Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2215 del 30/01/2018


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 2215 Anno 2018
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: ESPOSITO ANTONIO FRANCESCO

SENTENZA
sul ricorso 10481-2010 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente contro
CATTAMO CIRTNA, CATTANO CARMELO CATTANO

CIRINA SOCIETA’

DI FATTO

elettivamente domiciliati in

in persona dei soci,
ROMA VIA

BETTOLO 17,

presso lo studio dell’avvocato RICCARDO GOZZI,
rappresentati e difesi dall’avvocato ROBERTA RUSTIA

Data pubblicazione: 30/01/2018

giusta delega a margine;
– controrícorrenti nonché contro

FERRARO GIUSEPPINA;
– Intimata avverso la sentenza n. 2/2010 della COMM.TRIB.REG. di

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 18/05/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO
FRANCESCO ESPOSITO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FEDERICO SORRENTINO che ha concluso per
l’accoglimento per guanto di ragione del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avvocato PALATIELLO che si
riporta agli atti.

TRIESTE, depositata il 25/01/2010;

FATTI DI CAUSA

1. La Guardia di Finanza di Pordenone, nell’ambito di un procedimento
penale, effettuava la perquisizione delle abitazioni di Carmelo Cattano
e Cirina Cattano, rinvenendo e sequestrando, tra l’altro,
documentazione contabile comprovante l’acquisto di materiale orafo
accertavano che i predetti non erano mai stati in possesso di alcuna
licenza o autorizzazione necessaria per il commercio di preziosi, né
avevano mai provveduto all’iscrizione dell’attività presso la Camera di
Commercio.
Sulla scorta di tali risultanze, veniva effettuata una verifica fiscale a
carattere generale nei confronti della società di fatto esistente tra
Carmelo e Cirina Cattano, i cui risultati erano esposti nel processo
verbale di constatazione redatto il 27 dicembre 1999. Nell’ambito
dell’attività di polizia giudiziaria venivano, inoltre, eseguiti
accertamenti bancari, i cui risultati erano esposti nel processo verbale
di constatazione redatto il 9 agosto 2000.
Veniva così rilevata l’esistenza tra i Cattano di un’attività commerciale
organizzata in forma di impresa collettiva, nella tipologia della società
di fatto, in assenza delle prescritte autorizzazioni e senza, quindi, aver
mai provveduto a regolarizzare l’attività esercitata, con conseguente
posizione di evasore totale. Nel corso delle indagini, era anche emerso
che Giuseppina Ferraro, madre dei Cattano, faceva parte della società
di fatto.
2. Sulla base di tali risultanze, l’Ufficio di Pordenone provvedeva a
rideterminare il volume di affari non dichiarato e ad emettere avvisi di
accertamento, in relazione ai periodi d’imposta dal 1994 al 1999, per
Iva, Ilor, Irpeg, Irap nei confronti della società di fatto e per Irpef nei
confronti dei soci Carmelo Cattano, Cirina Cattano e Giuseppina
Ferraro, quale reddito di partecipazione, con irrogazione delle relative
sanzioni.
3. Avverso i suddetti atti impositivi la società e i soci proponevano
ricorso dinanzi alla C.T.P. di Pordenone, che li accoglieva, sul rilievo
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che, successivamente all’acquisto, veniva commercializzato. I militari

che l’Ufficio, nella ricostruzione del reddito, non aveva avuto in
considerazione l’effettiva situazione dei contribuenti, i quali si erano
trovati in precarie condizioni economiche, tanto da dover
reiteratamente dare in pegno preziosi ed essere anche costretti a
contrarre prestiti usurari, come accertato in sede penale.
4. La decisione veniva confermata dalla C.T.R. del Friuli-Venezia
5. Avverso la suddetta pronuncia l’Agenzia delle entrate propone
ricorso per cassazione, sulla base di sette motivi.
6. Resistono con controricorso i contribuenti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce error
in procedendo ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ., in relazione all’art. 36,
comma 2, n. 4 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, censurando la
motivazione della sentenza impugnata in quanto astratta, generica e
vaga in relazione ai motivi di appello formulati dall’Ufficio, contenente
soltanto i giudizi statici finali adottati dal giudicante, senza alcuna
esposizione dei motivi in fatto e in diritto della decisione assunta.
2. La censura è fondata.
2.1. Appare opportuno premettere che il giudice, nel pronunciare la
sentenza, non può limitarsi ad enunciare il giudizio nel quale consiste
la sua valutazione, perché questo è il solo contenuto «statico» della
motivazione, essendo necessaria la descrizione del processo cognitivo
attraverso il quale è passato dalla sua situazione iniziale di ignoranza
dei fatti alla situazione finale costituita dal giudizio, che rappresenta il
necessario contenuto «dinamico» della motivazione stessa (Cass. n.
15964 del 2016). Non adempie il dovere di motivazione il giudice che
si limiti a richiamare principi giurisprudenziali asseritamente acquisiti,
senza tuttavia formulare alcuna specifica valutazione sui fatti rilevanti
di causa e, dunque, senza ricostruire la fattispecie concreta ai fini della
sussunzione in quella astratta; in una situazione di tal tipo, infatti, il
sillogismo che distingue il giudizio finisce per essere monco della
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Giulia, con sentenza del 25 gennaio 2010.

premessa minore e, di conseguenza, privo della conclusione razionale
(Cass. n. 22242 del 2015). Va, inoltre, rammentato che nel processo
tributario, è nulla, per violazione degli art. 36 e 61 d.lgs. n. 546/1992,
la sentenza della commissione tributaria regionale completamente
carente dell’illustrazione delle critiche mosse dall’appellante alla
statuizione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la
l’individuazione del

thema decidendum

e delle ragioni poste a

fondamento del dispositivo, e che si sia limitata a motivare per
relationem alla sentenza impugnata mediante la mera adesione ad
essa, in tal modo non consentendo di ritenere che una siffatta
affermazione di condivisione sia stata raggiunta attraverso l’esame e
la valutazione della infondatezza dei motivi di gravame (Cass. n. 242
del 2015).
2.2. La C.T.R., nella sentenza impugnata, ha affermato: «gli elementi
che la Commissione provinciale ha inteso evidenziare e porre a base
del giudizio, sostanzialmente fondato sulla inadeguatezza dei motivi
dell’accertamento, non si possono che condividere. I motivi d’appello
nulla poi aggiungono, esaurendosi pure loro in una pretesa
completezza e legittimità dell’azione dell’Ufficio senza peraltro fornire
quegli elementi che lascino capire quale sia il cammino logico e la
ricostruzione contabile del reddito che viene imputato. Ma anche se è
corretto quanto sostiene l’Ufficio quando indica che con l’accertamento
induttivo gli uffici applicano criteri variabili in funzione delle
caratteristiche del soggetto interessato e dell’attività svolta, è ben
vero che tali criteri non sono stati chiaramente indicati né tantomeno
sono stati altrettanto chiaramente applicati. Nulla da dire sulla
giurisprudenza citata dall’Ufficio, peccato che i principi ivi indicati non
siano poi stati utilizzati nell’accertamento in questione, eseguito con
troppa superficialità e con l’utilizzazione di criteri e parametri che non
trovano giustificazione nella motivazione dell’atto impositivo. Anche il
richiamo all’inversione dell’onere della prova sembra stridere con gli
argomenti e le prove addotte dai contribuenti, che – a giudizio di
questa Commissione – sembrano più che idonei e sufficienti allo
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commissione a disattenderle, così rendendosi impossibile

scopo. Ha ben ragione la difesa degli appellati quando sostiene numeri alla mano viene da dire – che le risultanze cui l’Ufficio giunge
sono decisamente incompatibili fra loro ed anche con quanto
verbalizzato dalla Guardia di Finanza. Il semplice raffronto delle cifre
tratte dai pvc mostra come si tratti di importi decisamente in contrasto
fra loro».
con tutta evidenza, come la decisione gravata non si ponga in linea
con i principi, sopra richiamati, espressi da questa Corte. La C.T.R.,
invero, ha sviluppato argomentazioni del tutto astratte, prive di
specifici riferimenti ai fatti rilevanti di causa e, quindi, alla fattispecie
concreta, omettendo di esaminare e valutare le censure formulate
dall’Ufficio nell’atto di appello (riportate nelle pagg. 19 e 20 del ricorso
per cassazione) ed esprimendo, nella sostanza, un giudizio di mera
condivisione della sentenza impugnata.
Analoghe considerazioni valgono con riferimento agli altri passaggi
della decisione, ove si afferma: «è stato forse l’Ufficio a promuovere
un accertamento “a peso”, senza attenersi scrupolosamente ai dati di
fatto ed agli argomenti – pur se valutabili dall’Ufficio – portati dai
contribuenti. La presenza di numerosissime operazioni di natura
finanziaria ha in effetti “confuso” gli accertatori che non sono stati in
grado di analizzarle in modo chiaro e sopra tutto riscontrabile»; «ogni
sforzo va indirizzato ad individuare la reale capacità contributiva del
soggetto, utilizzando strumenti presuntivi che non possono avere
effetti automatici ma richiedono un confronto con la situazione
concreta. E’ quanto invece è stato omesso dall’Ufficio e brillantemente
messo in luce con la sentenza che qui viene impugnata e di cui si
chiede la riforma, laddove limiti, incongruità e deficienze andavano
ricercate nell’operato dell’Ufficio. Merita pertanto conferma completa
la decisione dei primi giudici, che hanno evidenziato in modo perfetto
i termini della questione fornendo una soluzione legittima ed
inoppugnabile».
3. Dall’accoglimento del primo motivo in relazione al vizio denunciato
discende l’assorbimento degli altri motivi di ricorso.
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Orbene, dal passaggio motivazionale testualmente riportato si evince,

4. In conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso, con
assorbimento degli altri. La sentenza impugnata va dunque cassata in
relazione al motivo accolto, con rinvio alla C.T.R. del Friuli-Venezia
Giulia, in diversa composizione, la quale provvederà anche in ordine
alle spese del presente giudizio.

accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia
alla C.T.R. del Friuli-Venezia Giulia, in diversa composizione, cui
demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 18 maggio 2017.
Il Consigliere estensore

P.Q.M.

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