare le
circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e
certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni
rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070 e fra le
altre, Cass. 1-2-2010 n. 2279, Cass. 15-11-2010 n. 23057, Cass.
11-3-2011 n. 5887).
Tale principio, del tutto conforme al dettato di cui agli artt.
1372 e 1321 c.c., va ribadito anche in questa sede, così
confermandosi l’indirizzo prevalente ormai consolidato, basato
in sostanza sulla necessaria valutazione dei comportamenti e
delle circostanze di fatto, idonei ad integrare una chiara
manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine alla
risoluzione del rapporto, non essendo all’uopo sufficiente il
semplice trascorrere del tempo e neppure la mera mancanza,
seppure prolungata, di operatività del rapporto. Al riguardo,
infatti, non può condividersi il diverso indirizzo che,
valorizzando esclusivamente il “piano oggettivo” nel quadro di
una presupposta valutazione sociale “tipica” (v. Cass. 6-7-2007
n. 15264 e da ultimo Cass. 5-6-2013 n. 14209), prescinde del
tutto dal presupposto che la risoluzione per mutuo consenso

tacito costituisce pur sempre una manifestazione negoziale,
anche se tacita (vedi Cass. 28-1-2014 n. 1780).
4.2 Orbene, nel caso in esame la Corte di merito ha disatteso
il principio qui ribadito, in quanto ha fondato la propria
decisione esclusivamente sul mero trascorrere del tempo di “non
attuazione del rapporto” (peraltro erroneamente calcolato non
considerando la richiesta di tentativo obbligatorio di
conciliazione che ha preceduto la proposizione dell’azione) e
sulla semplice inerzia, seppure prolungata, del lavoratore,
senza neppure valutare altre circostanze concrete (come la
presenza della citata circolare, avente significato diverso).
4.3 Il motivo in esame va pertanto accolto, così risultando
assorbito il quarto motivo, con il quale il ricorrente nel caso
si ritenga “di dover procedere all’esame della controversia,
omesso dalla Corte d’Appello nella gravata pronuncia” ha
riproposto le ragioni di fondatezza della domanda in ordine
nullità del termine apposto ai contratti in causa (questione
questa senz’altro riproponibile davanti al giudice di rinvio).
In accoglimento del terzo motivo, quindi, l’impugnata sentenza
va cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Roma in diversa
composizione, la quale provvederà attenendosi al principio qui
riaffermato e statuirà anche sulle spese del presente giudizio
di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo e il secondo motivo di ricorso,
accoglie il terzo, assorbito il quarto, cassa l’impugnata
sentenza e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di
Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma il 23 settembre 2015.

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