Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2215 del 25/01/2019

Cassazione civile sez. trib., 25/01/2019, (ud. 10/01/2019, dep. 25/01/2019), n.2215

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON E. – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI G. – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI P. – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M. G. – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 2237 del ruolo generale dell’anno

2013, proposto da:

Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del Direttore pro

tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

SOCIM s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore

G.A., rappresentata e difesa, giusta procura speciale a margine

del controricorso, dall’avv.to Enzo Barilà, dall’avv.to Enrico

Bertoni, dall’avv.to Daniele Manca Bitti, elettivamente domiciliata

presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, alla Via Luigi Luciani n.

1;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Liguria n. 96/01/2011, depositata il 21 novembre

2011.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10 gennaio 2019 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati

Viscido di Nocera.

Fatto

RILEVATO

Che:

– con sentenza n. 96/01/2011, depositata il 21 novembre 2011, la Commissione tributaria regionale della Liguria, previa riunione, accoglieva gli appelli proposti dalla SOCIM s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, nei confronti dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del Direttore pro tempore, avverso le sentenze n. 340/01/2009 e n. 339/01/2009 della Commissione tributaria provinciale di Genova che avevano rigettato i separati ricorsi proposti dalla detta società rispettivamente avverso: 1) l’avviso di rettifica di accertamento n. (OMISSIS) -con il quale l’Amministrazione doganale, per una partita di magliette T-shirt importate dalla Cina nel 2008, aveva rideterminato, attraverso la consultazione del sistema denominato M.E.R.C.E. con riguardo al valore medio delle merci similari, il maggiore valore unitario pari a Euro 1,75, a fronte di quello dichiarato dalla società di Euro 0,50 – e la Determinazione del Direttore regionale per la Liguria n. 7397 del 5.3.2009, con la quale era stata respinta la procedura di risoluzione amministrativa della controversia doganale del D.P.R. n. 43 del 1973, ex artt. 65 e s.s.; 2) l’atto n. 24517/2009 di irrogazione della sanzione ex art. 303 T.U.L.D. e del D.P.R. n. 633 del 1973, art. 70, relativamente alla differenza dei diritti doganali rilevata in forza della difformità di valore riscontrata in sede di accertamento;

– la CTR, nel riformare la sentenza di primo grado, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che ancorchè, in sostanza, la società contribuente non avesse assolto all’onere probatorio a proprio carico a fronte dei dubbi dell’Amministrazione doganale sulla corrispondenza al valore economico reale delle merci importate di quello dichiarato in dogana (Euro 0.50), l’Amministrazione medesima non aveva provato che il prezzo pagato all’ingresso nel mercato CE dei beni ammontasse al valore unitario accertato di Euro 1,75, per cui, sulla base dei dati acquisiti al giudizio in ordine all’importazione di merce se non uguale quantomeno similare, si poteva ritenere che il prezzo unitario all’importazione fosse, per quanto superiore a Euro 0,50, inferiore ad Euro 1,75, con conseguente necessario annullamento dei provvedimenti impugnati;

– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle dogane propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui resiste, con controricorso, la società contribuente;

– SOCIM s.p.a., ha depositato memoria illustrativa, ai sensi dell’art. 380bis.1. c.p.c., nella quale ha insistito per il rigetto del ricorso;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

– con il primo motivo del ricorso, l’Agenzia delle dogane denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n.3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 29 C.D.C., art. 181-bis D.A.C. e dell’art. 2697 c.c. e del loro combinato disposto, per avere la CTR – a fronte dei fondati dubbi da parte dell’Amministrazione doganale circa la corrispondenza del valore dichiarato (0,50) della merce importata a quello pagato o da pagare ex art. 29 C.D.C., in luogo di fare ricadere, secondo la procedura di cui all’art. 181-bis, par. 2, cit., sull’operatore l’onere della prova contraria in ordine alla attendibilità del valore dichiarato – erroneamente fatto ricadere sull’Agenzia l’onere della prova circa la correttezza dell’ammontare del prezzo unitario per T-shirt come accertato in Euro 1,75, facendo applicazione del sistema MERCE del valore medio dei beni similari;

– ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., non sono soggette a cassazione le sentenze erroneamente motivate in diritto, quando il dispositivo sia conforme al diritto; in tal caso la Corte si limita a correggere la motivazione;

– nella specie, il giudice di appello, pur avendo correttamente attribuito, a fronte dei dubbi sollevati dall’Agenzia sull’inattendibilità del dichiarato valore in dogana delle merci importate, l’onere di allegazione e prova a carico della società – ritenuto non assolto, con una valutazione in fatto non sindacabile in sede di legittimità – ha fondato il proprio giudizio circa l’illegittimità dei provvedimenti impugnati sulla ritenuta prova presuntiva – in base a beni se non uguali quantomeno similari – che il prezzo corrisposto all’ingresso del mercato CE della merce ammontasse ad un valore inferiore a quello accertato dall’Ufficio unitariamente in Euro 1,75; benchè conforme a diritto nel dispositivo, risulta sul punto erroneamente motivata con conseguente possibile correzione della stessa nei termini che seguono;

– in materia, questa Corte, nella sentenza n. 23245 del 2018, ha chiarito che l’unico valore rilevante ai fini dell’obbligazione doganale è il valore in dogana; e il valore in dogana di norma coincide col valore di transazione, ossia col prezzo effettivamente pagato o da pagare (Corte giust. 12 dicembre 2013, causa C-116/12, Christodoulou e a., punto 28). Una tale disciplina ha una ben precisa ratio: la normativa unionale in tema di valutazione doganale mira a stabilire un sistema equo, uniforme e neutro, che esclude l’impiego di valori in dogana arbitrari o fittizi (tra varie, Corte giust. in causa C-116/12, cit., punto 44; 20 dicembre 2017, causa C- 529/16, HannamatsuPhotonics Deutschland GmbH c. Hauptzollamt Munchen; 15 luglio 2010, Gaston Schul, causa C-354/09, punto 27; 28 febbraio 2008, causa C-263/06, Carboni e derivati s.r.l., punto 60) e tanto risponde altresì alle necessità di certezza della prassi commerciale. Il che spiega perchè il codice doganale comunitario abbia stabilito con gli artt. 29, 30 e 31 una rigida sequenza di regole di determinazione del valore doganale e perchè il regolamento attuativo del codice abbia predisposto una apposita disciplina, regolata dall’art. 181-bis, qualora le autorità doganali abbiano ” fondati dubbi che il valore dichiarato rappresenti l’importo totale pagato o da pagare ai sensi del codice doganale, art. 29″ (Cass. 4 aprile 2013, n. 8323; 13 settembre 2013, n. 20931). In questo caso, per potersi discostare dalla regola del valore di transazione, l’autorità doganale deve chiedere informazioni complementari e sollecitare il contraddittorio, prima di decidere di non determinare il valore in dogana delle merci importate in base alla regola generale fissata dall’art. 29;

– il valore di transazione deve comunque riflettere il valore economico reale della merce importata e tener conto di tutti gli elementi di rilievo economico di essa. Ne consegue che, nel seguire la rigida scansione delle regole fissate dal codice doganale comunitario, quando il valore in dogana non possa essere determinato mediante ricorso al valore di transazione delle merci importate, la valutazione doganale si dovrà attenere alle disposizioni dell’art. 30 del codice, applicando, in sequenza, i metodi previsti alle lettere da a) a d) del paragrafo 2 di quest’ultimo articolo (Corte giust. in causa C-116/12, cit., punto 41). E soltanto quando non sia possibile determinare il valore in dogana delle merci importate neppure sulla base dell’art. 30 del codice doganale, si opererà la valutazione in dogana conformemente alle disposizioni dell’art. 31 di tale codice (sentenza in causa C-116/12, punto 42). In definitiva, i criteri di determinazione del valore in dogana devono essere applicati in base sì agli artt. 29, 30 e 31 del codice doganale comunitario, ma rispettando il nesso di sussidiarietà tra essi esistente: soltanto quando il valore in dogana non possa essere determinato applicando la disposizione precedente, si deve far riferimento a quella immediatamente successiva secondo l’ordine stabilito dal codice (sentenza in causa C-116/12, punto 43);

– il valore di transazione resta il metodo prioritario di determinazione, in quanto è considerato il più adatto ed il più frequentemente utilizzato. Per disattenderlo, occorre che: a) l’amministrazione abbia fondati dubbi che esso sia inattendibile; b) i dubbi persistano, anche dopo una richiesta di ulteriori informazioni o complementi di documentazione e dopo aver fornito all’interessato una ragionevole possibilità di far valere il proprio punto di vista riguardo ai motivi sui quali sono fondati tali dubbi; c) l’amministrazione ricorra in primo luogo ai metodi di valutazione immediatamente sussidiari, ossia a quelli stabiliti dall’art. 30 del codice doganale comunitario, in successione;

– ne consegue l’enunciazione del seguente principio di diritto: “Nel caso di fondati dubbi da parte dell’Amministrazione doganale della corrispondenza tra il valore dichiarato e l’importo totale pagato o da pagare ex art. 29 C.D.C., la medesima Amministrazione- dopo la richiesta di informazioni complementari e dopo aver fornito all’interessato una ragionevole possibilità di far valere il proprio punto di vista riguardo ai motivi sui quali siano fondati tali dubbi, in ossequio della specifica garanzia procedurale di cui all’art. 181-bis, paragrafo 2, del Reg. CEE n. 2454 del 1993 – è tenuta a dimostrare, con onere probatorio a proprio carico, di avere applicato, nella rideterminazione del valore in dogana, i metodi immediatamente sussidiari di cui al codice doganale artt. 30 e 31, secondo la rigida sequenza ivi prevista in successione ovvero è tenuta a dare conto delle ragioni per cui il rispetto del detto ordine previsto dal codice doganale comunitario non sia stato possibile”;

– nella specie, essendosi pacificamente trattato – a fronte del mancato superamento da parte della Amministrazione dei dubbi circa la non corrispondenza del valore dichiarato in dogana a quello del prezzo pagato o da pagare – di una successiva rideterminazione da parte dell’Amministrazione del valore in dogana della merce importata elevando il valore unitario dichiarato di Euro 0,50 a Euro 1,75 mediante il ricorso al valore medio di merce similare risultante dalla banca dati MERCE – l’Agenzia ha impiegato un metodo di determinazione non immediatamente sussidiario (ossia quello fondato in base all’art. 30 sul valore di transazione di merci identiche…) rispetto a quello ancorato al valore di transazione, senza allegare le ragioni che escludevano la possibilità di rispettare la precisa sequenza dei metodi di cui al codice doganale, artt. 30 e 31;

– il che determina l’infondatezza della censura, alla luce dell’orientamento di questa Corte del quale si è dato conto;

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per avere la CTR omesso di considerare tutti gli elementi (banche dati MERCE e RADAR, nonchè studi di settore) cui aveva fatto ricorso l’Ufficio per rideterminare il valore in dogana delle merci importate in Euro 1,75 quale prezzo unitario per T-shirt;

– con il terzo motivo, la ricorrente denuncia la contraddittoria motivazione su un fatto decisivo e controverso del giudizio qual era il valore unitario delle T-shirt, per avere la CTR, contraddittoriamente affermato che nessuna delle parti di causa avesse assolto all’onere probatorio, per poi ritenere che presuntivamente il prezzo pagato all’ingresso nel mercato CE potesse ammontare a un valore inferiore ad Euro 1,75, per quanto superiore a Euro 0,50;

– la infondatezza del primo motivo di censura con la correzione della motivazione nei sensi di cui sopra, rende inutile la trattazione del secondo e terzo motivo, con assorbimento degli stessi;

– in conclusione, il ricorso va rigettato;

– stante il consolidamento della giurisprudenza di legittimità in materia dopo la proposizione del ricorso per cassazione, si ravvisano giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità;

PQM

La Corte rigetta il ricorso; compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità;

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2019

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