Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22130 del 03/08/2021

Cassazione civile sez. trib., 03/08/2021, (ud. 10/06/2021, dep. 03/08/2021), n.22130

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9492 del ruolo generale dell’anno 2015

proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

FCF Forniture Cinefoto s.p.a., in persona del legale rappresentante,

rappresentata e difesa per procura speciale a margine del ricorso,

dall’Avv. Giancarlo Greco, elettivamente domiciliata in Roma, viale

Santa Teresa, n. 23, presso lo studio dell’Avv. Paolo Grimaldi;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Sicilia, n. 1086/30/2014, depositata in data 1

aprile 2014;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 10

giugno 2021 dal Consigliere Giancarlo Triscari.

 

Fatto

RILEVATO

che:

dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a FCF Forniture Cinefoto s.p.a. un avviso di accertamento con il quale, relativamente all’anno di imposta 2003, aveva contestato, ai fini Irpef, Irap e Iva, la non deducibilità dei costi di cui alle fatture emesse dalla ditta C. per servizi di trasporto, scarico e facchinaggio di merci; avverso l’atto impositivo la società aveva proposto ricorso che era stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Palermo; avverso la sentenza del giudice di primo grado l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale della Sicilia ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che: i costi erano deducibili, avuto riguardo alla presenza di rivenditori autorizzati in diverse province cui consegnare la merce nonché alle dichiarazioni del titolare della ditta che aveva emesso le fatture; sussistevano, inoltre, tutti i requisiti di certezza, oggettiva determinabilità e inerenza all’attività di impresa, nonché la congruità dei costi rispetto ai ricavi;

avverso la suddetta pronuncia ha quindi proposto ricorso l’Agenzia delle entrate affidato a tre motivi di censura;

la contribuente si è costituita depositando controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36;

in particolare, parte ricorrente censura la sentenza per avere definito la questione con una motivazione meramente apparente, e, sotto tale profilo, evidenzia che la questione di fondo, sulla quale il giudice era chiamato a pronunciare riguardava l’incertezza, in fattura, degli elementi indicativi della natura, quantità e qualità dei servizi prestati, con conseguente onere di prova a carico della contribuente circa l’inerenza, congruità ed effettività dei costi sostenuti;

sotto tale profilo, evidenzia che la sentenza censurata non ha motivato in ordine alla questione alla stessa prospettata, non potendo rilevare, atteso il valore indiziario, le dichiarazioni rese dal terzo nonché la riscontrata incidenza del tre per cento dei costi sui ricavi, profilo meramente affermato senza alcun concreto riscontro; il motivo è fondato;

va disattesa, in primo luogo, l’eccezione di inammissibilità del motivo, proposta dalla controricorrente, basata sulla considerazione che sarebbe stata censurata la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, e, al contempo, la carenza di motivazione;

in realtà, il riferimento alla previsione contenuta nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, è conferente con il dedotto error in procedendo, cioè con la violazione di una norma processuale che richiede, in particolare, l’obbligo di motivazione della sentenza;

priva di rilievo, inoltre, è l’eccezione di inammissibilità del motivo ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., prospettata in considerazione del fatto che non sarebbe stato individuato il profilo per cui questa Corte si dovrebbe discostare dalla pronuncia di appello, circostanza che, in realtà, non è conferente con i presupposti di inammissibilità di cui al cit. art. 360-bis, c.p.c. che presuppone, invero, che il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa;

infine, va altresì disattesa l’ulteriore eccezione di inammissibilità del motivo per mancata individuazione del punto della sentenza che sarebbe stato omesso, nonché per difetto di autosufficienza;

in realtà, parte ricorrente ha evidenziato che, attesa la ragione della pretesa, derivante dall’incertezza, in fattura, degli elementi indicativi della natura, quantità e qualità dei servizi prestati, il giudice del gravame doveva verificare ed accertare se era stato assolto l’onere di prova a carico della contribuente circa l’inerenza, congruità ed effettività dei costi sostenuti e che, sul punto, la pronuncia censurata non avrebbe in alcun modo pronunciato sulla questione;

né può ragionarsi in termini di difetto di specificità del motivo, posto che parte ricorrente ha riprodotto il contenuto degli atti difensivi da cui evincere qual era la ragione della pretesa, peraltro sostanzialmente riscontrabile, sotto tale profilo, dall’esposizione in fatto della sentenza censurata;

ciò precisato, va osservato che la questione di fondo, sulla quale il giudice del gravame era chiamato a pronunciare, riguardava l’assolvimento, da parte della contribuente, dell’onere di prova, su di essa gravante, in ordine all’effettivo sostenimento delle spese di cui alle fatture passive emesse dalla ditta C., tenuto conto del fatto che la pretesa dell’amministrazione finanziaria derivava dall’incertezza dei dati risultanti dalle suddette fatture;

in termini generali, va osservato che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 2, lett. g), prevede che la fattura deve contenere, fra l’altro, l’indicazione della natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto dell’operazione;

tali specifiche indicazioni rispondono ad una oggettiva finalità di trasparenza e di conoscibilità essendo funzionali a consentire l’espletamento delle attività di controllo e verifica da parte dell’amministrazione finanziaria e, segnatamente, in questa ottica, a rendere possibile l’esatta e precisa identificazione dell’oggetto della prestazione;

in questo contesto, va anche precisato che, qualora l’amministrazione finanziaria contesti indebite deduzione di costi in quanto le fatture delle operazioni sono prive di specifiche indicazioni che consentano di accertare l’entità e la natura delle prestazioni ricevute, di per sé, quindi, non idonee a giustificare la deduzione dei costi in assenza di corrispondente prestazione, grava sul contribuente che rivendichi la legittimità della deduzione degli esborsi fatturati l’onere di fornire prova della effettiva esistenza delle operazioni;

la fattura, invero, costituisce, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, un documento idoneo a rappresentare operazioni rilevanti ai fini fiscali, ma in presenza di incertezza degli elementi indicativi della natura, qualità e delle prestazioni svolte, dunque di quegli elementi in presenza dei quali soltanto può ritenersi sussistente la corrispondente prestazione commerciale, perde l’anzidetta idoneità, così determinandosi lo spostamento a carico del contribuente dell’onere di dimostrare la effettiva esistenza delle operazioni;

questa Corte ha più volte precisato che, a norma dell’art. 109 TUIR, comma 4, lett. b), ultimo periodo, i costi e le spese afferenti ricavi che non sono stati imputati al conto economico possono essere comunque dedotti soltanto se risultano da “elementi certi e precisi” con onere della prova a carico del contribuente, sicché è necessario che il contribuente fornisca concreti elementi di prova, non mediante affermazioni, di carattere generale o il richiamo a semplici presunzioni (Cass. civ., n. 1898/2016; n. 6425/2011; n. 25365/2007);

con riferimento al caso di specie, la pronuncia censurata ha ritenuto provata l’effettività dei costi, facendo riferimento, in primo luogo, al fatto che vi erano diversi rivenditori da rifornire nonché alla dichiarazione resa dal soggetto che aveva emesso le fatture, il quale aveva dichiarato di avere avuto un rapporto decennale con la società contribuente;

questa motivazione, tuttavia, assume connotazioni del tutto astratte, estranee alla necessità di individuare, come detto, elementi certi e precisi sui quali fondare la legittimità della deduzione dei costi quando le fatture risultino generiche;

la circostanza che vi erano diversi fornitori cui consegnare la merce ovvero l’esistenza dei rapporti decennali con il trasportatore nulla dice, sotto il profilo della valenza probatoria, in ordine alla natura, quantità, qualità del trasporto, e non consente, quindi, di accertare l’effettività dei costi dedotti;

del tutto generica, poi, è l’ulteriore affermazione secondo cui “esistevano, inoltre, i requisiti giuridici rilevanti per la deducibilità dei costi, quali la competenza, la certezza, l’oggettiva determinabilità e la stretta inerenza all’attività di impresa” nonché il riferimento alla “congruità rispetto ai ricavi con la prospettata incidenza delle spese di trasporto nella percentuale del 3%”, non essendo stato in alcun modo precisato sulla base di quali elementi fattuali il giudice del gravame ha ritenuto di dovere pervenire alle riportate conclusioni; sotto tale profilo, la motivazione sul punto è apparente in quanto, al di là di quanto in essa riportato, non consente di apprezzare sulla base di quale ragionamento logico giuridico ha ritenuto di pervenire alla conclusione della legittimità della deduzione dei costi;

l’accoglimento del primo motivo di ricorso comporta l’assorbimento del secondo, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione dell’art. 2697 c.c., nonché del terzo, con il quale si censura la sentenza a sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21;

in conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti, con conseguente cassazione della sentenza e rinvio alla Commissione tributaria regionale, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

PQM

La Corte:

accoglie il primo motivo, assorbiti i restanti, cassa la sentenza censurata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2021

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