Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22139 del 22/09/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 22/09/2017, (ud. 13/06/2017, dep.22/09/2017),  n. 22139

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24990-2012 proposto da:

AGENZIA DEL TERRITORIO, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ITC ITALIAN TRADE CONSULTANT SRL in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA GREGORIANA 54,

presso lo studio dell’avvocato MASSIMO CONFORTINI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO GRANELLI giusta

delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 81/2012 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

VERONA, depositata l’11/06/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/06/2017 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione del 5^ motivo di ricorso, in subordine del 4^ motivo;

udito per il ricorrente l’Avvocato GAROFOLI che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato GRANELLI che ha chiesto il

rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia del territorio propone ricorso, svolgendo sei motivi, per la cassazione della sentenza della CTR del Veneto, che accoglieva l’appello proposto da I.T.C. Italian Trade Consultant S.r.l. avverso la sentenza della CTP di Verona la quale, sull’istanza di rimborso delle tasse ipotecarie versate nel periodo ottobre 2006 – aprile 2007, per il rilascio di “elenchi soggetti presenti nelle formalità di un dato giorno”, rigettava il ricorso della società che aveva dedotto l’illegittimità dell’aumento dell’importo della tassa, a seguito del D.L. n. 262 del 2006, lamentando il contrasto della disposizione normativa con la direttiva 2003/98/CE. Ha resistito con controricorso la società contribuente, illustrandolo con memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione di legge: art. 111 Cost., comma 6, art. 113 Cost., comma 2, n. 4, art. 118 disp.a tt. C.p.c., nonchè D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, art. 36, comma 2, nn. 2 e 4, artt. 53 e 54, in relazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in quanto la CTR anzichè applicare le norme che regolano la fattispecie, illustrando le ragioni in diritto per cui ha ritenuto meritevole di accoglimento la tesi della contribuente, quantificando l’importo del tributo nella misura di Euro 1,00 sulla base di valutazioni equitative.

2. Con il secondo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata denunciando il difetto assoluto di motivazione o motivazione solo apparente (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non essendo apprezzabili dall’esame della sentenza, le ragioni in diritto valutate dal giudicante per la riduzione del tributo da quattro euro ad un Euro.

3. Con il terzo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata denunciando violazione e/o falsa applicazione di legge degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c., e dell’art. 2697 c.c., in riferimento al D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, art. 2, comma 65, convertito in legge dalla L. n. 286 del 2006, art. 1, comma 1, all’art. 6 della Direttiva 2003/98/CE e alla L. n. 287 del 1990, art. 3, lett. a), (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Parte ricorrente si duole del fatto che la CTR, laddove si dovesse ritenere ammissibile una decisione equitativa del giudice tributario, ha errato nell’affermare il diritto di controparte alla restituzione di quella parte del tributo “che per disposizione normativa europea non poteva essere posto a carico della parte privata”, in assenza di qualsiasi elemento probatorio, proveniente dalla contribuente, atto a dimostrare l’incongruità della pretesa erariale.

4. Con il quarto motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata, denunciando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Parte ricorrente deduce, in via gradata, rispetto al motivo sopra espresso, che la sentenza impugnata appare sorretta da insufficiente motivazione atteso che risulta carente il ragionamento della CTR laddove ritiene che l’importo di 4 Euro a nominativo risulta eccessivo, non potendosi ritenere fondata l’ipotesi abusiva del precetto comunitario da parte del legislatore nazionale.

5. Con il quinto motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata, denunciando violazione e/o falsa applicazione di legge degli artt. 132 e 156 c.p.c., nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, atteso che la sentenza gravata presenta una insanabile contraddizione tra motivazione e dispositivo. Si precisa che nel dispositivo viene posto a carico dell’Agenzia del territorio il pagamento in favore di I.T.C. Italian Trade Consultant s.r.l. di Euro 283.056,00 complessivi oltre gli interessi di legge dal 21 dicembre 2009, quanto la CTR, a pag. 5 della sentenza, aveva posto a base delle proprie argomentazioni, la considerazione che si riteneva congruo l’importo di Euro 1,00, per un importo complessivo di Euro 212.292.

6. Con il sesto motivo di ricorso, si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), atteso che la sentenza impugnata appare lacunosa e tale da non consentire la ricostruzione dell’iter logico che ha sorretto il decisum.

7. I motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, per ragioni di connessione logica.

7.1. Il D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, recante “Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria” ha stabilito che l’Agenzia del Territorio continua a fornire alle società che operano nel settore dell’informazione ipocatastale l’elenco dei soggetti presenti nelle formalità di un determinato giorno, strumento necessario per l’elaborazione da parte delle suindicate società del servizio di monitoraggio immobiliare. Il D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 65, prevede, inoltre, che l’elenco dei soggetti venga fornito ai richiedenti a condizioni economiche più onerose rispetto alla previgente disciplina. Sebbene tale norma risulti avere un contenuto di natura fiscale, nondimeno occorre che non si determinino per effetto della sua applicazione distorsioni nel mercato di elaborazione delle informazioni ipocatastali, atteso che in tale mercato è previsto l’ingresso della medesima Agenzia del territorio.

L’attività svolta dall’Agenzia del territorio, che, ai sensi della L. 30 dicembre 2004, n. 311, è un ente pubblico affidatario di compiti di interesse generale relativi alla formazione, alla conservazione ed alla gestione dei pubblici registri di annotazione delle formalità e di quelli catastali, è da ritenersi comunque soggetta alla disciplina antimonopolistica in ordine al mercato dell’utilizzazione economica delle informazioni commerciali, tratte dalla consultazione di detti registri, che l’Agenzia stessa è abilitata, in base allo Statuto, ad estendere ad altri soggetti, previa stipula di convenzioni, alle condizioni da essa stabilite A dietro pagamento di tributi e tasse. Questa Corte, a Sezioni unite (con la sentenza n. 30175 del 2011) ha già avuto modo di affermare che nell’ambito della disciplina nazionale (legge 10 ottobre 1990, n. 287) e comunitaria (artt. 82 e 86 Trattato CEE – ora art. 106 Trattato UE; direttiva 2003/98/CE del 17 novembre 2003), tale attività non rientra tra i servizi di interesse economico generale, esclusi dall’ambito di applicazione di tale disciplina dalla L. 10 ottobre 1990, n. 287, art. 8 da intendersi come quelli strettamente connessi all’adempimento di specifici obblighi affidati all’impresa; connessione che deve essere allegata e provata dall’impresa medesima.

Accanto alle funzioni istituzionali, lo Statuto dell’Agenzia del territorio prevede espressamente che questa possa svolgere attività di forniture di servizi, consulenze e collaborazioni nelle materie di competenza, a soggetti pubblici e privati, sulla base di disposizioni di legge, di rapporti convenzionali e contrattuali (art. 4, comma 1, lett. f).

Analogamente la Convenzione triennale per gli esercizi 2004-2006, stipulata fra il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia del Territorio in data 31.3.2004, prevede testualmente che” al fine di sviluppare le fonti di ricavo dell’Agenzia e di creare concrete opportunità di valorizzazione delle professionalità esistenti, sarà perseguito l’obiettivo del potenziamento delle capacità commerciali e dell’ampliamento della gamma dei servizi offerti sul mercato”.

In tal caso si tratta evidentemente di servizi a valore aggiunto offerti dall’Agenzia sulla base dei dati pubblici che essa acquisisce e detiene in via esclusiva, e quindi di attività di impresa che essa intende o vorrà svolgere nel mercato dei servizi relativi alle informazioni ipocatastali. Alla luce di tali disposizioni, risulta quindi che l’Agenzia del territorio da un lato sia preposta dalla legge allo svolgimento di alcune funzioni pubbliche, quali appunto la tenuta dei pubblici registri immobiliari, dall’altro possa operare sul mercato dei servizi di informazione ipocatastale in concorrenza con altri operatori.

7.2. Il riconoscimento all’Agenzia, alla stregua delle altre agenzie fiscali, della capacità giuridica generale di diritto privato e di una legittimazione negoziale negativamente limitata, permette di configurare in capo a tale Ente una doppia qualificazione giuridica, giacchè essa, da un lato, ed in prevalenza, agisce nel perseguimento dei propri fini pubblici, dall’altro lato, può offrire sul mercato determinati servizi. Ne consegue che le attività dell’Agenzia devono necessariamente misurarsi con gli effetti, attuali e potenziali, che esse producono sul mercato in cui operano (o potrebbero operare), in regime di libera concorrenza, anche altri operatori privati. Sotto tale profilo, è necessario analizzare non solo la normativa in materia di concorrenza, ma anche e soprattutto la giurisprudenza dell’Unione che distingue le attività delle amministrazioni pubbliche a seconda che si tratti di attività non dissociabili (o inscindibili) dall’attività istituzionale delle stesse (e dunque espressione dell’esercizio di pubblici poteri) o di attività dissociabili (o scindibili) dall’esercizio di pubblici poteri).

Soltanto in questo secondo caso l’Agenzia assumerà la veste di impresa, in quanto la sua attività sarà configurata come economica e, dunque, sottoposta alla normativa dell’Unione in materia di concorrenza.

7.3. Ciò premesso, la piana lettura della direttiva 2003/98/CEE induce a ritenere che i dati di cui l’Agenzia del territorio ha la disponibilità esclusiva in dipendenza della propria attività istituzionale dovranno essere resi accessibili sia alla società separata, sia alle imprese che operano sul mercato dei servizi di informazione ipocatastale in tempi, con contenuti e a fronte di corrispettivi assolutamente identici e tali da garantire, all’una come alle altre, pari opportunità di iniziativa economica, e comunque in modo da assicurare che il costo degli stessi sia orientato esclusivamente a coprire gli oneri dell’Amministrazione per la produzione delle informazioni in questione.

Uno strumento di regolamentazione come la Direttiva 2003/98/CE (direttiva PSI: Public Sector Information) non poteva non prevedere una disposizione specificamente rivolta a disciplinare il prezzo che gli enti pubblici avrebbero dovuto praticare per offrire le PSI in loro possesso.

Il quattordicesimo considerando della Direttiva 2003/98/CE stabilisce che: “Quando viene chiesto il pagamento di un corrispettivo in denaro, il totale delle entrate non dovrebbe superare i costi complessivi di raccolta, produzione, riproduzione e diffusione di documenti, maggiorati di un congruo utile sugli investimenti, tenendo in debito conto i fabbisogni di autofinanziamento dell’ente pubblico interessato, ove opportuno. L’attività di produzione comprende la creazione e l’assemblamento, e la diffusione può comprendere anche l’assistenza agli utilizzatori. Il recupero dei costi, maggiorati di un congruo utile sugli investimenti, coerentemente con i principi contabili applicati e il pertinente metodo di calcolo dei costi dell’ente pubblico interessato costituisce il limite massimo delle tariffe, che non dovrebbe essere eccessivo. Il limite massimo per le tariffe stabilito nella presente direttiva lascia impregiudicata la facoltà degli Stati membri e degli enti pubblici di praticare prezzi inferiori o di cedere le informazioni gratuitamente e gli Stati membri dovrebbero incoraggiare gli enti pubblici a rendere disponibili i documenti dietro versamento di un corrispettivo non superiore ai costi marginali di riproduzione e diffusione dei documenti”.

L’art. 6 della Direttiva prevede un prezzo massimo per la PSI offerta stabilendo che: “Quando viene chiesto il pagamento di un corrispettivo in denaro, il totale delle entrate provenienti dalla fornitura e dalla autorizzazione al riutilizzo dei documenti non supera i costi di raccolta, produzione, riproduzione e diffusione, maggiorati di un congruo utile sugli investimenti. L’entità delle tariffe dovrebbe essere determinata dai costi in un periodo contabile adeguato e calcolata conformemente ai principi contabili applicabili agli enti pubblici interessati”.

In altri termini, lasciata impregiudicata la facoltà degli Stati membri o degli enti pubblici di praticare prezzi inferiori o di cedere le informazioni gratuitamente, la regola indicata dall’art. 6 consente di recuperare i costi sostenuti per generare la PSI e renderla disponibile per il riutilizzo, maggiorati di un congruo utile.

8. Tanto premesso in iure, può passarsi all’esame delle specifiche doglianze mosse alla decisione della CTR, le quali sono fondate nei termini di cui in motivazione.

8.1. Vanno accolte le censure riguardanti i profili motivazionali della decisione impugnata, tenuto conto che i giudici di appello hanno rideterminato equitativamente la tariffa applicabile, in violazione dei principi che regolamentano il giudizio tributario (Cass. n. 19079 del 2009).

Come più volte evidenziato da questa Corte (Cass. n. 22453 del 2008, Cass. n. 7404 del 2001, Cass. n. 4280 del 2001, Cass. n. 16171 del 2001), il giudizio tributario, nonostante sia strutturato come giudizio di impugnazione, non è annoverabile tra quelli di “impugnazione annullamento”, ma tra i processi di “impugnazione merito”; ne consegue che non è ammesso il ricorso a criteri di determinazione equitativa, non solo perchè non esiste una norma che attribuisca un tale potere al giudice tributario, ma soprattutto per la natura giurisdizionale delle commissioni tributarie, che non lascia dubbio alcuno sulla piena applicabilità anche al giudizio tributario di quelle disposizioni costituzionali (art. 101 Cost., art. 23 Cost.) che regolano il giudizio di equità entro spazi limitati e tassativamente stabiliti dal legislatore.

8.2. E’ fondato anche il terzo motivo di censura, con cui parte ricorrente si duole del fatto che la CTR avrebbe errato nell’affermare il diritto di controparte alla restituzione di quella parte di tributo “che per disposizione normativa europea non poteva essere posto a carico della parte privata”, in assenza di qualsiasi elemento probatorio, proveniente dalla contribuente, atto a dimostrare l’incongruità della pretesa fiscale. Invero, la Direttiva 2003/98/CE stabilisce chiaramente l’entità delle tariffe, le quali, come si è detto, devono essere determinate dai costi di raccolta, produzione, riproduzione e diffusione, maggiorati di un congruo utile sugli investimenti. Ciò premesso, va precisato che:

“In tema di informazioni ipocatastali, osta al diritto comunitario la determinazione di una tariffa, come indicata dal D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, convertito dalla L. 24 novembre 2006, n. 286, per il pagamento del rilascio degli “elenchi dei soggetti presenti nelle formalità di un dato giorno”, la quale preveda un importo maggiore a quello espressamente definito secondo i criteri precisati dalla Direttiva 2003/98/CE, il quale non deve superare i costi di raccolta, produzione, riproduzione e diffusione, maggiorati di un congruo utile sugli investimenti”.

Nella specie, non emerge dalla motivazione della sentenza impugnata che la società contribuente abbia fornito la prova, di cui è processualmente onerata, che la pretesa tariffaria non sia conforme alle disposizioni normative comunitarie richiamate.

In tema di contenzioso tributario, infatti, ove la controversia, come nella specie, abbia ad oggetto l’impugnazione del rigetto dell’istanza di rimborso di un tributo, il contribuente è attore in senso non solo formale, ma anche sostanziale, con la duplice conseguenza che grava su di lui l’onere di allegare e provare i fatti costitutivi della pretesa restitutoria, e quindi l’esistenza dei presupposti per il diritto al rimborso rivendicato (Cass. n. 21197 del 2014; Cass. n. 29613 del 2011).

9. Per i rilievi espressi, il ricorso va accolto e, per l’effetto, l’impugnata decisione cassata con rinvio alla CTR del Veneto, in diversa composizione, per il riesame, alla luce dei principi espressi, e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

 

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR del Veneto in diversa composizione anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2017

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