Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22145 del 03/08/2021

Cassazione civile sez. VI, 03/08/2021, (ud. 24/03/2021, dep. 03/08/2021), n.22145

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 38214 – 2019 R.G. proposto da:

CAEBIT s.r.l. – p.i.v.a. (OMISSIS) – in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, alla

via Salaria, n. 332, presso lo studio dell’avvocato Giuseppe de Majo

che la rappresenta e difende in virtù di procura speciale su foglio

allegato in calce al ricorso.

– ricorrente –

contro

DE SIMONE & PARTNERS s.r.l. (già s.p.a.) – p.i.v.a. (OMISSIS) –

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma, alla via Antonio Locatelli, n. 1, presso lo

studio dell’avvocato Roberto Valentino, che la rappresenta e difende

in virtù di procura speciale su foglio allegato in calce al

controricorso.

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6000/2019 della Corte d’Appello di Roma;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 marzo 2021

dal consigliere Dott. Abete Luigi;

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con ricorso al Tribunale di Roma la “De Simone & Partners” s.p.a. esponeva che aveva prestato la propria opera professionale su richiesta e per conto della “Caebit” s.r.l. ai fini del deposito e della registrazione di un marchio commerciale in sede nazionale ed internazionale; che il corrispettivo dovuto, pari ad Euro 17.099,14, era rimasto insoluto.

Chiedeva ingiungersi alla “Caebit” il pagamento dell’importo anzidetto.

2. Con decreto n. 7680/2011 il tribunale pronunciava l’ingiunzione.

3. La “Caebit” s.r.l. proponeva opposizione.

Deduceva che aveva provveduto al pagamento delle fatture azionate. Deduceva che l’incarico era stato assolto con ben 14 mesi di ritardo.

Instava per la revoca dell’ingiunzione; in riconvenzionale chiedeva condannarsi controparte al risarcimento dei danni scaturiti dal ritardo, da compensarsi con il credito eventualmente acclarato.

4. Resisteva la “De Simone & Partners” s.p.a..

5. Con sentenza n. 14874/2015 il tribunale rigettava l’opposizione.

6. La “Caebit” s.r.l. proponeva appello.

Resisteva la “De Simone & Partners” s.p.a..

7. Con sentenza n. 6000/2019 la Corte di Roma rigettava il gravame.

8. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso la “Caebit” s.r.l.; ne ha chiesto sulla scorta di quattro motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.

La “De Simone & Partners” s.r.l. (già s.p.a.) ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore – con distrazione – delle spese.

9. Il relatore ha formulato ex art. 375 c.p.c., n. 5), proposta di manifesta infondatezza dei motivi di ricorso; il presidente ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1, ha fissato l’adunanza in camera di consiglio.

10. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c.

Premette che con l’atto d’appello aveva censurato il mancato accertamento da parte del c.t.u. della congruità degli importi ex adverso pretesi.

Indi deduce che siffatta ragione di doglianza implicava il disconoscimento di qualsivoglia riconoscimento di debito.

Deduce dunque che l’addotta ragione di doglianza, che la corte di merito ha erroneamente interpretato, ha impedito la formazione del presunto giudicato.

11. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, sotto ulteriori profili, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c..

Deduce che a rigore la corte distrettuale, alla stregua del preteso passaggio in giudicato della sentenza di prime cure, avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il primo motivo d’appello.

12. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1309 c.c..

Deduce che per nulla si giustifica l’asserito giudicato formatosi in ordine al preteso riconoscimento di debito, riconoscimento di debito per giunta correlato ad un mero argomento di prova.

13. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c..

Deduce che la corte territoriale non ha colto l’effettiva portata dell’esperito appello, con cui si era contestato l’operato del c.t.u.

Deduce che siffatta doglianza involgeva pur la contestazione in forma specifica delle fatture ex adverso allegate, peraltro prive dell’estratto notarile.

14. Va debitamente premesso che, nonostante la rituale notificazione del decreto presidenziale e della proposta del relatore, le parti, segnatamente la ricorrente, non hanno provveduto al deposito di memorie ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

15. In ogni caso, pur al di là del teste’ riferito rilievo, il collegio appieno condivide la proposta, che ben può essere reiterata in questa sede.

I motivi di ricorso da trattare congiuntamente siccome strettamente connessi – sono dunque tutti da respingere.

16. Va dapprima puntualizzato che la Corte di Roma – per quel che rileva in questa sede – ha premesso che, a fondamento della propria decisione, il tribunale aveva ritenuto, in primo luogo, che vi era stato un riconoscimento del debito, correlato alla circostanza per cui l’ausiliario d’ufficio aveva chiesto di visionare le scritture contabili della “Caebit”, onde riscontrare l’annotazione delle fatture emesse dalla s.p.a. appellata, e nondimeno la “Caebit” a tale verifica si era opposta; che il tribunale aveva ritenuto, in secondo luogo, che le fatture emesse dalla s.p.a. appellata non erano state oggetto di specifica contestazione; che il tribunale aveva ritenuto, in terzo luogo, che il consulente d’ufficio aveva accertato che le prestazioni professionali erano state dalla s.p.a. appellata portate a compimento; che il tribunale aveva ritenuto, in quarto luogo, che, all’atto della disdetta, non era stata sollevata alcuna contestazione in ordine alle prestazioni professionali svolte ed in ordine all’insussistenza del credito.

Indi la Corte di Roma ha evidenziato che il primo motivo d’appello, con cui si era censurato l’operato del c.t.u., non attingeva le surriferite molteplici rationes decidendi, sicché il capo della sentenza di primo grado recante accertamento del credito doveva reputarsi passato in giudicato.

17. In questi termini va immediatamente rimarcato che l’affermazione circa il passaggio in giudicato della statuizione di prime cure costituisce il corollario (“con la conseguenza del passaggio in giudicato del capo della sentenza (…) così sentenza d’appello, pag. 3) e non già la premessa della costruzione motivazionale, in parte qua, della corte d’appello.

Cosicché evidentemente per nulla si giustifica, in particolare, la ragione di censura veicolata dal secondo motivo di ricorso, in virtù della quale la corte distrettuale, in dipendenza del preteso passaggio in giudicato della sentenza di primo grado e della preclusione all’esame del merito che ne deriverebbe, avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il primo motivo d’appello, non già reputarlo infondato.

18. Per altro verso, con precipuo riferimento al primo motivo di ricorso, si ammetta pure – al di là del mancato assolvimento degli oneri di specificità e di “autosufficienza”, oneri che avrebbero imposto la riproduzione in questa sede del testuale tenore dei motivi di appello – che la “Caebit”, propriamente con i primi due motivi d’appello, abbia contestato la congruità degli importi pretesi in eccedenza dalla controparte.

Tuttavia è innegabile che interpretare la domanda (ed i motivi d’appello) è compito del giudice di merito, sì che questa Corte ha – tendenzialmente – solo il potere di controllare la legittimità del procedimento di interpretazione e la logicità del suo esito (cfr. Cass. (ord.) 13.8.2018, n. 20718; Cass. sez. lav. 5.2.2014, n. 2630; Cass. 17.11.2006, n. 24494; Cass. 12.5.2003, n. 7198).

19. Ebbene, in quest’ottica, l’interpretazione dell’atto d’appello operata dalla corte territoriale – interpretazione a tenor della quale la corte romana ha opinato nel senso che le doglianze veicolate dal primo motivo di appello non valessero a scalfire la costruzione motivazionale alla cui stregua il tribunale aveva riscontrato la pretesa creditoria azionata in via monitoria – risulta congrua ed ineccepibile.

D’altronde, la circostanza che con i primi due motivi di gravame la “Caebit” avesse contestato il mancato accertamento da parte del c.t.u. officiato in prime cure della congruenza delle somme pretese in eccedenza dalla “De Simone & Partners” rispetto alle somme complessivamente corrisposte (della “differenza tra il coacervo delle fatture azionate da controparte e l’importo complessivamente corrisposto da parte Caebit”: così ricorso, pag. 7), non esclude né inficia la valenza concludente – ai fini, appunto, del riscontro della differenza – delle circostanze che il primo giudice aveva reputate idonee a tale scopo e la cui idoneità è stata dal secondo giudice reputata impregiudicata a fronte della inettitudine della doglianza veicolata, appunto, dai primi due motivi d’appello.

20. In questo quadro – ovvero al cospetto della ritenuta impregiudicata valenza della costruzione motivazionale del primo dictum – a nulla vale denunciare, con il quarto motivo di ricorso, una presunta violazione dell’art. 112 c.p.c. (non è configurabile il vizio di omessa pronuncia quando il rigetto di una domanda sia implicito nella costruzione logico – giuridica della sentenza, con la quale venga accolta una tesi incompatibile con tale domanda: cfr. Cass. 29.4.2006, n. 10052; Cass. 20.2.2004, n. 3403).

In questo quadro – al cospetto della congrua, ineccepibile interpretazione dell’atto d’appello – altresì, a nulla vale addurre, con il quarto motivo di ricorso, che “la Corte d’Appello ha completamento stravolto (…) l’effettiva portata del gravame (…)” (così ricorso, pag. 11); a nulla vale addurre, con il primo motivo di ricorso, che le ragioni di doglianza veicolate dai primi due motivi d’appello implicavano il disconoscimento di qualsivoglia riconoscimento di debito (cfr. ricorso, pag. 8).

21. In pari tempo a nulla vale prospettare, con il terzo motivo di ricorso, che il proprio precedente difensore non aveva provveduto a comunicare ad essa ricorrente il proposito del c.t.u. di visionare le scritture contabili (cfr. ricorso, pag. 10); a nulla vale prospettare, con il quarto motivo di ricorso, che le contestazioni non erano da sollevare al momento della disdetta bensì, successivamente, in sede contenziosa (cfr. ricorso, pag. 12).

Evidentemente siffatte prospettazioni sollecitano, al più, questa Corte a riesaminare la valenza di talune circostanze “di fatto” che la corte di merito ha reputato – si ribadisce – inidonee a scalfire il riscontro della pretesa creditoria operato dal tribunale.

Sovviene pertanto, al riguardo, l’insegnamento di questa Corte a tenor del quale il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).

22. In dipendenza del rigetto del ricorso la s.r.l. ricorrente va condannata a rimborsare le spese del presente giudizio di legittimità all’avvocato Roberto Valentino, difensore della controricorrente, il quale ha dichiarato di aver anticipato le spese e di non aver riscosso gli onorari.

La liquidazione segue come da dispositivo.

23. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della s.r.l. ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del citato D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente, “Caebit” s.r.l., a rimborsare all’avvocato Roberto Valentino, difensore anticipatario della controricorrente, le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del citato D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2021

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