Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22148 del 29/10/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 22148 Anno 2015
Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 13622-2009 proposto da:
FIAT GROUP AUTOMOBILES S.P.A.

P.I.

07973780013,

(nuova denominazione della FIAT AUTO S.P.A., in
persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 19,
presso lo studio dell’Avvocato RAFFAELE DE LUCA
2015
3414

TAMAJO (STUDIO TOFFOLETTO – DE LUCA TAMAJO), che la
rappresenta e difende unitamente agli avvocati FRANCO
BONAMICO, DIEGO DIRUTIGLIANO, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

Data pubblicazione: 29/10/2015

í&T

.‘

ZAGATO ITALO C.F. ZGTTLI50004J334Y, domiciliato in
2_

ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE
SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso

dall’avvocato CARLO CUNEO, giusta delega in atti;
– controricorrente

di TORINO, depositata il 28/05/2008 R.G.N. 1236/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 10/09/2015 dal Consigliere Dott. ADRIANO
PIERGIOVANNI PATTI;
udito l’Avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

2

avverso la sentenza n. 446/2008 della CORTE D’APPELLO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza 28 maggio 2008, la Corte d’appello di Torino respingeva l’appello di Fiat Group
Automobiles (già Fiat Auto) s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, che l’aveva condannata,

subito per l’illegittima collocazione in CIGS per il periodo 9 dicembre 2002 — 8 dicembre
2003, in misura pari alla differenza tra la normale retribuzione del suddetto periodo ed il
percepito a titolo di CIGS.
Ribadita, secondo la propria consolidata giurisprudenza, la persistente vigenza dell’obbligo di
esplicitazione, nella comunicazione di apertura della procedura, dei “criteri di individuazione
dei lavoratori da sospendere nonché delle modalità di rotazione”, a norma dell’art. 1, settimo
comma 1. 223/1991 in quanto non abrogato né espressamente né implicitamente dall’art. 2,
quinto comma d.p.r. 218/2000 (finalizzato alla semplificazione, in esecuzione della legge
delega 59/1997, dei procedimenti amministrativi, senza alcuna pertinenza ai rapporti tra
privati), la Corte territoriale riteneva la genericità e l’indeterminatezza dei criteri (consistenti
nelle “esigenze tecniche, organizzative e produttive” e nelle “esigenze professionali”) indicati
nella comunicazione iniziale del 31 ottobre 2002 (riguardante anche la posizione di impiegato
del lavoratore, addetto all’Ente Tecnologie Alfa Romeo di Torino – Mirafiori), pertanto
viziante la regolarità dell’intera procedura e la legittimità del provvedimento ministeriale di
autorizzazione della CIGS, non sanata (né sanabile, per la consumazione della situazione di
illegittimità, per l’indisponibilità dalle oo.ss. dei diritti già acquisiti dai singoli: nella specie,
di sanzione dell’illegittima condotta datoriale) dai successivi accordi sindacali del 18 marzo
2003 e del 22 luglio 2003; disattesa, infine, l’eccezione di transazione relativa al verbale di
conciliazione sindacale sottoscritto dal lavoratore, siccome relativo al licenziamento all’esito
della procedura di mobilità e non alla procedura di CIGS.
Con atto notificato il 27 maggio 2009, Fiat Group Automobiles s.p.a. ricorre per cassazione
con sei motivi, cui resiste Italo Zagato con controricorso e memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

in accoglimento della domanda del suo dipendente Italo Zagato, al risarcimento del danno

Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 20 1.
59/1997 in riferimento all’art. 11. 223/1991 e al d.p.r. 218/2000, nonché dell’art. 15 prel. c.c.
riguardo al rapporto tra il d.p.r. 218/2000 e l’art. 11. 223/1991, in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 3 c.p.c., per erronea negazione dell’esclusiva disciplina della procedura di
autorizzazione della C1GS in virtù del citato d.p.r. (regolante la sua semplificazione, in

delegificazione di norme concernenti procedimenti amministrativi), con la conseguente
abrogazione della precedente normativa, esigente la comunicazione datoriale di avvio della
procedura con la specificazione dei criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere e
delle modalità di rotazione tra i lavoratori occupati nelle unità produttive interessate dalla
sospensione (art. 1, settimo e ottavo comma 1. 223/1991), per l’introduzione, dopo la sola
tempestiva comunicazione alle oo.ss. del datore di lavoro richiedente l’intervento di
integrazione salariale (senza altra indicazione), dell’esame congiunto della situazione
aziendale con le parti sociali.
Con il secondo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 11. 223/1991 e
2 d.p.r. 218/2000, in riferimento all’efficacia di accordi sindacali raggiunti in corso di CIGS, in
relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per averne la Corte territoriale escluso la
possibilità di legittima disciplina dei criteri di scelta e di rotazione dei lavoratori in fase di
gestione della CIGS, con loro efficacia sanante di eventuali vizi della procedura, anche alla
luce di richiamati precedenti di legittimità in materia e di licenziamenti collettivi.
Con il terzo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli arti 2697 c.c. e 2 d.p.r.
218/2000, in riferimento al verbale di esame congiunto del Ministero del Lavoro 5 dicembre
2002, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per erronea valutazione probatoria
(siccome irrilevante, in spregio all’attestazione di regolarità dell’intera procedura di C1GS in
esso contenuta) del suddetto verbale e vizio di omessa motivazione, in relazione all’art. 360,
primo comma, n. 5 c.p.c., in ordine alla comunicazione del Ministero 4 agosto 2003, di
conferma del corretto svolgimento del suddetto esame congiunto tra le parti.
Con il quarto, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366,
1367, 1375 e 2697 c.c., in riferimento agli accordi sindacali 18 marzo 2003 e 22 luglio 2003,
nonché dell’art. 1 1. 226/1991 e succ. mod. e vizio di motivazione, in relazione all’art. 360,

attuazione della delega permanente conferita al Governo dall’art. 20 1. 59/1997 di più ampia

primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c., per averne negato l’efficacia sanante di qualsiasi vizio della
procedura o del provvedimento di sospensione in CIGS.
Con il quinto, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1, settimo comma
1. 223/1991, 5, quarto, quinto e sesto comma 1. 164/1975 e 2 d.p.r. 218/2000, in riferimento al
contenuto della lettera di apertura della procedura, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3

da sospendere in CIGS e della loro rotazione, delle “esigenze tecniche, organizzative e
produttive, avuto riguardo alle esigenze professionali e funzionali”, come indicati nella lettera
di comunicazione di apertura della procedura 31 ottobre 2002, senza necessità di più analitico
dettaglio, anche per valorizzazione della successiva di esame congiunto della situazione
aziendale con le parti sociali.
Con il sesto, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. l, settimo comma
1. 223/1991, 5, quarto, quinto e sesto comma 1. 164/1975 e 2 d.p.r. 218/2000, in riferimento
alla posizione soggettiva del lavoratore e vizio di omessa motivazione in ordine ad essa, in
relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c., per difetto di verifica in concreto, senza
alcuna attività istruttoria, dell’illegittimità della scelta del lavoratore resistente.
I mezzi illustrati investono questa Corte dell’esame di quattro questioni, così declinabili nel
rispetto del loro gradato ordine logico-giuridico: a) rapporto tra il d.p.r. 218/2000 e l’art. I I.
223/1991, nel senso dell’avvenuta abrogazione o meno delle disposizioni della seconda legge
ad opera di quelle della prima, con la conseguenza della non necessaria indicazione dei criteri
di scelta dei lavoratori da sospendere e delle modalità della loro rotazione nella
comunicazione di avvio della procedura di CIGS, suscettibile di differimento all’esito
dell’esame congiunto tra imprenditore e oo.ss. della crisi aziendale e delle esigenze di
organizzazione della produzione; b) requisiti di specificità della comunicazione di richiesta di
apertura della procedura, in ordine ai suddetti criteri di scelta dei lavoratori da sospendere e
delle modalità della loro rotazione; c) eventuale efficacia sanante, in caso di inidoneità dei
suddetti requisiti, di accordi sindacali raggiunti in corso di procedura e dell’attestazione, con
verbale di esame congiunto del Ministero del Lavoro, di regolarità della stessa; d) verifica
concreta della posizione del singolo lavoratore.
La questione sub a) è oggetto del primo motivo, di denuncia della violazione e falsa
applicazione dell’art. 20 1. 59/1997 in riferimento all’art. 11. 223/1991 e al d.p.r. 218/2000,

c.p.c., per erronea esclusione della sufficiente specificazione, nei criteri di scelta dei lavoratori

nonché dell’art. 15 prel. c.c. per erronea negazione dell’esclusiva disciplina della procedura di
autorizzazione della CIGS in virtù del citato d.p.r., con la conseguente abrogazione della
precedente normativa (di specificazione nella comunicazione datoriale di avvio della
procedura dei criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere e delle modalità di
rotazione tra i lavoratori occupati nelle unità produttive interessate dalla sospensione).

L’insegnamento di questa Corte è ormai attestato nell’escludere alcuna incompatibilità tra la
normativa regolamentare introdotta con il d.p.r. 10 giugno 2000, n. 218 e le disposizioni della
legge 23 luglio 1991 n. 223, limitandosi la disciplina regolamentare ad imporre
all’imprenditore, che intenda chiedere l’intervento straordinario di integrazione salariale,
l’obbligo di dare tempestiva comunicazione alle organizzazioni sindacali ed attenendo
unicamente alla fase amministrativa di concessione dell’integrazione, senza nulla dire sul
contenuto concreto della comunicazione, né dettando alcuna disciplina in ordine ai criteri di
scelta: senza pertanto incidere sugli obblighi di rilevanza collettiva stabiliti dall’art. 1, settimo
e ottavo comma legge n. 223 citata. E così pure esso è fermo nel negare che la normativa
regolamentare abbia spostato l’informazione sui criteri di scelta e le modalità della rotazione
dal momento iniziale della comunicazione datoriale di avvio della procedura di integrazione
salariale a quello immediatamente successivo dell’esame congiunto: posto che, così opinando,
il contenuto dell’art. 2 del d.p.r. 218/2000 non soddisferebbe l’esigenza di semplificazione del
procedimento amministrativo, comportando solo l’alleggerimento degli oneri della parte
datoriale con la compressione dei diritti d’informazione spettanti al sindacato, dando luogo ad
un sistema di consultazione sindacale palesemente inadeguato.
Sicché, in proposito appare sufficiente, per la piena adesione ad esso prestata, richiamare il
seguente principio di diritto, assolutamente consolidato (così anche da ultimo: Cass. 11 marzo
2015, n. 4886 e, con affermazione ai sensi dell’art. 360bis, primo comma c.p.c.: Cass. 9
giugno 2015, n. 11957), secondo cui:
“In tema di scelta dei lavoratori da porre in cassa integrazione guadagni, la L. n. 223 del
1991, art. 1 prescrive al comma settimo da parte del datore di lavoro, a seguito della sua
ammissione alla cassa integrazione guadagni straordinaria, la comunicazione alle
organizzazioni sindacali dei criteri di scelta dei lavoratori da sospendere, in base a quanto
previsto dalla L. n. 164 del 1975. Tale disposizione, che pone a carico del datore di lavoro un

Esso è infondato.

preciso onere, va osservata come tutte le restanti disposizioni della suddetta L n. 223 del
1991, volte a tutelare, nella gestione della cassa integrazione, i diritti dei singoli lavoratori e
le prerogative delle organizzazioni sindacali, anche dopo l’entrata in vigore del D.P.R. 10
giugno 2000, n. 218 (contenente norme per la semplificazione del procedimento per la
concessione del trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria e di integrazione

incide con effetto abrogativo o modificativo sulle suddette disposizioni ma è volta unicamente
a diversamente regolamentare il procedimento amministrativo, di rilevanza pubblica, di
concessione di integrazione salariale” (Cass. n. 28464 del 2008; adde: Cass. n. 13240 del
2009; successivamente conformi, Cass. nn. 2155, 2156, 2157, 4151, 4152 del 2011, oltre
Cass. nn. 25949, 25229, 25047, 23492, 23491, 23454, 23399, 15879, 15741 del 2014; Cass.
nn. 25100, 22540, 22247, 21814 del 2013)”.
Correttamente ha pertanto deciso sul punto la Corte territoriale, che a tale principio si è
uniformata.
La seconda questione, relativa ai requisiti di specificità della comunicazione di richiesta di
apertura della procedura, è oggetto del quinto motivo, di violazione e falsa applicazione degli
artt. 1, settimo comma 1. 223/1991, 5, quarto, quinto e sesto comma 1. 16411975 e 2 d.p.r.
218/2000, in riferimento al contenuto della lettera 30 ottobre 2002, per erronea esclusione
della sufficiente specificazione, nei criteri di scelta dei lavoratori da sospendere in CIGS e
della loro rotazione, delle “esigenze tecniche, organizzative e produttive, avuto riguardo alle
esigenze professionali «funzionali”, come in essa indicati.
Anch’esso è infondato.
Premesso che la valutazione della rispondenza in concreto della comunicazione di avvio della
procedura di cassa integrazione oggetto dell’esame giudiziale ai requisiti suindicati investe il
merito in ordine al contenuto dell’atto negoziale, sicché è nella competenza esclusiva del
giudice di merito e come tale insindacabile nel giudizio di legittimità, quando esso abbia
motivato la sua decisione in modo sufficiente e privo di contraddizioni (Cass. 11 marzo 2015,
n. 4886; Cass. 6 maggio 2014, n. 9705; Cass. 2 ottobre 2013, n. 22540), nel caso di specie la
Corte territoriale ha esaurientemente e coerentemente argomentato il proprio convincimento,
in esatta applicazione delle norme di diritto denunciate.

salariale a seguito della stipula di contratti di solidarietà), atteso che tale disciplina non

Ed infatti, da esse sono stati enucleati i principi secondo cui: a) la specificità dei criteri di
scelta consiste nell’idoneità dei medesimi ad operare la selezione e nel contempo a consentire
la verifica della corrispondenza della scelta ai criteri; b) la comunicazione di apertura della
procedura di trattamento di integrazione salariale, la cui genericità renda impossibile
qualunque valutazione coerente tra il criterio indicato e la selezione dei lavoratori da

c) la mancata specificazione dei criteri di scelta (o la mancata indicazione delle ragioni che
impediscono il ricorso alla rotazione) determina l’inefficacia dei provvedimenti aziendali che
può essere fatta valere giudizialmente dai lavoratori, in quanto la regolamentazione della
materia è finalizzata alla tutela, oltre che degli interessi pubblici e collettivi, soprattutto di
quelli dei singoli lavoratori (Cass. 11 marzo 2015, n. 4886; Cass. 8 settembre 2014, n. 18895;
Cass. 14 maggio 2012, n. 7459). E con particolare riferimento al requisito di specificità, si è
precisato (Cass. 2 ottobre 2013, n. 22540; Cass. 7 novembre 2013, n. 25100) che
l’aggettivazione “non individua una specie nell’ambito del genere criterio di scelta ma
esprime la necessità che esso sia effettivamente tale, e cioè in grado di operare da solo la
selezione dei soggetti da porre in cassa integrazione”, atteso che “un criterio di scelta
generico non è effettivamente tale, ma esprime soltanto, non un criterio, ma un generico
indirizzo nella scelta” (Cass. 1 luglio 2009 n. 15393, richiamante Cass. 23 aprile 2004 n. 7720
e in chiaro riferimento a Cass. s.u. 11 maggio 2000, n. 302).
La terza questione, riguardante l’efficacia sanante, nell’ipotesi di inidoneità dei suddetti
requisiti, di accordi sindacali raggiunti in corso di procedura e dell’attestazione di sua
regolarità, con verbale di esame congiunto del Ministero del Lavoro, è oggetto del secondo
(violazione e falsa applicazione degli ant. 1 1. 223/1991 e 2 d.p.r. 218/2000, per erronea
esclusione della possibilità, con detti accordi sindacali, di legittima disciplina dei criteri di
scelta e di rotazione dei lavoratori in fase di gestione della ClGS), del terzo (violazione e falsa
applicazione degli artt. 2697 c.c. e 2 d.p.r. 218/2000, per erronea valutazione probatoria del
verbale del Ministero del Lavoro 5 dicembre 2002 e vizio di omessa motivazione sulla
comunicazione del Ministero 4 agosto 2003, di conferma del corretto svolgimento del
suddetto esame congiunto tra le parti) e del quarto motivo (violazione e falsa applicazione
degli artt. 1362, 1363, 1366, 1367, 1375 e 2697 c.c., in riferimento agli accordi sindacali 18
marzo 2003 e 22 luglio 2003, nonché dell’art. 1 1. 226/1991 e succ. mod. e vizio di

sospendere, viola l’obbligo di comunicazione previsto dall’art. 1, settimo comma 1. 223/1991;

motivazione, per negazione della loro efficacia sanante di qualsiasi vizio della procedura o del
provvedimento di sospensione in ClGS): per tale ragione congiuntamente esaminabili.
Essi sono tutti infondati.
Anche qui occorre premettere che la valutazione di adeguatezza, nell’accordo sindacale, della
specificazione dei criteri di individuazione dei lavoratori da porre in cassa integrazione e delle

concernente la comunicazione di avvio della procedura, spettante in via esclusiva al giudice di
merito e censurabile in cassazione solo negli stretti limiti del giudizio di legittimità (Cass. 29
maggio 2014, n. 12096; Cass. 6 maggio 2014, n. 9705): nel caso in esame travalicati, in
riferimento ad una decisione immune da incoerenze o contraddizioni logiche.
In ogni caso, questa Corte intende ribadire, per intima convinzione, la recente affermazione
secondo cui, in riferimento “alla possibilità di una efficacia sanante di un accordo sindacale
sui criteri di scelta, occorre pure rammentare che essa è stata ammessa solo in casi
particolari e circoscritti, ma non nell’ipotesi in cui la comunicazione è strettamente funzionale
a mettere in grado le organizzazioni sindacali di partecipare al confronto con la controparte
adeguatamente informate e ai lavoratori di avere contezza delle prospettazioni aziendali. Né
può essere ammessa, con effetto retroattivo, rispetto a scelte in concreto già operate” (Cass.
11 marzo 2015, n. 4886, anche per richiamo di: Cass. 12 dicembre 2011, n. 26587; Cass. 9
giugno 2009, n. 13240; Cass. 1 luglio 2009, n. 15393).
Quanto alle attestazioni ministeriali di corretto svolgimento della procedura ed in particolare
del verbale di esame congiunto del Ministero del Lavoro 5 dicembre 2002, esse difettano di
rilevanza, posto che, ove si ritenga che criteri di individuazione e modalità di rotazione
debbano essere indicati ab initio nella comunicazione di avvio, è superfluo esaminare la tesi
che assegna valore asseverativo ad un documento che attesta che quell’indicazione è avvenuta
solo in un momento successivo, e cioè in sede di esame congiunto (Cass. 8 giugno 2015, n.
11754; Cass. 2 ottobre 2013, n. 22540; Cass. 12 dicembre 2011, n. 26587).
L’ultima questione, riguardante la verifica concreta della posizione del singolo lavoratore, è
oggetto del sesto motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1, settimo comma 1.
I

223/1991, 5, quarto, quinto e sesto comma 1. 164/1975, 2 d.p.r. 218/2000 e vizio di
motivazione, per difetto di un tale accertamento di illegittimità della scelta), parimenti
infondato.

7

modalità di rotazione si risolve nella formulazione di un giudizio di merito, al pari di quella

Ed infatti la ritenuta genericità, per inidoneità dei criteri previsti dall’art. 1, settimo comma I.
223/1991, della comunicazione datoriale 30 ottobre 2002, di avvio della procedura di
autorizzazione della ClGS, ravvisata da questa Corte in esito all’esame del quinto mezzo (per
tale ragione respinto), esclude la possibilità di verificare la corrispondenza della scelta ai
criteri (Cass. 10 dicembre 2014, n. 25949).
Dalle superiori argomentazioni discende allora coerente il rigetto del ricorso, con la
regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e distrazione al
difensore antistatario, secondo la sua richiesta.

P. Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso e condanna Fiat Group Automobiles s.p.a. alla rifusione, in favore del
controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 100,00 per esborsi e C 3.000,00 per
compenso professionale, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di
legge, con distrazione al difensore antistatario.

Così deciso in Roma, il 10 settembre 2015

Il Presi nte

..

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