Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22138 del 29/10/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 22138 Anno 2015
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: TRIA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso 9769-2010 proposto da:
FALBO ORLANDO C. F. FLBRND61505F157C, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA PALESTRO 64, presso lo studio
dell’avvocato FRANCO BUGNANO, rappresentato e difeso
dall’avvocato WALTER PARISE giusta delega in atti;
– ricorrente nonchè contro

2015
3193.

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 9710,3880585;
– intimata –

Nonché da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del

Data pubblicazione: 29/10/2015

legale rappresentante

Ero

tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE MAllINI 134, presso lo
studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
controricorrente e ricorrente incidentale –

FALBO ORLANDO C.F. FLBRND61S05F157C;
– intimato –

avverso la sentenza n. 6209/2008 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 27/07/2009 R.G. N. 4246/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza

del 09/07/2015

dal Consigliere Dott. LUCIA

TRIA;
udito

l’Avvocato ANNA BUTTAFOCO per delega verbale

LUIGI FIORILLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI, che ha concluso per
l’inammissibilità in subordine per l’accoglimento del
ricorso principale; per il
incidentale.

rigetto del ricorso

nonchè contro

r

Udienza del 9 luglio 2015 — Aula B
n. 27 del ruolo — RG n. 9769/10
Presidente: Rosai – Relatore: Tria

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.—La sentenza della Corte d’appello di Roma attualmente impugnata, in accoglimento
dell’appello di POSTE ITALIANE s.p.a. avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 8931/2006 e
in parziale riforma di tale sentenza, confermata per il resto, rigetta la domanda risarcitoria proposta
da Orlando Falbo in conseguenza della dichiarazione di illegittimità della clausola appositiva del
termine al contratto stipulato tra le parti per il periodo 27 marzo 2000-23 maggio 2000 — in base
alla causale delle “esigenze eccezionali”, di cui all’art. 8 del CCNL del 26 novembre 1994 (come
integrato dall’Accordo 25 settembre 1997) — disposta dalla sentenza di primo grado.
2.—Il ricorso di Orlando Falbo domanda la cassazione della sentenza per un unico motivo;
resiste, con controricorso, POSTE ITALIANE s.p.a. che propone, a sua volta, ricorso incidentale
per tre motivi.
MOTIVI DELLA DECISIONE

I

Sintesi del ricorso principale

1.—Con il motivo di ricorso principale si denuncia violazione ed erronea interpretazione
dell’art. 1217 cod. civ. nonché dei principi affermati da Cass. SU 8 ottobre 2002, n. 14381 e da
Cass. 13 aprile 2007, n. 8903.
Si contesta la statuizione con la quale la Corte romana — in applicazione del criterio equitativo
dalla stessa elaborato, secondo cui nel caso di riscontrata illegittimità della clausola appositiva del
termine al lavoratore vanno riconosciute soltanto le retribuzioni maturate dalla data di offerta delle
prestazioni alla datrice di lavoro sino alla scadenza del terzo anno successivo alla cessazione del
rapporto di lavoro — ha respinto la parte risarcitoria della domanda del lavoratore, essendo la lettera
contenente l’offerta della prestazione lavorativa successiva alla scadenza del suindicato periodo
triennale (compreso tra il 25 maggio 2000 e il 25 maggio 2003).

Il

Sintesi dei motivi del ricorso incidentale

2.—Il ricorso incidentale è articolato in tre motivi, con il quali la società POSTE ITALIANE:
2.1.- censura — denunciando vizio di motivazione nonché violazione e falsa applicazione
degli artt. 1372, comma primo, 1175, 1375, 2697, 1427, 1431 cod. civ., 100 cod. proc. civ. — la
statuizione della sentenza impugnata che ha rigettato l’eccezione di risoluzione del rapporto per
. mutuo consenso, sostenendo che il rapporto avrebbe dovuto essere ritenuto risolto per mutuo
consenso, in quanto il lasso di tempo trascorso (tra la cessazione e l’offerta della prestazione)
costituiva indice di disinteresse a sostenere la nullità del termine, di modo che erroneamente il
i

,

2.2.- denuncia violazione dell’art. 23 della 1. 28.2.87, n. 56, dell’art. 8 del CCNL 26.11.94,
nonché degli accordi 25.9.97, 16.1.98, 27.4.98, 2.7.98, 24.5.99 e 18.1.01, in connessione con gli
artt. 1362 e ss. cod. civ., contestandosi l’interpretazione data alla contrattazione collettiva dal
giudice di merito, in particolare evidenziandosi: a) la contraddittorietà dell’affermazione che
l’accordo 25.9.97, pur derogando alla disciplina generale del contratto a termine, sarebbe soggetta
ad un limite temporale di efficacia (secondo motivo); b) la carenza della motivazione in quanto la
sentenza impugnata avrebbe esposto in maniera inidonea le ragioni del rapporto esistente tra il
contratto collettivo e gli accordi attuativi successivi, in relazione al ritenuto limite temporale (terzo
motivo).
UI

Esame del ricorso principale

3. Il motivo del ricorso principale va accolto, per le ragioni e nei limiti di seguito esposti.

Tutte le censure riguardano il mancato riconoscimento del risarcimento del danno, disposto
dalla Corte territoriale sulla base del criterio della risarcibilità nei limiti del triennio dalla cessazione
del rapporto a termine.
sopravvenuta in corso di causa la disciplina di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32,
comma 5, che riconosce al lavoratore un’indennità omnicomprensiva nella misura compresa tra un
minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto; tale
previsione è immediatamente applicabile anche ai giudizi pendenti in cassazione e il detto
riconoscimento dell’indennità opera a prescindere dall’intervenuta costituzione in mora del datore
di lavoro e dalla prova concreta di un danno, trattandosi di indennità forfetizzata e onnicomprensiva
per i danni causati dalla nullità del termine.
In base al successivo comma 7 del citato art. 32 tale normativa sopravvenuta è applicabile a
tutti i giudizi pendenti, anche in grado di legittimità (vedi, per tutte, Cass.31 gennaio 2012 n. 1411 e
Cass. 28 gennaio 2011, n. 2112), essendo fondata sulla ratio legis diretta ad “introdurre un criterio
di liquidazione del danno di più. agevole, certa ed omogenea applicazione”, rispetto alle “obiettive
incertezze veriticatesi nell’esperienza applicativa dei criteri di commisurazione del danno secondo
la legislazione previgente”, come affermato nella sentenza interpretativa di rigetto della Corte
costituzionale n. 303 del 2011.
Tuttavia, in base ai principi generali sulla rilevabilità, anche d’ufficio, dello ius superveniens
e sulla sua applicabilità nei giudizi in corso perché possa farsi applicazione nel giudizio di
cassazione dello ius stmerveniens è necessario che:
a) la normativa sopravvenuta abbia pertinenza tematica alle questioni oggetto di censura nel
ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici
motivi di ricorso (Cass. 28 giugno 2012, n. 10899; Cass. 31 gennaio 2012, n. 1411; Cass. 8 maggio
2006, n. 10547; Cass. 27 febbraio 2004, n. 4070);
b) il motivo di ricorso, anche indirettamente investito dalla disciplina sopravvenuta, sia non
solo sussistente, ma altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria (Cass. 25 febbraio 2013, n.
2

giudice avrebbe affermato che l’inerzia non è comportamento idoneo a rappresentare la carenza di
interesse al ripristino del rapporto (primo motivo):,

4650; Cass. 28 giugno 2012, n. 10899; Cass. 31 gennaio 2012, n. 1411; Cass. 4 gennaio 2011 n.
80);

d) la immediata applicazione ai giudizi pendenti in cassazione dello ius superveniens non
comporti una reformatio in nejus, in quanto, in forza del principio dispositivo (art. 112 cod. proc.
civ.) e di quello dell’interesse ad agire (art. 100 cod. proc. civ.), la decisione non può essere più
sfavorevole all’impugnante e più favorevole alla controparte di quanto non lo sia stata la sentenza
gravata, ipotesi che quale, nella specie, si verifica se la sentenza di merito ha determinato il
risarcimento del danno in misura comunque superiore a quella risultante dalla liquidazione della
indennità ex art. 32, corruna 5, cit., nella misura massima (Cass. 9 marzo 2015, n. 4676; Cass. 29
novembre 2013, n. 26840).
Nel caso di specie sussistono all’evidenza tutte le suindicate condizioni per cui, nei sensi e nei
limiti del detto jus superveniens, va accolto il ricorso principale del lavoratore.

IV Esame del ricorso incidentale

4.- Il ricorso incidentale non è, invece, da accogliere, in ragione della giurisprudenza di questa
Corte, che sulle questioni oggi sollevate dalla ricorrente ha adottato orientamenti ormai consolidati.
5.- Quanto al primo motivo, va ricordato che secondo l’insegnamento di questa Corte (vedi, in
particolare, Cass. 17 dicembre 2004 n. 23554), nel giudizio instaurato ai fmi del riconoscimento
della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto
dell’illegittima apposizione al relativo contratto di un temine finale ormai scaduto), per la
configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario che sia accertata sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché
alla stregua delle modalità di tale conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali
circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre
definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del
complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono
censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto; nel caso in esame la
Corte di merito ha ritenuto che, nella specie, la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del
contratto non fosse sufficiente, in mancanza di ulteriori elementi di valutazione, a far ritenere la
sussistenza dei presupposti della risoluzione del rapporto per mutuo consenso e tale conclusione in
quanto priva di vizi logici o errori di diritto resiste alle censure mosse in ricorso.
6.- Con riguardo al secondo e al terzo motivo, la giurisprudenza ritiene che l’art. 23 della 1.
28.2.87 n. 56, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare — oltre le
fattispecie tassativamente previste dall’art. 1 della 1. 18.4.62 n. 230 nonché dall’art. 8-bis del d.l.
29.1.83 n. 17, conv. dalla 1. 15.3.83 n. 79 — nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata
del rapporto di lavoro, configura una vera e propria “delega in bianco” a favore dei sindacati, i
3

c) non si sia formato il giudicato interno in relazione alle questioni, su cui avrebbe dovuto
incidere la normativa sopravvenuta con conseguente inesistenza di controversie in atto sui relativi
punti, dovendosi la disciplina processuale dello ius superveniens coordinare con i principi che
regolano l’onere dell’impugnazione e le relative preclusioni (Cass. 17 marzo 2014, n. 6101; Cass. 8
gennaio 2015, n. 85);

Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di
contratto a termine, quella di cui all’accordo integrativo del 25.9.97, la giurisprudenza ritiene
corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento agli accordi attuativi sottoscritti
lo stesso 25.9.97 e il 16.1.98, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano convenuto di
riconoscere la sussistenza — dapprima fino al 31.1.98 e poi (in base al secondo accordo) fino al
30.4.98 — della situazione di fatto integrante delle “esigenze eccezionali” menzionate dal detto
accordo integrativo. Per far fronte alle esigenze derivanti da tale situRzione l’impresa poteva dunque
procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di personale straordinario con contratto
tempo determinato, con la conseguenza che deve escludersi la legittimità dei contratti a termine
stipulati dopo il 30.4.98 in quanto privi di presupposto normativo.
In altri termini, siccome le parti collettive avevano raggiunto originariamente un’intesa priva
di termine ed avevano successivamente stipulato accordi attuativi che avevano posto un limite
temporale alla possibilità di procedere con assunzioni a termine, fissato inizialmente al 31.1.98 e
successivamente al 30.4.98, l’indicazione di tale causale nel contratto a termine avrebbe legittimato
l’assunzione solo ove il contratto fosse scaduto in data non successiva al 30.4.98 (v., ex plurimis,
Cass. 23.8.06 n. 18378).
La giurisprudenza ha, altresì, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti
come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo 18.1.01 in quanto stipulato
dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era
già perfezionato. Ammesso che le parti avessero espresso l’intento di interpretare autenticamente gli
accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la
copertura dell’accordo 25.9.97 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione è
comunque conforme alla regula iuris dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi,
dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento
dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la
disciplina nel d.lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a
termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass.
12.3.04 n. 5141).
Conseguentemente i contratti scadenti (o comunque stipulati) al di fuori del limite temporale
del 30.4.98 sono illegittimi in quanto non rientranti nel complesso legislativo-collettivo costituito
dall’art. 23 della legge 28.2.87 n. 56 e dalla successiva legislazione collettiva che consente la
deroga alla legge n. 230 del 1962.
Essendo nella specie il contratto de quo stipulato successivamente al 30 aprile 1998 ed
essendo, quindi, la causale apposta ancorata a fattispecie non più legittimata dalla normazione
collettiva, i due motivi debbono essere ritenuti infondati, non meritando, sul punto, la sentenza
impugnata alcuna censura.
V — Conclusioni
7.- In sintesi il ricorso principale va accolto e quello incidentale deve essere respinto.
4

quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque
omologhe a quelle previste per legge (v. SU 2.3.06 n. 4588).

La impugnata sentenza va pertanto cassata, in relazione al ricorso accolto, con rinvio alla
Corte di appello di Roma in diversa composizione, la quale, attenendosi ai principi sopra richiamati
(vedi, in particolare paragrafo 3), provvederà nella specie anche ai sensi di quanto disposto in rito
dal comma 7 del citato art. 32, statuendo altresì sulle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.

Così deciso in Rom nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 9 luglio 2015.

La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale. Cassa
la sentenza impugnata, in relazione al ricorso accolto, e rinvia, anche per le spese del presente
giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.

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