Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22134 del 14/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 14/10/2020, (ud. 16/09/2020, dep. 14/10/2020), n.22134

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1694-2019 proposto da:

C.M. e B.N., rappresentati e difesi

dall’Avvocato AGOSTA GIUSEPPE presso il cui studio a Roma, via

Riccardo Grazioli Lante 76, elettivamente domiciliano, per procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

S.R. e M.G., rappresentati e difesi dall’Avvocato

DE MICHELI CINZIA, presso il cui studio a Roma, via Tacito 23,

elettivamente domiciliano per procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la SENTENZA n. 5052/2018 della CORTE D’APPELLO DI ROMA,

depositata il 19/7/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/9/2020 dal Consigliere DONGIACOMO GIUSEPPE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato il gravame che C.M. e B.N. avevano proposto nei confronti della sentenza con la quale il tribunale aveva provveduto allo scioglimento della comunione relativa all’eredità di S.G..

C.M. e B.N., con ricorso notificato il 21/12/2018, hanno chiesto, per un motivo, la cassazione della sentenza, dichiaratamente notificata il 22/10/2018.

S.R. e M.G. hanno resistito con controricorso.

I ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con l’unico motivo articolato, i ricorrenti, lamentando l’omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che le contestazioni sollevate dagli appellanti in ordine alla valutazione degli appartamenti oggetto di divisione (“l’appartamento al piano terreno è per la sua naturale collocazione più umido, l’altezza del soffitto è leggermente inferiore…, la superficie calpestabile è leggermente inferiore, il piano terra è meno appetibile del primo piano”), pur non essendo affatto “cervellotiche”, erano infondate sul rilievo che il maggior valore dell’appartamento al piano terra deriva dal fatto che tale immobile è stato ristrutturato di recente e che gli appellanti non hanno proposto alcuna domanda di rimborso delle spese asseritamente affrontate.

1.2. La corte d’appello, però, hanno osservato i ricorrenti, così facendo, si è limitata all’esame solo dei lavori eseguiti sull’immobile dagli stessi occupato, omettendo totalmente ogni valutazione in ordine alle contestazioni che gli stessi, quali appellanti, avevano formulato in ordine all’occupazione del compendio immobiliare ed alla determinazione del conguaglio, vale a dire che: – il consulente tecnico d’ufficio aveva attribuito agli appartamenti il medesimo valore al metro quadro nonostante che l’appartamento loro assegnato è collocato al piano terra mentre quello assegnato alla Severoni è al primo piano; – il consulente tecnico d’ufficio non aveva tenuto conto del fatto che la superficie calpestabile, e cioè al netto delle tramezzature interne e delle mura perimetrali, dell’appartamento al piano terra, di più antica costruzione, è minore rispetto a quella dell’appartamento al primo piano; – il consulente tecnico d’ufficio non aveva tenuto conto del fatto che l’appartamento al piano terra ha soffitti più bassi rispetto a quello al primo piano.

1.3. Il consulente tecnico d’ufficio, inoltre, hanno aggiunto i ricorrenti, ha affermato che la differenza di stima tra le due unità immobiliari è determinata dal fatto che l’una, a differenza dell’altra, è stata oggetto di recenti lavori di ristrutturazione, con la conseguenza, assurda sul piano logico prima ancora che giuridico, non solo che il Caratelli ha eseguito a proprie spese lavori di miglioria dell’immobili da lui abitato ma pure che l’esecuzione di tali lavori attribuisce al proprio immobile un valore più alto che dovrebbe ripagare alla controparte.

1.4. Il motivo è infondato.

1.5. La corte d’appello, in effetti, dopo aver evidenziato che l’appello proposto da C.M. e B.N. aveva riguardato esclusivamente la valutazione dei due appartamenti oggetto di divisione, ha ritenuto che le contestazioni sollevate sul punto dagli appellanti (“l’appartamento al piano terreno è per la sua naturale collocazione più umido, l’altezza del soffitto è leggermente inferiore…, la superficie calpestabile è leggermente inferiore, il piano terra è meno appetibile del primo piano”), pur non essendo affatto “cervellotiche”, erano infondate.

1.6. Gli appellanti, ha osservato la corte, si dolgono del fatto che “non si è tenuto conto dello stato dei luoghi all’epoca della controversia e delle spese necessarie che gli utilizzatori del piano terra hanno sostenuto per rendere gli ambienti in sicurezza ed in condizioni igienico-sanitarie accettabili”. La corte, sul punto, dopo aver premesso che nel corso del processo sono state esperite due consulenze tecniche risultate concordanti sul valore degli appartamenti, ha ritenuto che il maggior valore dell’appartamento al piano terra derivava dal fatto che tale appartamento era stato ristrutturato di recente e che i consulenti non potevano che valutare gli immobili “nello stato in cui li hanno trovati”, rimanendo irrilevante il fatto che gli appellati fossero a conoscenza della ristrutturazione operata dagli appellanti.

1.7. Inoltre, ha aggiunto la corte, il coerede che abbia migliorato i beni comuni da lui posseduti, pur non potendo invocare l’applicazione dell’art. 1150 c.c., che riconosce il diritto ad una indennità, può pretendere il rimborso delle spese eseguite per la cosa comune, le quali si ripartiscono al momento della attribuzione delle quote, secondo il principio nominalistico, dato che lo stato di indivisione riconduce all’intera massa i miglioramenti.

1.8. Gli appellanti, quindi, ha concluso la corte, non possono pretendere una diversa valutazione degli immobili poichè avrebbero dovuto proporre una domanda di rimborso delle spese asseritamente affrontate che non hanno, invece, proposto.

1.9. La sentenza impugnata, dunque, pur non rispondendo specificamente ai singoli rilievi svolti dagli appellanti (“l’appartamento al piano terreno è per la sua naturale collocazione più umido, l’altezza del soffitto è leggermente inferiore…, la superficie calpestabile è leggermente inferiore, il piano terra è meno appetibile del primo piano”), ha, comunque, esaminato il fatto decisivo e rilevante ai fini della decisione, vale a dire lo stato di fatto degli immobili (ivi comprese, dunque, la superficie e la collocazione) oggetto della divisione. Ed è noto, in effetti, che, secondo l’interpretazione di questa Corte, l’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo applicabile ratione temporis, così come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), e che tale vizio non sussista tutte le volte in cui, com’è accaduto nel caso in esame, il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice di merito, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. SU n. 8053 del 2014).

1.10. Costituisce, peraltro, un “fatto” ai fini di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 un vero e proprio fatto, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante. E’, quindi, inammissibile l’invocazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 per sostenere, come invece hanno preteso di fare i ricorrenti, il mancato esame delle critiche rivolte agli elaborati peritali, al pari delle allegazioni difensive a contenuto tecnico dagli stessi formulate (cfr. Cass. n. 27415 del 2018, in motiv.).

1.11. In ogni caso, il giudice del merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia

Ric. 2019 n. 1694 – Sez. 6-2 – c.c. 16 settembre 2020 tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento, e non deve necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte, che, sebbene non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perchè incompatibili (cfr. Cass. n. 18616 del 2017, in motiv.).

1.12. Quanto al resto, la corte d’appello, lì dove ha ritenuto che gli appellanti potevano pretendere non già una diversa valutazione dell’immobile ristrutturato ma solo il rimborso delle spese asseritamente affrontate a tal fine, ha fatto corretta applicazione del principio per cui le migliorie apportate da uno dei condividenti al bene comune vengono a far parte dello stesso per il principio dell’accessione, con la conseguenza che di esse deve tenersi conto ai fini della stima del bene medesimo, nonchè della determinazione delle quote e della liquidazione dei conguagli (Cass. n. 5527 del 2020). Il coerede il quale abbia migliorato i beni comuni da lui posseduti, pur non potendo invocare l’applicazione dell’art. 1150 c.c., che riconosce il diritto ad una indennità pari all’aumento di valore della cosa determinato dai miglioramenti, può, dunque, solo pretendere il rimborso delle spese eseguite per la cosa comune (Cass. n. 12345 del 1991; Cass. n. 6982 del 2009).

1.13. Il giudice di merito ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità, senza che i ricorrenti abbiano offerto ragioni sufficienti per mutare tali orientamenti. Il ricorso, pertanto, a norma dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, è inammissibile: e come tale dev’essere dichiarato.

1.14. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

1.15. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso; condanna i ricorrenti a rimborsare ai controricorrenti delle spese di lite, che liquida nella somma di Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile – 2, il 16 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2020

 

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