Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22137 del 25/10/2011

Cassazione civile sez. III, 25/10/2011, (ud. 06/10/2011, dep. 25/10/2011), n.22137

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 14547/2010 proposto da:

S.L. (OMISSIS) titolare della omonima ditta S.

– officina Costruzioni Meccaniche, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA ALESSANDRO VIVENZA 41, presso lo studio dell’avvocato GARRETTO

Giovanni, che lo rappresenta e difende, giusta mandato a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

TOMARMI SRL in persona del Consigliere Delegato, elettivamente

domiciliata in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avv. DAMIGELLA Pietro, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 422/2009 della CORTE D’APPELLO di CATANIA del

18.3.09, depositata il 31/03/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

06/10/2011 dal Consigliere Relatore Dott. MAURIZIO MASSERA.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. TOMMASO

BASILE.

La Corte, letti gli atti depositati:

Fatto

OSSERVA

E’ stata depositata la seguente relazione:

1 – Con ricorso notificato il 17 maggio 2010 S.L. ha chiesto la cassazione della sentenza, non notificata, depositata in data 31 marzo 2009 dalla Corte d’Appello di Catania, confermativa della sentenza del Tribunale che aveva dichiarato risolto, per inadempimento del conduttore, il contratto di locazione del capannone industriale di proprietà della Tornarmi S.r.l..

Quest’ultima ha resistito con controricorso.

2 – I cinque motivi del ricorso risultano inammissibili, poichè la loro formulazione non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366 bis c.p.c.. Occorre rilevare che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per, ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360, per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso. Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo.

Infatti la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico-giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione. In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione. Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).

3. – IL primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 99 112 c.p.c. e art. 121 c.c.. Nella censura si da atto dell’esistenza di un contrasto giurisprudenziale e si chiede l’applicazione dell’orientamento più favorevole, senza però formulare il prescritto quesito di diritto.

Il secondo motivo lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in riferimento agli artt. 99, 112 c.p.c. e art. 1421 c.c., circa un fatto decisivo per il giudizio. Le argomentazioni non chiariscono se si intendesse denunciare effettivamente un vizio di motivazione o, piuttosto, una violazione di norme di diritto. In ogni caso mancano quesito di diritto e momento di sintesi formulato in modo da circoscrivere il fatto controverso e specificare quali parti della sentenza e per quali ragioni presentino motivazione, rispettivamente, omessa, insufficiente, contraddittoria.

Il terzo motivo adduce violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., in relazione alla domanda ex art. 1575 c.c., art. 1576 c.c., e segg.. Anche questa censura presenta un riferimento giurisprudenziale, ma non la formulazione di un quesito fondato sulle norme di cui ha lamentato la violazione e falsa applicazione (peraltro non specificate come se fossero sinonimi).

Il quarto motivo ipotizza violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., in relazione alla domanda di risoluzione per vizi non apparenti della cosa locata.

Anche questa censura non adempie all’onere processuale imposto dall’art. 366 bis c.p.c., per le ragioni indicate con riferimento ai motivi precedenti.

Le medesime considerazioni valgono per il quinto motivo, che denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., e che, peraltro, presuppone l’accoglimento dei precedenti.

4.- La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti;

Non sono state presentate conclusioni scritte nè memorie nè alcuna delle parti ha chiesto d’essere ascoltata in camera di consiglio;

5.- Ritenuto:

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione;

che pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza;

visti gli artt. 380 bis e 385 cod. proc. civ..

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2011

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