Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22137 del 22/09/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 22/09/2017, (ud. 13/06/2017, dep.22/09/2017),  n. 22137

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5970-2012 proposto da:

BNP PARIBAS SA, BANCA NAZIONALE LAVORO SPA in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIALE

G. MAZZINI 11, presso io studio dell’avvocato GABRIELE ESCALAR, che

li rappresenta e difende unitamente all’avvocato LIVIA SALVINI

giusta delega in calce;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8/2011 della COMM.TRIB.REG. di VENEZIA,

depositata il 19/01/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/06/2017 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per i ricorrenti l’Avvocato FUSO per delega dell’Avvocato

ESCALAR che si riporta agli atti;

udito per il controricorrente l’Avvocato GENTILI che ha chiesto il

rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle entrate notificava alla Banca Nazionale del Lavoro di (OMISSIS) un avviso di liquidazione con applicazione dell’imposta principale di registro con riferimento alla sentenza n. 2310 del 2006, passata in giudicato, con la quale il Tribunale di Venezia aveva disposto la revoca fallimentare, L. Fall., ex art. 67, del pagamento dei ratei di finanziamento effettuati tramite rimesse periodiche in conto corrente dalla fallita S.r.l. (OMISSIS) all’istituto bancario. L’atto veniva impugnato dalla banca e la CTP di Venezia, respingendo i motivi inerenti all’assunto difetto di motivazione e alla pretesa applicazione del principio di alternatività delle imposte IVA e Registro, accoglieva la censura concernente la tassabilità da imposta fissa ai sensi dell’art. 8, lett. e) della Tariffa. La pronuncia veniva appellata dall’Ufficio e la CTR del Veneto, in riforma della sentenza impugnata, confermava la tassazione proporzionale. BNP Paribas S.A., in qualità di incorporante della Banca Nazionale del Lavoro S.p.A. propone ricorso per cassazione svolgendo due motivi. L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma 1, lett. b) ed e) della Tariffa Parte Prima del D.P.R. n. 131, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62 atteso che i giudici di appello hanno erroneamente escluso che la sentenza di accoglimento della revocatoria fallimentare, portante la condanna alla restituzione di somme di denaro, sia assoggettabile ad imposta di registro in misura fissa.

1.1. Il motivo è infondato, in ragione del principio espresso da questa Corte, a cui si intende dare continuità, secondo cui:

“In tema di imposta di registro, la sentenza revocatoria fallimentare di una cessione di credito determina l’effetto giuridico del recupero alla procedura esecutiva di un bene che, in precedenza, era assente e dunque, poichè l’atto pregiudizievole postula la confusione del denaro nel patrimonio del cessionario, la pronuncia favorevole è, per tale capo, di condanna, così realizzando un trasferimento di ricchezza. Ne consegue che tale decisione è soggetta all’aliquota proporzionale di cui all’art. 8, comma 1, lett. b), della prima parte della Tariffa allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, dovendosi escludere l’applicazione della successiva lett. e) del medesimo articolo, che riguarda, invece, i provvedimenti giudiziali aventi ad oggetto l’annullamento o la declaratoria di nullità di un atto e, quindi, in funzione meramente ripristinatoria o restitutoria della situazione patrimoniale anteriore, ancorchè determinino la restituzione in denaro o beni ovvero la risoluzione di un contratto” (Cass., Sez. 5, n. 24954 del 2013).

L’art. 8, comma 1, lett. b) della prima parte della tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, assoggetta ad imposta proporzionale i provvedimenti dell’autorità giudiziaria recanti condanna al pagamento di somme o valori, di per sè stessi e non in quanto determinino il trasferimento di beni o l’attribuzione di diritti. Pertanto, la sentenza revocatoria fallimentare che impone ad un istituto di credito di versare nelle casse del fallimento una somma di denaro è assoggettabile ad imposta proporzionale, in quanto reca la “condanna al pagamento” di tale somma e non costituisce una mera dichiarazione di inefficacia nei confronti dei creditori dell’atto pregiudizievole (pagamento effettuato dal fallito mentre era ancora in bonis), atteso che la somma di denaro è transitata nel patrimonio della banca e si è confusa nel suo patrimonio.

1.2. Ne consegue che la sentenza impugnata non merita censura, nella parte in cui si afferma che alla sentenza di revocatoria fallimentare è applicabile l’aliquota proporzionale a norma dell’art. 8, comma 1, lett. b), della prima parte della tariffa allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, il quale assoggetta ad imposta proporzionale i provvedimenti dell’autorità giudiziaria recante la condanna al pagamento di somme o valori.

3. Con il secondo motivo di ricorso, si denuncia la nullità della sentenza per violazione degli artt. 324 e 329 c.p.c., dell’art. 2909 c.c., e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 54 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62 atteso che i giudici di secondo grado hanno erroneamente ritenuto che tra le parti si fosse formato un giudicato interno in merito al rigetto delle domande di BNL concernenti il difetto di motivazione dell’avviso di liquidazione impugnato e la violazione del D.P.R. n. 131, art. 40. Parte ricorrente evidenzia che con il proprio atto di costituzione nel giudizio di appello ha espressamente impugnato i capi della sentenza di primo grado, adducendo argomentazioni volte in maniera inequivocabile a censurare quanto affermato dai giudici della CTP di Venezia.

3.1. Il motivo non è fondato.

Questa Corte, a Sezioni Unite, con sentenza n. 11799 del 2017, ha recentemente precisato che: “In tema di impugnazioni, qualora una eccezione di merito sia stata respinta in primo grado, in modo espresso o attraverso una enunciazione indiretta che ne sottenda, chiaramente ed inequivocabilmente, la valutazione di infondatezza, la devoluzione al giudice di appello della sua cognizione, da parte del convenuto rimasto vittorioso quanto all’esito finale della lite, esige la proposizione di un gravame incidentale, non essendone, altrimenti, possibile il rilievo officioso ex art. 345 c.p.c., comma 2, (per il giudicato interno formatosi ai sensi dell’art. 329 c.p.c., comma 2), nè è sufficiente la mera riproposizione, utilizzabile, invece, e da effettuarsi in modo espresso, ove quella eccezione non sia stata oggetto di alcun esame, diretto o indiretto, ad opera del giudice di prime cure”.

La CTR nella sentenza impugnata ha fatto buon governo dei principi espressi, evidenziando come l’appellata pur avendo ampl4amente illustrato nelle controdeduzioni le proprie contestazioni in ordine al difetto di motivazione dell’avviso di liquidazione ed in ordine alla violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 40 e della nota 2, art. 8, Tariffa, Parte 1, allegata, ha omesso di impugnare espressamente (o implicitamente) i capi della sentenza che hanno respinto le censure, rilevando, correttamente, che a tutto ciò non può ovviare il semplice richiamo al contenuto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56 (v. Cass. n. 7702 del 2013; Cass. n. 1545 del 2007).

4. Sulla base dei rilievi espressi, il ricorso va rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte soccombente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 5.200,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 13 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2017

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