Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22134 del 29/10/2015


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. L Num. 22134 Anno 2015
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: VENUTI PIETRO

SENTENZA

sul ricorso 5093-2010 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, PIAZZA GIUSEPPE MAZZINI N. 27,
presso lo studio dell’avvocato SALVATORE TRIFIRO’, che
la rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2015
nonchè contro

3170
AGOSTA LUCIA;

– intimata –

– avverso la sentenza non definitiva n. 120/2008 della

Data pubblicazione: 29/10/2015

CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 12/06/2008
R.G.N. 84/2007;
avverso la sentenza definitiva n.422/2008 della
CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 16/02/2009
R.G.N. 84/2007;

udienza del 09/07/2015 dal Consigliere Dott. PIETRO
VENUTI;
udito l’Avvocato LORENZO GUIA per delega verbale
SALVATORE TRIFIR0′;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI, che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

R.G. n. 5093/10
Ud. 9.7.2015

La Corte d’appello di Venezia, con sentenza non definitiva depositata
il 12 giugno 2008, in riforma della pronuncia di rigetto di primo grado,
dichiarava l’illegittimità del termine apposto ai contratti stipulati da Agosta
Lucia con Poste Italiane s.p.a. e condannava la società al ripristino del
rapporto ed al pagamento delle retribuzioni a decorrere dalla data di messa
in mora (15 settembre 2003), costituita dalla richiesta del tentativo
obbligatorio di conciliazione.
Con sentenza definitiva depositata il 16 febbraio 2009 dette
retribuzioni, su accordo delle parti, venivano determinate dalla Corte
anzidetta in € 16.076,24, oltre accessori di legge.
Osservava il giudice d’appello che le parti avevano stipulato un
primo contratto dal 1° giugno 1998 al 30 settembre 1998, ai sensi dell’art.
8 CCNL dei dipendenti postali del 1994 “per necessità di espletamento del
servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo maggio —
settembre”; ed un secondo contratto, sempre in base alla predetta norma
contrattuale, dal 4 novembre 1998 al 31 gennaio 1999, poi prorogato al 30
aprile 1999, “per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di
ristrutturazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della
graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di
nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo
equilibrio sul territorio delle risorse umane”. Successivamente erano
intervenuti altri due contratti, non oggetto della presente controversia.
Ad avviso della Corte suddetta, entrambi i suddetti contratti erano
illegittimi, essendo stata l’assunzione effettuata, oltre che per ragioni
generiche, dopo la data del 30 aprile 1998, e cioè dopo il limite temporale

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

2

fissato dalle parti collettive in base alla delega loro conferita dalla legge n.
56 del 1987, art. 23.
Infondata era l’eccezione di risoluzione per mutuo consenso
proposta dalla società, posto che il decorso di un lasso tempo, più o meno
lungo dopo la conclusione del rapporto, non poteva far presumere la

Per la cassazione di queste sentenze propone ricorso la società —
che ha anche depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ. — sulla base di
sette motivi. La lavoratrice è rimasta intimata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. La ricorrente, dopo aver premesso che la lavoratrice ha
rinunziato al ripristino del rapporto, denuncia, con il primo motivo, la
violazione dell’art. 1362, comma 2, cod. proc. civ., censurando la
sentenza non definitiva per avere ritenuto che il prolungato ritardo nel
proporre l’azione giudiziale — nella specie oltre tre anni — non poteva
essere interpretato come espressione di un definitivo disinteresse a far
valere la nullità del termine apposto al contratto e, quindi, come tacito
consenso alla definitiva risoluzione del rapporto.
2. Il secondo, il terzo, il quarto e il quinto motivo, denunciando
vizio di motivazione e violazione di plurime disposizioni di legge,
censurano la sentenza non definitiva per avere ritenuto la illegittimità di
entrambi i contratti, in quanto stipulati oltre la data del 30 aprile 1998.
Deduce la ricorrente che, in virtù della delega conferita dal
legislatore con la legge n. 56 del 1987, art. 23, l’autonomia sindacale non
incontra limiti ed ostacoli di sorta nella tipologia dei contratti a termine in
relazione alle ipotesi che ne legittimano la conclusione. Alla data della
stipula dei contratti permanevano le esigenze legittimanti la stipula degli
stessi ai sensi dell’accordo del 25 settembre 1997 e non era scaduto il
termine finale di efficacia dell’accordo medesimo, come era dimostrato dai
successivi accordi, aventi natura ricognitiva del processo di ristrutturazione

comune volontà delle parti di voler risolvere il rapporto.

•11•11•11.1~11.• IP

di Poste ancora in corso. Non ricorreva quindi il limite temporale del 30
aprile 1998 ravvisato dalla sentenza non definitiva.
3. Con il sesto motivo la ricorrente, nel denunciare violazione di
norme di diritto e di contratti ed accordi collettivi, rileva che l’attribuzione
alla contrattazione collettiva ex art. 23 della legge n. 56 del 1987 del potere

di indicare specificamente le ragioni della stipula dei contratti a termine.
Ed infatti l’ampiezza delle delega conferita dal legislatore alle parti sociali
porta a ritenere che sia stata in generale ammessa la possibilità di
individuare in astratto le condizioni per il ricorso alle assunzioni a termine,
avendo il legislatore ritenuto costituire sufficiente garanzia di legalità la
valutazione operata dalle parti sociali senza che vi sia necessità di
individuare ipotesi specifiche di collegamento tra contratti ed esigenze
aziendali.
4. Con il settimo motivo la ricorrente, denunciando plurime
violazioni di legge, lamenta che la Corte di merito ha riconosciuto alla
lavoratrice le retribuzioni a decorrere dalla data di messa in mora, mentre,
per il principio di corrispettività delle prestazioni, esse erano dovute solo
dalla effettiva ripresa del servizio.
Inoltre, aggiunge, la sentenza non definitiva ha considerato quale
atto di messa in mora la richiesta del tentativo obbligatorio di
conciliazione, nonostante questo non contenesse alcuna offerta della
prestazione lavorativa.
5. Il primo motivo non è fondato.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che nel giudizio instaurato
ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a
tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al
contratto di un termine finale ormai scaduto, affinchè possa configurarsi
una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario che sia
accertata — sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione
dell’ultimo contratto a termine nonché del comportamento tenuto dalle

di definire nuovi ipotesi di assunzione a termine prescinde dalla necessità

parti e di eventuali circostanze significative — una chiara e certa comune
volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto
lavorativo. L’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi
siffatta volontà grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per
mutuo consenso del rapporto (cfr. Cass. n. 16932/11; Cass. n. 5887/11;

2279/10).
E’ stato altresì precisato che, ai fini della valutazione del
comportamento concludente della parte, non è di per sé sufficiente la mera
inerzia o il semplice ritardo nell’esercizio del diritto (Cass. n. 20390/07;
Cass. n. 26935/08; Cass. n. 2279/10).
La citata giurisprudenza ha infine affermato che la valutazione del
significato e della portata del complesso dei suddetti elementi compete al
giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di
legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto.
Nella specie la Corte di merito, facendo corretta applicazione dei
suddetti principi, ha ritenuto che il solo decorso del tempo, in mancanza di
ulteriori elementi, non poteva essere interpretato come un comportamento
tacito concludente ai fini della definitiva cessazione del rapporto. Ed infatti
il decorso del tempo, più o meno lungo che sia, è un fatto che può trovare
una sua qualificazione giuridica, un suo significato negoziale se, in
positivo o in negativo, siano accertati fatti incompatibili con la continuità
del rapporto, nella specie non ricorrenti.
6. I motivi dal secondo al sesto, che in ragione della loro connessione
vanno trattati congiuntamente, sono fondati con riguardo al primo
contratto (1 giugno 1998 — 30 settembre 1998) stipulato per necessità di
espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo
maggio — settembre, mentre devono essere rigettati in relazione al secondo
contratto (4 novembre 1998 – 31 gennaio 1999, poi prorogato al 30 aprile
1999), stipulato per “esigenze eccezionali” conseguenti alla fase di
ristrutturazione dell’ente.:

-ÌL-;T

Cass. n. 23319/10; Cass. n. 23057/10: Cass. n. 16424/10; Cass. n.

-

6.1. Secondo il costante orientamento di questa Corte, “In tema di
contratto a termine dei dipendenti postali, l’assunzione per “necessità di
espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo
giugno-settembre” costituisce un’ipotesi di assunzione a termine prevista
dall’art. 8 del c.c.n.l. del 26 novembre 1994 — in esecuzione della “delega

1987, n. 56 — per la quale non è necessario né indicare nominativamente i
lavoratori sostituiti né allegare e provare che altri lavoratori siano stati in
concreto collocati in ferie. Per tali assunzioni deve essere escluso il limite
temporale del 30 aprile 1998 previsto dalla contrattazione collettiva per la
diversa causale di assunzione “per esigenze eccezionali, conseguenti alla
fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso,
in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di
sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo
e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane” (Cass. n. 6097/14;
Cass. n. 1828/14; Cass. n. 25225/09).
In adesione a tale orientamento, il contratto in esame, deve ritenersi
legittimo.
6.2. Alle stesse conclusioni non può pervenirsi con riguardo al
secondo contratto.
Questa Corte ha più volte affermato, in ordine alla disciplina vigente
anteriormente all’entrata in vigore del D. Lgs. n. 368 del 2001, che
l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex art. 23 della legge n. 56 del
1987, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a
quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore
di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del
mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia
per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della
percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a
tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare
ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di

in bianco”, a favore dei sindacati, di cui all’art. 23 della legge 28 febbraio

6

e

riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero
di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore
– ! –

di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato (v. Cass. 4
agosto 2008 n. 21063; Cass. 20 aprile 2006 n. 9245; Cass. 7 marzo 2005 n.
4862; Cass. 26 luglio 2004 n. 14011).

collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi
vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle
previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della
disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa
delineato (cfr. Cass. 4 agosto 2008 n. 21062; Cass. 23 agosto 2006 n.
18378).
E’ stato altresì ripetutamente affermato che, in materia di
assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25
settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994, e con
il successivo accordo attuativo, sottoscritto M data 16 gennaio 1998, le
parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza delle “esigenze
eccezionali” e della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione
giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e
rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla
data del 30 aprile 1998. Ne consegue che deve escludersi la legittimità dei
contratti a termine stipulati dopo tale data per esigenze di carattere
eccezionale, per carenza del presupposto normativo derogatorio (v., fra le
altre, Cass. n. 20608/07; Cass. n. 7979/08; Cass. n. 28450/08; Cass. n.
24281/11; Cass. n. 3056/12; Cass. n. 3042/14).
Né è stata attribuita da questa Corte alcuna rilevanza all’accordo del
18 gennaio 2001, in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza
dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto defle lavoratrice si era già
definitivamente perfezionato.
Ed infatti, anche ad ammettere che le parti fossero mosse
dall’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti

Si tratta di una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti

di sanatoria delle assunzioni effettuate senza la copertura dell’accordo del
25 settembre 1997 (scaduto in forza delle convenzioni attuative), si
dovrebbe, comunque, richiamare la regola dell’indisponibilità dei diritti dei
lavoratori già acquisiti, con la conseguente esclusione per le parti stipulanti
del potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica

disciplina nel D. Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la
stipulazione di contratti non più legittimi per effetto della durata in
precedenza stabilita (cfr. Cass. 12 marzo 2004 n. 5141; Cass. 28 novembre
2008 n. 28450; Cass. 16 novembre 2010 n. 23120).
Nella specie la Corte di merito, disattendendo tutte le contrarie
argomentazioni formulate da Poste, ha fatto corretta applicazione di tali
principi, con argomentazioni coerenti, logiche e non contraddittorie, onde
il motivo in esame deve essere respinto.
7. Il settimo motivo è inammissibile.
La Corte di merito ha affermato che la illegittimità del termine
apposto al contratto comportava, sin dalla stipula dello stesso, la sua
trasformazione in rapporto a tempo indeterminato. Per effetto di tale
conversione, ha aggiunto, la lavoratrice aveva diritto al ripristino del
rapporto e al pagamento delle retribuzioni, ma ciò solo dal momento in cui
aveva offerto al datore di lavoro le proprie prestazioni lavorative, e cioè
dalla data di messa in mora costituita dalla richiesta del tentativo
obbligatorio di conciliazione.
La ricorrente, per contestare tali affermazioni, invoca il principio
della “corrispettività delle prestazioni”. Ma, la censura appare fuori luogo e
non correlata alle ragioni della decisione, avendo la Corte spiegato,
applicando i principi affermati in materia da questa Corte (cfr. Cass. n.
15515/09; Cass. n.15612/11), che il diritto alle retribuzioni spetta dal
momento dell’offerta della prestazione lavorativa e non già dall’effettivo
ripristino del rapporto, determinandosi da tale momento una situazione di
mora accipiendi del datore di lavoro, da cui deriva il diritto del lavoratore

(previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la

8

t

al risarcimento del danno nella misura delle retribuzioni perdute a causa
dell’ingiustificato rifiuto della prestazione.
.

Quanto alla affermazione della ricorrente, secondo cui il ricorso
introduttivo non conteneva l’offerta delle prestazioni lavorative, deve
rilevarsi che, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per
cassazione, la ricorrente non offre elementi per la valutazione della
censura, omettendo di precisare in quali termini è stato effettuato il
tentativo obbligatorio di conciliazione ovvero di produrre, unitamente al
ricorso, tale documento (art. 369, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.),
ovvero ancora di indicare la sede processuale in cui esso risulta prodotto,
limitandosi ad una mera affermazione di segno diverso rispetto a quella
contenuta nella sentenza impugnata.
8. Con la memoria ex art. 378 cod. proc. civ., la ricorrente, nel
rilevare che nel corso del giudizio è sopravvenuta la legge n. 183/10, art.
32, che ha disciplinato le conseguenze economiche in caso di conversione
del rapporto a termine, chiede che, in ogni caso, venga applicata tale
normativa.
La richiesta non può essere accolta, risultando inammissibile,
come sopra precisato, il motivo relativo alle conseguenze economiche
derivanti dalla illegittimità del termine apposto al secondo contratto.
Al riguardo, come più volte affermato da questa Corte, per poter
applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia
introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto
controverso, è necessario non solo che quest’ultima sia in qualche modo
pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione
della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli
specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 17974/11; Cass. 9583/11 cit; Cass.
10547/06; Cass. 4070/04), ma anche che il motivo di ricorso che investe,
anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, sia
ammissibile secondo la disciplina sua propria (v., fra le altre, Cass. 80/11;
Cass. 9583/11; Cass. 17974/11 cit.).

.

Non sussistendo nella specie tale ultima condizione, la normativa
sopravvenuta non è applicabile.
9. In conclusione, respinti il primo e il settimo motivo, vanno accolti
i motivi dal secondo al sesto limitatamente al primo contratto e rigettati
con riguardo al secondo. Le sentenze impugnate vanno cassate in relazione

la causa va decisa nel merito ex art. 384, secondo comma, cod. proc. civ.,
con la declaratoria di illegittimità (solo) del secondo contratto stipulato il 4
novembre 1998 e con la condanna di Poste Italiane S.p.A. al pagamento, a
favore della Agosta, a titolo risarcitorio, della somma di € 16.076,24, con

gli accessori di legge, somma determinata dalla Corte di merito su accordo
delle parti.
Va escluso il ripristino del rapporto, avendo la Agosta rinunciato
alla riammissione in servizio, come risulta dalla lettera a sua firma prodotta
dalla società ricorrente.
L’esito alterno dei giudizi di merito e quello del presente giudizio
giustificano la compensazione tra le parti delle spese dei giudizi di merito,
mentre non v’è luogo a provvedere sulle spese di questo giudizio, essendo
la lavoratrice rimasta intimata.
P.Q.M.
La Corte, respinti il primo ed il settimo motivo, accoglie per quanto di
ragione i motivi dal secondo al sesto. Cassa le sentenze impugnate in
relazione alle censure accolte e, decidendo nel merito, dichiara illegittimo
il contratto stipulato dalle parti il 4 novembre 1998 e condanna Poste
Italiane s.p.a. al pagamento, a favore di Agosta Lucia, della somma di E
16.076,24, con gli accessori di legge. c
Conferma le statuizioni sulle spese adottate dai giudici di merito. Nulla per
le spese del presente giudizio.
i,

Così deciso in Roma in data 9 luglio 2015.

alle censure accolte e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto,

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA