Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22137 del 04/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 04/09/2019, (ud. 21/03/2019, dep. 04/09/2019), n.22137

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23005-2017 proposto da:

D.F., D.S., D.E., D.s.,

elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZALE DELLE BELLE ARTI 6,

presso lo studio dell’avvocato BELLINO ELIO PANZA, rappresentati e

difesi dall’avvocato MASSIMO PELUSO;

– ricorrenti –

contro

BANCO DI NAPOLI SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 35,

presso lo studio dell’avvocato TIZIANA APUZZO, rappresentata e

difesa dall’avvocato GIUSEPPE BALSAMO;

– controricorrente –

contro

L.P.C.S.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3087/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 03/08/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera partecipata del

21/03/2019 dal Consigliere PASQUALE GIANNITI.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. L’Ing. D.F. ed i di lui figli ( D.E., D.s. e D.S.) hanno proposto ricorso avverso la sentenza n. 3087/2016 della Corte di appello di Napoli che, rigettando l’appello principale e dichiarando assorbito quello incidentale, ha integralmente confermato la sentenza n. 595/2010 del Tribunale di Torre Annunziata, con la quale era stato dichiarato inefficace, nei confronti del Banco di Napoli, il contratto per Notar Langella del 19/3/1999 (avente ad oggetto il trasferimento dalla L.P. ai figli D.S., D.s. ed D.E. degli immobili di sua proprietà individuati all’art. 3 dell’accordo di separazione intercorso con l’odierno ricorrente D.F.).

2. Ha resistito con controricorso il Banco di Napoli. Nessuna attività difensiva è stata invece svolta da L.P.C.S. (rimasta contumace in entrambi i giudizi di merito).

3. Essendosi ritenute sussistenti dal relatore designato le condizioni per definire il ricorso con il procedimento ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata redatta proposta ai sensi di tale norma e ne è stata fatta notificazione ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

4. In vista dell’odierna udienza entrambe le parti hanno presentato memoria a sostegno dei rispettivi assunti.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Preliminarmente, nel dar atto che la memoria del resistente è pervenuta via posta il 15 marzo 2019, va dichiarata la irritualità di detta memoria alla stregua del principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, per cui in tema di giudizio di cassazione, le memorie ex art. 380 bis c.p.c., se depositate a mezzo posta, devono essere dichiarate inammissibili, tanto che nulla in esse proposto possa essere preso in considerazione, non essendo applicabile l’art. 134 disp. att. c.p.c. in quanto previsto esclusivamente per il ricorso ed in controricorso (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8835 del 10/04/2018, Rv. 648717 – 01).

2. Il ricorso è affidato a due motivi.

2.1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1197,1322 e 2901 c.c. nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto revocabile, ritenendolo di natura gratuita, l’atto di trasferimento immobiliare compiuto dalla L.P. nei confronti dei figli. Premettono che: a) i coniugi D.- L.P. erano addivenuti alla sottoscrizione in data 17/7/1997 di un verbale di separazione in forza del quale la L.P. si era obbligata a titolo di mantenimento dei figli minori a trasferire a questi ultimi con effetto immediato i tre beni immobili in esso indicati; b) il verbale di separazione era stato omologato il 16/9/1997; c) il trasferimento immobiliare era avvenuto con atto pubblico del 19 marzo 1999; d) nel marzo 2004 il Banco di Napoli aveva chiesto che fosse dichiarato inefficace nei suoi confronti il predetto atto, asserendo di essere creditore della L.P. in virtù di fideiussioni prestate dalla stessa in proprio favore. Sostengono i ricorrenti che la Corte ha revocato l’atto di trasferimento immobiliare in violazione degli artt. denunciati: sia perchè detto atto sarebbe stato compiuto solvendi causa (e cioè al fine di adempiere il debito derivante dall’obbligo di mantenimento della prole); sia perchè detto atto avrebbe rappresentato un atto di adempimento di un debito già scaduto al momento della sottoscrizione (non revocabile ex art. 2901 c.c., comma 3), gravando sulla L.P., genitore non convivente, l’obbligo di provvedere al versamento di quanto necessario al mantenimento della prole, anche prima degli accordi di separazione. Deducono i ricorrenti che il legislatore, nel disciplinare l’azione revocatoria ordinaria, non ha attribuito alcuna rilevanza alle modalità di adempimento, limitandosi a prevedere la non revocabilità di qualsiasi pagamento di un debito scaduto, indipendentemente dalle concrete modalità con cui era stato effettuato.

2.2. Con il secondo i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c., n. 4 per totale mancanza di motivazione e/o per motivazione apparente non soltanto in punto di natura onerosa dell’atto di trasferimento ma anche di sussistenza del presupposto dell’eventus damni.

3. Il ricorso è inammissibile.

3.1. Occorre premettere che la Corte di appello ha ritenuto che la cronologia degli eventi, come documentata in atti e non contestata, smentiva gli assunti degli appellanti; e, a fronte di una esposizione debitoria che si era incominciata a formare “dalla fine del 1996” (e cioè vari mesi prima della presentazione del ricorso per separazione consensuale), ha ritenuto non provato che la separazione di fatto tra i coniugi doveva farsi risalire al 1992 (essendo peraltro nata la figlia D.S. nel 1993 ed il figlio D.E. nel 1995).

Ciò posto, occorre aggiungere che, non avendo formato oggetto di alcun motivo di ricorso, è da intendersi coperta dal giudicato la statuizione, contenuta in sentenza, relativa alla ritenuta sussistenza di un intento fraudatorio ai danni dell’Istituto di Credito posto a base dell’atto impugnato, nonchè relativa all’inverosimiglianza della tesi degli odierni ricorrenti di essere all’oscuro dell’esposizione debitoria della L.P.. E, a fronte di tale rilievo sfuma ogni considerazione sull’adempimento di asserito debito scaduto.

In ogni caso entrambi i motivi non si sottraggono alla declaratoria di inammissibilità per le ragioni di seguito indicate.

3.2. Il primo motivo è inammissibile per l’assoluta genericità ed assertività della prospettazione che l’atto di trasferimento notarile fosse stato il modo di un adempimento dell’obbligo scaduto di mantenimento dei figli.

La prospettazione è davvero singolare là dove predica che il carattere di adempimento di un debito scaduto si sarebbe configurato rispetto all’atto notarile (non tanto in conseguenza dell’assunzione dell’obbligo di trasferimento assunto nel verbale di separazione, che era stato azionato ai sensi dell’art. 2932 c.c. e che a sua volta rappresentava una posizione debitoria, bensì) in dipendenza dell’assunzione di quell’obbligo in sede di separazione coniugale per adempiere un debito, quello di mantenimento della prole, che era già scaduto all’atto dell’accordo di separazione.

Tale singolarità, però, non soltanto resta del tutto assertoria e priva di allegazione del come e del perchè era stata sostenuta nelle fasi di merito, ma è stata anche dedotta in manifesta violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, atteso che nel ricorso non si riproduce nè direttamente nè indirettamente il contenuto dell’atto di separazione che coerenzierebbe l’assunto.

La violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 emerge anche sotto il profilo che si è omesso di riprodurre nel ricorso direttamente o almeno indirettamente il motivo di appello (sul punto) di cui la corte territoriale era stata investita.

Tanto basterebbe a disattendere il motivo.

Ma v’è di più: quand’anche l’assunzione dell’obbligo di trasferimento fosse avvenuta per adempiere un debito di mantenimento scaduto (cioè relativo ai bisogni della prole anteriori al momento della separazione) – trattandosi di un adempimento (non diretto, ma) tramite una sorta di prestazione in luogo dell’adempimento (e, dunque, di una forma di datio in solutum) verrebbe in rilievo il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, per cui “la “datio in solutum” costituisce modalità anomala di estinzione dell’obbligazione ed è quindi assoggettabile all’azione revocatoria ordinaria, sottraendosi all’inefficacia ai sensi dell’art. 2901 c.c., comma 3, solo l’adempimento di un debito scaduto in senso tecnico e non un atto discrezionale, dunque non dovuto, come la predetta cessione, in cui l’estinzione dell’obbligazione è l’effetto finale di un negozio soggettivamente ed oggettivamente diverso da quello in virtù del quale il pagamento è dovuto (Sez. 6 1, Ordinanza n. 26927 del 14/11/2017, Rv. 646769 – 01).

A ben vedere, in realtà, l’assunzione dell’obbligo di trasferimento non integrava un adempimento, bensì la sostituzione all’oggetto dell’obbligazione (la prestazione di adempimento mediante danaro o altro) di un diverso oggetto, l’obbligo di trasferimento. Ne segue che la stessa evocazione dell’art. 2901 c.c., comma 3 è priva di pregio.

Infine, occorre aggiungere che parte ricorrente si inammissibilmente del tutto disinteressata, come non ha mancato di rilevare la resistente, della giurisprudenza evocata dalla corte territoriale alle pagine 6-7.

3.3. Parimenti inammissibile è il secondo motivo.

Invero, proprio perchè parte ricorrente si è disinteressata della suddetta evocata giurisprudenza, la denuncia di vizio di mancata motivazione (sull’esistenza dell’eventus damni e sulla presunta natura solutoria dell’atto) incorre nel vizio di inammissibilità più volte ribadito da questa Corte, secondo la quale: “Il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica,, indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4″ (principio affermato da questa stessa Sezione, con sent. n. 359 del 11/01/2005, Rv. 579564 – 01, e successivamente ribadito in più occasioni, anche dalle Sezioni Unite con sentenza n. 7074/2017)

D’altronde, ribadito che è passata in giudicato la statuizione per la quale nella vicenda in oggetto vi è stato un intento fraudatorio posto a base dell’atto revocato e risulta inverosimile la mancanza di conoscenzp ad opera dei ricorrenti della condizione debitoria della L.P., sarebbe manifestamente infondata la denuncia di vizio di mancata motivazione. La Corte territoriale, dopo aver ripercorso la cronologia dei fatti (pp. 4, 5 e 6), ha ritenuto provata l’anteriorità del credito agli atti dispositivi e che questi ultimi erano stati compiuti nella piena consapevolezza della L.P. di ledere le ragioni di credito della banca (desumibile dalla missiva 25/2/1997 diretta dalla banca alla L.P. e dalla risposta di quest’ultima diretta alla Banca l’11/6/1996, cioè un mese prima della presentazione del ricorso di separazione). E, in considerazione dell’atto realizzato dalla L.P., ha ritenuto che lo stesso aveva sicuramente prodotto sia in termini qualitativi che quantitativi una diminuzione del patrimonio del debitore. Valutazioni di merito queste che, come è noto, si sottraggono al sindacato di legittimità demandato a questa Corte.

4. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali, liquidate come da dispositivo, nonchè al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso;

– condanna parte ricorrente al pagamento in favore di parte resistente delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 8000, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 21 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2019

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