Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22146 del 04/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 04/09/2019, (ud. 21/03/2019, dep. 04/09/2019), n.22146

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27456-2017 proposto da:

F.V., D.E., elettivamente domiciliati in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e

difesi dall’avvocato INNOCENZO D’ANGELO;

– ricorrenti –

contro

C.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE REGINA

MARGHERITA 262, presso lo studio dell’avvocato ANNA STEFANINI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato SILVESTRINA PATRON;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1843/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 04/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 21/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. RUBINO

LINA.

Fatto

RILEVATO

che:

1. F.V. e D.E. hanno proposto ricorso per cassazione contro C.P., avverso la sentenza n. 1843/2017, emessa dalla Corte d’Appello di Venezia il 4.9.2017, notificata secondo quanto indicato nel ricorso l’11.9.2017, articolato in due motivi ed illustrato da memoria.

2. Il C. resiste con controricorso illustrato da memoria.

3. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., nel testo modificato dal D.L. n. 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, è stata formulata dal relatore designato proposta di definizione del ricorso con declaratoria di manifesta infondatezza dello stesso. Il decreto di fissazione dell’udienza camerale e la proposta sono stati comunicati. Questa la vicenda, per quanto qui ancora interessa:

C.P. ha proposto opposizione all’esecuzione intrapresa nei suoi confronti dai F. e D., tesa a far conseguire agli esecutanti l’importo delle spese di primo e secondo grado derivanti da una sentenza della Corte d’Appello di Venezia del 2013. Il C. lamentava che con la medesima sentenza, che accoglieva l’impugnazione dei suoi avversari, nulla era stato disposto circa le spese del giudizio di primo grado, e che pertanto essi mancassero del titolo per agire nei suoi confronti in ripetizione.

L’opposizione veniva accolta.

La Corte d’Appello di Venezia, con la pronuncia qui impugnava, rigettava il gravame dei F. e D., ritenendo che la sentenza impugnata non avesse posto in essere alcuna violazione dell’art. 336 c.p.c., atteso che, come da conforme giurisprudenza di questa Corte, una sentenza di appello che, riformando quella di primo grado, faccia per ciò sorgere il diritto alla restituzione degli importi pagati in esecuzione di questa, non costituisce titolo esecutivo se non contenga una statuizione di condanna in tal senso (ricordando, oltre a Cass. n. 8639 del 2016, le precedenti Cass. n. 9287 del 2012, Cass. n. 2662 del 2013).

Avverso questa decisione è stato proposto il ricorso impugnato.

Deve preliminarmente osservarsi che il ricorso proposto si appalesa, a monte, improcedibile, in quanto al suo deposito non si è associato il prescritto deposito della copia autentica del provvedimento impugnato, richiesta a pena di improcedibilità dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, in quanto essenziale allo scopo di verificare la tempestività della proposizione del ricorso. Il ricorrente infatti non ha provveduto a depositare la copia notificata della sentenza, che ha evidentemente scaricato dal proprio computer, munita di una completa relata di notifica, nè tanto meno della sua asseverazione autografa della conformità di quanto prodotto all’originale digitale.

A fronte di ciò, e a fronte del rilievo di improcedibilità proveniente dal controricorrente, come le Sezioni unite hanno avuto occasione recentemente di puntualizzare, “Il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notificazione, di copia analogica della decisione impugnata predisposta in originale telematico e notificata a mezzo PEC priva di attestazione di conformità del difensore L. n. 53 del 1994 ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non determina l’improcedibilità del ricorso per cassazione laddove il controricorrente (o uno dei controricorrenti), nel costituirsi (anche tardivamente), depositi a sua volta copia analogica della decisione ritualmente autenticata, ovvero non disconosca D.Lgs. n. 82 del 2005 ex art. 23, comma 2, la conformità della copia informale all’originale notificatogli; nell’ipotesi in cui, invece, la controparte (o una delle controparti) sia rimasta soltanto intimata, ovvero abbia effettuato il suddetto disconoscimento, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità il ricorrente ha l’onere di depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica, entro l’udienza di discussione o l’adunanza in camera di consiglio (Cass. S.U. n. 8312 del 2019).

In mancanza degli adempimenti alternativamente indicati, il ricorso è improcedibile.

Nè il ricorso risulta comunque tempestivo, per essere stato notificato nel termine di sessanta giorni dal deposito del provvedimento impugnato (la sentenza impugnata è stata depositata il 4.9.2017, il ricorso è stato notificato il 10.11.2017).

Si aggiunga che, qualora anche l’esame del merito non fosse precluso dall’improcedibilità, come osservato nella proposta dal relatore, la sentenza impugnata ha deciso in conformità al consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte di legittimità: v., da ultimo, Cass. n. 12387 del 2016, in base alla quale “La sentenza d’appello che, in riforma quella di primo grado, faccia sorgere il diritto alla restituzione degli importi pagati in esecuzione di questa, non costituisce, in mancanza di un’espressa statuizione di condanna alla ripetizione di dette somme, titolo esecutivo, occorrendo all’uopo che il “solvens” attivi un autonomo giudizio, ovvero che formuli in sede di gravame – per evidenti ragioni di economia processuale ed analogamente a quanto disposto dall’art. 96 c.p.c., comma 2 e dall’art. 402 c.p.c., comma 1 – un’apposita domanda in tal senso “.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo. Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e i ricorrenti risultano soccombenti, pertanto sono gravati dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1 bis e 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara improcedibile il ricorso. Pone a carico dei ricorrenti le spese di giudizio sostenute dalla parte controricorrente, che liquida in complessivi Euro 2.200,00 oltre 200,00 per esborsi, oltre contributo spese generali ed accessori.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 21 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2019

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