Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22143 del 14/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 14/10/2020, (ud. 23/09/2020, dep. 14/10/2020), n.22143

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16627-2018 proposto da:

M.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ATTILIO

MICHELUZZI 8, presso lo studio dell’avvocato LUCIO MOLINARO, che lo

rappresenta e difende giusta procura notarile in atti;

– ricorrente –

contro

E.E., E.N.;

– intimati –

e contro

T.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI RIZZO,

50, presso lo studio dell’avvocato STEFANIA GILDA DI PASQUALE,

rappresentata e difesa dagli avvocati GIOVANNI FRANCESCO PISONI,

ROSA BADILLO;

– resistente –

avverso la sentenza n. 7436/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 22/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/09/2020 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO;

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Roma con sentenza n. 21811 del 21 novembre 2016 rigettava l’opposizione proposta da M.L. avverso il precetto notificatogli da T.S. in data 28/4/2014, condannandolo anche al rimborso delle spese di lite.

Avverso tale sentenza proponeva appello l’opponente e la Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 7436/2017 del 22 novembre 2017, ha dichiarato inammissibile il gravame rilevando che l’appello era stato notificato solo in data 9/6/2017, laddove l’impugnazione andava proposta entro il termine ultimo del 21/5/2017.

Avverso tale sentenza propone ricorso M.L. sulla base di un motivo, cui resiste la sola T.S. ai soli fini della discussione orale.

Gli altri intimati non hanno svolto difese in questa fase.

Con l’unico motivo formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, si deduce la violazione dell’art. 331 c.p.p., n. 4, in quanto dalla lettura della sentenza si evince che manca ogni riferimento all’obbligo di trasmissione degli atti all’autorità giudiziaria penale.

Il ricorso è inammissibile.

La difesa del ricorrente non si confronta minimamente con la ratio che ha portato la sentenza impugnata a dichiarare l’inammissibilità per tardività dell’appello a suo tempo proposto.

La chiusura in rito del processo, che ha determinato l’immutabilità della decisione di primo grado che aveva disatteso l’opposizione del ricorrente, il quale prospettava anche l’eventuale ricorrenza di fatti penalmente rilevanti nella condotta delle controparti, ha impedito quindi al giudice di appello di poter rivalutare la vicenda nel merito, e ciò anche ai fini di una sua qualificazione in termini di illecito penale.

L’affermazione circa la ricorrenza di fatti aventi rilievo penale è frutto di una personale valutazione del ricorrente che, indipendentemente dall’iniziativa officiosa del giudice, ben potrebbe autonomamente investire il giudice penale della vicenda, mediante la presentazione di apposita denuncia.

Inoltre, non deve trascurarsi come, ancorchè in relazione all’ipotesi di cui all’art. 331 c.p.p., comma 1, la giurisprudenza delle sezioni penali di questa Corte abbia affermato che il provvedimento con il quale il giudice, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., comma 1, ordina trasmettersi gli atti al pubblico ministero per l’eventuale esercizio dell’azione penale in ordine ad un fatto-reato, diverso e ulteriore rispetto a quello oggetto del giudizio, non è impugnabile, trattandosi di provvedimento avente carattere puramente ordinatorio e non decisorio, la cui adozione non pregiudica posizioni soggettive, comunque tutelabili in diversa sede (Cass. pen. 3/6/2014 n. 36635; Cass. pen. 4139/1998).

Deve quindi del pari ritenersi insuscettibile di censura l’omesso esercizio del potere de quo, ove anche si ritenga che ne ricorressero i presupposti.

Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Nulla a disporre quanto alle spese per gli intimati che non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al rimborso delle spese che liquida in complessivi Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2020

 

 

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