Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22143 del 25/10/2011

Cassazione civile sez. I, 25/10/2011, (ud. 28/09/2011, dep. 25/10/2011), n.22143

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 18329/2009 proposto da:

P.O. ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA PUBLIO ELIO 13/A, presso lo studio dell’avvocato CASSIA

GIUSEPPE, rappresentato e difeso dall’avvocato RENNA Alessandro

giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA ((OMISSIS)), in persona del Ministro in

carica, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 47/09 R.G. della CORTE D’APPELLO di POTENZA del

17/04/09, depositato il 12/05/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

28/09/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE;

è presente il P.G. in persona del Dott. NICOLA LETTIERI che ha

concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1.- Con decreto del 12.5.2009 la Corte di appello di Potenza ha rigettato la domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001 proposta da P.O. in riferimento al processo penale instaurato dinanzi al Tribunale di Brindisi, definito con sentenza di proscioglimento per prescrizione del 13.10.2008, dopo che l’imputato aveva avuto notizia della conclusione delle indagini il 24.5.1999.

Ha osservato la Corte di appello che – stabilita la durata ragionevole del giudizio in tre anni – il processo si era irragionevolmente protratto per anni 6 e mesi 5. Nondimeno, non poteva essere accolta la domanda di equa riparazione per insussistenza del danno.

Invero, non risultava che il ricorrente avesse intrapreso iniziative processuali o manifestato, anche attraverso il proprio difensore, la propria volontà di ottenere una sollecita definizione del processo, avviatosi inesorabilmente verso la prescrizione, per essere rimasto, in assenza di un’apparente giustificata ragione, in uno stato di quiescenza per diversi anni.

Inoltre, il P., era gravato da una serie impressionante di precedenti penali, tra cui numerosissime condanne per reati contro il patrimonio, sintomatiche di una elevatissima capacità a delinquere ed indicative della propensione dell’istante ad avvalersi dell’attività criminosa quale mezzo per il proprio sostentamento economico, con la conseguente accettazione del rischio, pressochè inevitabile, di essere sottoposto a processi penali (con la evenienza frequente che alcuni dei reati commessi, per lo più truffe, in quanto procedibili a querela, non risultino dal certificato del casellario, per mancanza o remissione di querela, ovvero per prescrizione, com’è accaduto nel procedimento in esame).

Secondo la Corte di merito, “inquadrandosi l’intensa attività delittuosa posta in essere dal ricorrente nell’ambito di un sistema di vita consapevolmente connotato dall’accettazione del rischio fisiologico di subire dei processi”, appariva difficile sostenere che dalla violazione del termine di durata ragionevole degli stessi il ricorrente potesse “subire un danno morale, in termini di patimento e disagio interiore, laddove, invece”, secondo l'”id quod plerumque accidit”, il P. traeva un oggettivo vantaggio da siffatta violazione, oltre ad essere insensibile e disinteressato alla celere definizione del processo. L’allungamento dei tempi del giudizio finiva, invero, per produrre nella sfera giuridica del P. alcuni vantaggi processuali, riconducibili oltre che all’approssimarsi della prescrizione, anche all’alleggerimento della sua posizione giuridica, sino a comportare il differimento dell’esecuzione della pena.

2.- Contro il decreto della Corte di appello il P. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Disposta la rinnovazione della notificazione del ricorso – originariamente eseguita presso l’Avvocatura distrettuale anzichè presso l’Avvocatura Generale dello Stato – il Ministero intimato ha resistito con controricorso.

Nei termini di cui all’art. 378 c.p.c., il P.G. ha depositato memoria.

2.1.- La presente sentenza è redatta con motivazione semplificata così come disposto dal Collegio in esito alla deliberazione in Camera di consiglio.

3.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione e formula i seguenti quesiti:

1) “La mancata e specifica indicazione dei Giudice territorialmente;

competente nella parte motiva del decreto impugnato, delle circostanze particolari che hanno escluso il danno non patrimoniale subito dal ricorrente, nonostante ne sia stata accertata e determinata in ragione di tre e mesi due la dilatazione dei termini processuali, deve essere ravvisata come difetto di motivazione su in punto decisivo del decreto valutabile in sede di legittimità”? 2) “L’utilizzo da parte dell’istante nel corso del giudizio di strumenti processuali legittimi; la mancata formulazione di istanze rivolte ad accelerare la conclusione del processo; la mancata rinuncia alla declaratoria di prescrizione; ed i precedenti penali possono costituire circostanze particolari del caso concreto idonee ad escludere il diritto del ricorrente ad una equa riparazione del danno non patrimoniale?”.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia “Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in riferimento alla L. n. 89 del 2001, artt. 4 e 5”, in relazione alla condanna alle spese, senza formulare alcun quesito di diritto.

4.- Il primo motivo di ricorso è fondato alla luce del costante orientamento di questa Corte secondo il quale “l’equa riparazione per il mancato rispetto del termine ragionevole del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, non può essere esclusa per il semplice fatto che il ritardo nella definizione del processo penale abbia prodotto l’estinzione, per prescrizione, del reato addebitato al ricorrente, occorrendo invece apprezzare, ai fini del diniego di accoglimento della relativa domanda, se l’effetto estintivo della prescrizione stessa sia intervenuto o meno a seguito dell’utilizzo, da parte dell’imputato, di tecniche dilatorie o di strategie sconfinanti nell’abuso del diritto di difesa, ben potendo un effetto del genere prodursi, in tutto o almeno in parte (ed, in questa seconda ipotesi, con valenza preponderante), indipendentemente da simili tecniche e da tali strategie, ovvero dalla reale volontà dell’imputato ed a causa, piuttosto, del comportamento delle autorità procedenti, senza che, in quest’ultimo caso, la mancata rinuncia alla prescrizione ad opera dell’imputato medesimo possa ritenersi di per sè in grado di elidere il danno, patrimoniale o non patrimoniale, conseguente alla durata irragionevole” (Sez. 1, Sentenza n. 15449 del 05/11/2002 e Sez. 1, Sentenza n. 23339 del 18/11/2010, tra le tante).

Resta assorbito il secondo motivo.

Pertanto, il provvedimento impugnato deve essere cassato e, non essendo stata impugnata la determinazione del ritardo irragionevole, pari a 6 anni e 5 mesi, la Corte può decidere la causa nel merito provvedendo alla liquidazione dell’indennizzo, alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità e della Corte europea (Sez. 1, Sentenza n. 21840 del 14/10/2009), nella misura complessiva di Euro 5.666,00.

Le spese – liquidate in dispositivo – seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere alla parte ricorrente la somma di Euro 5.666,00 per indennizzo, oltre interessi legali dalla domanda e le spese del giudizio:

che determina per il giudizio di merito nella somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti e Euro 490,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge;

e per il giudizio di legittimità in Euro 965,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2011

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