Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22150 del 05/09/2019

Cassazione civile sez. III, 05/09/2019, (ud. 24/01/2019, dep. 05/09/2019), n.22150

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18125-2017 proposto da:

L.M., M.M., elettivamente domiciliati in ROMA,

V.PREMUDA 6, presso lo studio dell’avvocato LUCA CALCAGNI,

rappresentati e difesi dall’avvocato ALFREDO RENZULLI;

– ricorrenti –

contro

BANCO BPM SPA già BANCA POPOLARE MILANO SCARL, in persona del

procuratore speciale, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANICIA

6, presso lo studio dell’avvocato ROCCO NANNA, che lo rappresenta e

difende;

e contro

T.F., S.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 631/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 22/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/01/2019 dal Consigliere Dott. MARIO CIGNA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con citazione 19-12-2006 i coniugi M.M. e L.M. convennero in giudizio dinanzi al Tribunale di Foggia, sez. distaccata di Manfredonia, la Banca Popolare di Milano soc. coop. a r.l. per sentirla condannare al risarcimento dei danni per omessa negoziazione di assegni bancari postdatati presentati all’incasso prima della data cartolare riportata.

A sostegno della domanda esposero:

che in data 26-7-2004 avevano richiesto alla Banca il pagamento di cinque assegni bancari postdatati, con data cartolare 2, 3, 4, 5 e 6 agosto, per i rispettivi importi di Euro 9.900,00, 9.900,00, 5.020,00, 5.020,00 e 9.900,00, emessi lo stesso giorno 26-7-2004 da T.F. in favore di S.A. e da quest’ultimo in pari data girati ai suddetti coniugi; che la Banca aveva rifiutato la negoziazione nonostante i coniugi avessero dimostrato la loro disponibilità alla regolarizzazione in bollo e nonostante vi fosse provvista sul conto del traente; che la Banca aveva addotto l’impossibilità di procedere alla regolarizzazione fiscale ed aveva trattenuto gli stessi, promettendo di porli in pagamento alle scadenze e garantendo la solvibilità del traente; che in data 28-2004 la Banca aveva pagato il primo assegno ma il 3-8-2004 il T. aveva “svuotato” il proprio c/c, sicchè gli altri assegni erano rimasti non pagati e l’11-8-2004 inviati per il protesto per mancanza di provvista.

La Banca, nel costituirsi, dedusse di non avere opposto alcun rifiuto al pagamento e di avere solo invitato i coniugi a regolarizzare dal punto di vista fiscale gli assegni postdatati, precisando che erano stati gli stessi coniugi a scegliere di attendere per il pagamento la data indicata sugli assegni stessi e che nessuno degli impiegati aveva garantito l’affidabilità del traente.

Con distinta citazione, inoltre, la Banca convenne in giudizio dinanzi allo stesso Tribunale i coniugi M.M. e L.M. nonchè T.F. e S.A. per sentirsi dichiarare esente da responsabilità e, in caso di soccombenza nel primo giudizio, dichiarare tenuti al risarcimento T.F. e S.A. per illecita circolazione degli assegni.

Riunite le cause, l’adito Tribunale, con sentenza 19-10-2011, condannò la Banca, T.F. e S.A. al pagamento, in favore dei coniugi M.M. e L.M., della somma di Euro 30.020,00, oltre interessi, a titolo di risarcimento del danno sofferto.

Con sentenza 22-5-2017 la Corte d’Appello di Bari, in accoglimento del gravame proposto dalla Banca, ha rigettato la domanda dei coniugi, disponendo la restituzione, da parte di quest’ultimi, delle somme riscosse dalla Banca in virtù della provvisoria esecuzione della sentenza impugnata; in accoglimento, poi, dell’appello incidentale del T. ha dichiarato assorbita la domanda proposta nei suoi confronti dalla Banca.

In particolare la Corte, per quanto ancora rileva, dopo avere precisato che – ai sensi del R.D. n. 1736 del 1993, art. 31 – l’assegno postdatato è pagabile nel giorno della sua presentazione e che le uniche conseguenze della postdatazione sono di carattere fiscale, ha, innanzitutto, ritenuto legittima la richiesta della Banca di regolarizzare sotto il profilo fiscale l’assegno, mediante versamento dell’imposta proporzionale e pagamento delle sanzioni; ha poi ritenuto non provato, alla luce dell’istruttoria svolta, il rifiuto della Banca (mantenuto pur dopo l’adesione dei coniugi alla regolarizzazione) di procedere al pagamento degli assegni; a tale riguardo ha infatti osservato che, in base sia alle deposizioni testimoniali dei funzionari D.V. e T. sia ad una comunicazione telefonica tra quest’ultimo ed il L., la decisione di soprassedere alla presentazione immediata degli assegni, pur indotta dall’opera di convincimento del T., doveva comunque ritenersi pur sempre una scelta propria dei coniugi; ha inoltre evidenziato, in ordine alla dedotta rassicurazione (da parte della Banca) sulla solvibilità del traente, che gli assegni erano rimasti scoperti solo per via della successiva condotta del traente (della quale non poteva ritenersi responsabile la Banca), che, in forza della presentazione degli assegni da parte di soggetti diversi dal giratario al quale erano consegnati, aveva ritenuto di prelevare dal conto tutte le somme residue; in ordine, infine, all’appello incidentale del T., ha rilevato che coniugi non avevano avanzato direttamente nei suoi confronti alcuna domanda diretta, sicchè erroneamente lo stesso era stato dichiarato responsabile solidalmente con la Banca; nei suoi confronti, invece, (così come nei confronti del S.) era stata proposta dalla Banca solo una domanda di garanzia, nella subordinata ipotesi (poi non verificatasi) in cui la Banca stessa fosse stata dichiarata responsabile.

Avverso detta sentenza i coniugi M.M. e L.M. propongono ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi ed illustrato anche da successive memorie.

Resiste con controricorso il Banco BPM (già Banca Popolare di Milano soc. coop. a r.l), anch’esso corredato da successive memorie.

T.F. e S.A. sono rimasti intimati.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti, denunziando – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – violazione dell’art. 112 c.p.c., si dolgono che la Corte territoriale abbia disposto la restituzione delle somme da essi riscosse dalla Banca in virtù della provvisoria esecuzione della sentenza impugnata, nonostante la relativa richiesta fosse stata formulata solo in comparsa conclusionale, e quindi tardivamente.

Con il secondo motivo i ricorrenti, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 4 – violazione dell’art. 112 c.p.c., lamentano che la Corte d’Appello non si sia pronunciata su specifiche questioni sottoposte al suo esame; in particolare su quelle inerenti la mancata impugnazione della sentenza di primo grado sia nella parte in cui la stessa aveva statuito che i coniugi avessero subito un danno pari ad Euro 33.500,00 dalla mancata negoziazione degli assegni sia nella parte in cui aveva ritenuto responsabili anche il T. ed il S..

Con il terzo motivo i ricorrenti, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione del R.D. n. 1736 del 1993, artt. 31, 118 e 121 nonchè del D.P.R. n. 642 del 1972, art. 22, comma 2, sostengono che la Corte non abbia considerato che, in base alle predette norme, l’assegno postdato deve essere pagato nel giorno della presentazione, poichè la sua regolarizzazione fiscale è imposta solo per accedere al protesto.

Con il quarto motivo i ricorrenti, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione dell’art. 1856 c.c., comma 1, art. 1176 c.c., comma 2 e art. 1170 c.c. nonchè R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, art. 35 sostengono che la Banca, tenuta alla diligenza professionale propria dell’operatore del settore, in mancanza peraltro di un formale “ordine di non pagare”, aveva l’onere di pagare i titoli, di assicurare la provvista sul conto del traente fino alla scadenza del termine di presentazione ed il dovere di non consentire lo “svuotamento” del conto.

Con il quinto motivo i ricorrenti, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, si dolgono che la Corte territoriale, sulla base di un mero riferimento all’istruttoria svolta, abbia ritenuto non provato il rifiuto della Banca di procedere al pagamento degli assegni, incorrendo in tal modo in una motivazione apparente.

Il primo motivo è inammissibile ex art. 366 c.p.c., n. 6 per genericità, non avendo il ricorrente descritto gli atti difensivi di parte, onde consentire a questa S.C. di verificare che la domanda di restituzione sia stata proposta per la prima volta solo in sede di comparsa conclusionale; tanto a maggior ragione in quanto la Banca nel controricorso sostiene di avere implicitamente avanzato, con verbale 13-4-2012, la domanda restitutoria.

Il quinto motivo, da esaminarsi con precedenza rispetto ai precedenti per ragioni di ordine logico, è infondato.

La Corte, invero, ha ampiamente preso in considerazione il “fatto” del rifiuto della Banca di provvedere al pagamento immediato, ritenendo detto rifiuto non provato non in base ad una “motivazione apparente”, ma, al contrario, in considerazione dello specifico esame delle risultanze degli interrogatori formali delle parti, delle deposizioni testimoniali del D.V. e del T. (rispettivamente direttore di sala ed impiegato della Banca) e dell’ascolto una microcassetta contenente la trascrizione di conversazione telefonica tra T. ed il L..

Il secondo motivo è infondato.

La Corte, in accoglimento di specifico motivo di gravame, ha affermato la liceità della condotta della Banca, con conseguente (implicito) assorbimento delle altre su dedotte questioni; assorbimento, peraltro, espressamente evidenziato per quanto riguarda la posizione del T..

Il terzo motivo è inammissibile in quanto non in linea con la ratio dell’impugnata sentenza, che infatti, pur espressamente affermando che l’assegno postdato è pagabile immediatamente, ha tuttavia escluso la responsabilità della Banca per mancata prova del rifiuto della Banca medesima di procedere al pagamento degli assegni.

Anche il quarto motivo è inammissibile, in quanto contrastante con l’accertamento in fatto, contenuto nella impugnata sentenza, che ha ritenuto non provato il rifiuto della Banca di procedere al pagamento immediato degli assegni (v. sopra) ed ha valutato una scelta propria dei ricorrenti quella di soprassedere a siffatto immediato pagamento.

In conclusione, pertanto, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato rigettato, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 7.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2019

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