Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22130 del 11/09/2018

Cassazione civile sez. VI, 11/09/2018, (ud. 18/07/2018, dep. 11/09/2018), n.22130

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – rel. Presidente –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4873/2016 proposto da:

P.E., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati

AMINTA D’ANIELLO, NICOLA BELSITO;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati

VINCENZO TRIOLO, VINCENZO STUMPO, ANTONIETTA CORETTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 973/2015 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 28/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 18/07/2018 dal Presidente Relatore Dott. ADRIANA

DORONZO.

Fatto

RILEVATO

che:

P.E. ha chiesto al Tribunale di Salerno decreto ingiuntivo nei confronti dell’Inps, avente ad oggetto la somma di Euro 1170,10 a titolo di adeguamento dell’indennità di disoccupazione agricola, già riconosciuta da una sentenza del Pretore di Salerno n. 310/1997; il decreto ingiuntivo è stato opposto dall’Inps e il tribunale di Salerno, in accoglimento dell’opposizione, ha revocato il decreto ingiuntivo sul rilievo che il debito era stato integralmente soddisfatto;

contro la sentenza la P. ha proposto appello e la Corte d’appello di Salerno lo ha rigettato;

a fondamento del decisum la corte territoriale ha ritenuto che non vi fossero elementi per affermare “la non satisfattorietà delle somme già corrisposte dall’Inps in forza della sentenza n. 310/1997 del Pretore di Salerno in assenza di sufficienti dati circa la prestazione corrisposta e da adeguare”;

contro la sentenza la P. propone ricorso per cassazione articolando due motivi, cui resiste con controricorso l’Inps;

la proposta del relatore è stata depositata ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. e ritualmente comunicata alle parti, insieme al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio;

la ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 2 e art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e si censura la sentenza nella parte in cui la Corte non ha considerato che la sentenza resa dal pretore di Salerno aveva determinato i criteri di adeguamento della prestazione dovuta, ancorchè essi non fossero stati sufficienti per il giudice dell’esecuzione; il giudice di merito avrebbe dovuto verificare anche a mezzo di una consulenza tecnica d’ufficio la correttezza dei calcoli posti a base del decreto ingiuntivo e la loro rispondenza a quanto già stabilito nella precedente sentenza;

con il secondo motivo si denuncia la violazione del principio del ne bis in idem rilevando come non vi sarebbe alcuna violazione del giudicato perchè – proprio in ragione della asserita (dal giudice dell’esecuzione, dinanzi al quale era stata azionata la sentenza del pretore) genericità della sentenza n. 310/1997, e dunque della sua inidoneità a costituire titolo esecutivo – era stato necessario adire il tribunale per ottenere la determinazione del quantum a lei spettante;

entrambi i motivi sono inammissibili;

la corte territoriale ha ritenuto che non vi fossero sufficienti elementi di prova in ordine alla prestazione corrisposta e da adeguare, richiamando alcune pronunce di questa Corte (per tutte, Cass. 2/4/2009, n. 8067, secondo cui “La sentenza di condanna dell’INPS al pagamento, in favore del creditore, di una prestazione, quale le differenze spettanti a titolo di indennità di disoccupazione, costituisce valido titolo esecutivo, che non richiede ulteriori interventi del giudice diretti all’esatta quantificazione del credito, solo se tale credito risulti da operazioni meramente aritmetiche eseguibili sulla base dei dati contenuti nella sentenza; se, invece, dalla medesima sentenza di condanna non risulta (come nella specie) il numero delle giornate non lavorate nelle quali sia maturata l’indennità giornaliera, così da rendersi necessari per la determinazione esatta dell’importo elementi estranei al giudizio concluso e non predeterminati per legge, la sentenza non costituisce idoneo titolo esecutivo ma è utilizzabile solo come idonea prova scritta per ottenerlo nei confronti del debitore in un successivo giudizio”);

a fronte di questa unica ratio decidendi, era onere della ricorrente indicare gli elementi di prova, emergenti dalla sentenza n. 310/1997 o da altra documentazione dal questa richiamata, necessari per la quantificazione del credito, e in particolare per la determinazione del numero delle giornate non lavorate per le quali sarebbe stata corrisposta l’indennità di disoccupazione da rivalutare;

tali elementi non sono evincibili dallo stralcio della sentenza n. 310/1997 riportata in ricorso, nè risultano trascritti e depositati unitamente al ricorso per cassazione gli estratti contributivi relativi agli anni in questione da cui, secondo la stessa sentenza, sarebbe desumibile il dato numerico in questione; nè, infine, la parte specifica quali ulteriori elementi di prova avrebbe offerto e che non sarebbero stati valutati o sarebbero stati mal valutati dal giudice del merito, apparendo al riguardo del tutto inidoneo allo scopo il riferimento a n. 149 giornate contenuto nel ricorso per decreto ingiuntivo (e riportato a pag. 6 del ricorso), trattandosi di una mera affermazione;

in questa prospettiva, non può profilarsi alcuna violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., la quale è integrata solo allorchè si alleghi che il giudice del merito abbia, rispettivamente, posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, ovvero abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. 27/12/2016, n. 27000; Cass. 19/06/2014, n. 13960);

infine, è inammissibile la censura della sentenza nella parte in cui il giudice di merito non ha disposto la consulenza tecnica d’ufficio, essendo nel suo potere, senza che si determini alcuna violazione del principio della disponibilità delle prove, ammettere esclusivamente le prove che ritenga motivatamente rilevanti ed influenti al fine del giudizio richiestogli e negare (o rifiutarne l’assunzione se già ammesse: v. art. 209 c.p.c.) le altre (fatta eccezione per il giuramento) che reputi del tutto superflue e defatigatorie (Cass. 7 dicembre 1974, n. 4090; Cass. 20 aprile 1973, n. 1141; Cass. 24 ottobre 1970, n. 2141);

ne consegue l’inammissibilità della doglianza prospettata sotto il profilo della violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (Cass. 19 giugno 2014, n. 13960; Cass., 20 dicembre 2007, n. 26965);

il secondo motivo di ricorso è del pari inammissibile perchè esso non scalfisce l’unica ratio decidendi posta a base della decisione (e su evidenziata), dovendosi ritenere che la considerazione della corte salernitana circa la contraddittorietà della tesi dell’appellante (punto n. 7 della sentenza) appare del tutto superflua rispetto al complesso motivazionale ed inidonea ad influire sulla decisione adottata, per essere questa fondata su altra e corretta ratio decidendi;

il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, nella misura liquidata in dispositivo. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 1.000,00 per compensi professionali e Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario nella misura del 15% delle spese generali e agli altri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 18 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2018

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