Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2213 del 31/01/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 2213 Anno 2014
Presidente: ADAMO MARIO
Relatore: CONTI ROBERTO GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso 24494-2008 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente 2013
3534

contro

EAST WEST SRL in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA
GIUSEPPE FERRARI 2, presso lo studio dell’avvocato
STEFANORI ANGELO, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato CASTALDO GUGLIELMO giusta

Data pubblicazione: 31/01/2014

delega a margine;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 52/2007 della COMM.TRIB.REG.
di PERUGIA, depositata il 06/07/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

GIOVANNI CONTI;
udito per il ricorrente l’Avvocato FIDUCCIA che ha
chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato STEFANORI
che ha chiesto l’inammissibilità;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. VINCENZO GAMBARDELLA che ha concluso
per l’accoglimento del ricorso.

udienza del 09/12/2013 dal Consigliere Dott. ROBERTO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
I .L’Agenzia delle entrate di Perugia emetteva nei confronti della EAST-WEST srl, società operante
nel settore della produzione di calzature, un avviso di accertamento, notificato il 24.9.2008, con il
quale disponeva la ripresa tassazione per IVA relativa all’anno d’imposta 2000 in misura di £.
1.113.893,21, irrogando le relative sanzioni.
2.Secondo l’Ufficio la società contribuente aveva indebitamente fruito del regime di esenzione di
imposta previsto dall’art.8 comma 2 DPR n.633/72 in misura superiore a quello spettante, avendo

le cessioni all’esportazione.
3.La società contribuente impugnava l’avviso innanzi alla CTP di Perugia che accoglieva il ricorso.
4.Contro la decisione di primo grado l’Agenzia delle entrate interponeva appello innanzi alla CTR
dell’Umbria che, con sentenza n.52/1/2007, depositata il 6 luglio 2007, nel contraddittorio con la
società contribuente che aveva, sua volta, proposto appello incidentale, respingeva l’impugnazione.
4.11 giudice di appello premetteva che, anche a volere ritenere che la società contribuente avesse
effettuato cessioni in conto lavorazione, la stessa avrebbe dovuto applicare l’IVA all’atto della
reintroduzione della merce in Italia, sicchè l’operazione si sarebbe conclusa senza determinare alcun
pregiudizio all’erario.
4.1 Aggiungeva che l’avviso di accertamento non conteneva alcun recupero di IVA, ma soltanto
l’irrogazione della sanzione.
4.2 Esponeva, ancora, che dall’analisi dei contratti stipulati con gli operatori esteri -Rosada e
Wizard- era risultato che:a) tali rapporti negoziali avevano un contenuto non ascrivibile ad
operazioni di esportazione in conto lavorazione, prevedendo una esportazione sotto forma di
vendita con trasferimento della proprietà;b) esisteva la prova contraria all’esportazione transitoria,
costituita da tutta la documentazione contabile e doganale, ritenuta valida e non disconosciuta dagli
uffici fiscali, che dimostrava l’esistenza di cessioni definitive all’esportazione.
4.3 Secondo la CTR, dalla documentazione prodotta dalla società e rinvenuta anche dai verificatori
si rilevava, “…chiaramente che le esportazioni di merce sono state effettuate come vendite con
efficacia traslativa e che i rapporti intercorsi…” erano quelli indicati nei documenti amministrativi,
contabili e soprattutto doganali. Ragion per cui l’ipotizzata cessione di merce in conto lavorazione
non trovava alcun riscontro.
5.L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, al quale ha
resistito la società contribuente con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE

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considerato operazioni qualificabili come esportazioni in conto lavorazione che non rientravano tra

6. Con il primo motivo l’Agenzia deduce il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione, in
relazione all’art.360 comma 1 n.5 c.p.c.
6.1 Lamenta che la Guardia di finanza, nel redigere il processo verbale di constatazione sul quale si
era fondato l’avviso, aveva ritenuto che tanto i contratti stipulati fra la società contribuente e due
ditte stabilite rispettivamente in Romania- Rosada SA- ed in Serbia- WIZARD INTERNATIONAL
D.0.0 che le modalità effettive di svolgimento dei rapporti inducevano ad escludere l’insussistenza
del passaggio di proprietà da un soggetto ad un altro, mantenendo la società italiana la signoria

potendo disporne.
6.3 Aggiunge che in sede di appello l’Ufficio aveva evidenziato che il giudice di primo grado non
aveva tenuto conto del contenuto dell’allegato 5 al processo verbale del 15.2.2001, nel quale erano
descritti i rapporti fra contribuente e WIZARD. Evidenzia che rispetto a tale situazione processuale
la sentenza impugnata mostrava evidenti carenze motivazionali, non avendo esposto alcun
argomento in ordine al contenuto dei singoli contratti ampiamente riportati nel p.v.c.
6.4 La motivazione era da ritenere parimenti contraddittoria ed illogica in quanto, anziché limitarsi
ad esaminare il contenuto dei contratti, aveva fatto riferimento ad ulteriori elementi tratti dalla
documentazione contabile e doganale, senza considerare che i primi, di provenienza della società,
non avevano alcuna rilevanza, mentre i secondi erano inidonei, per loro natura, a dimostrare
l’esistenza del presupposto necessario ai sensi dell’art.2 del DPR n.633/72 per qualificare
un’operazione come cessione.
6,5 Aggiunge che se la CTR avesse ponderato le circostanze sopra rammentate, la stessa sarebbe
pervenuta alla conclusione che, pur in presenza di una documentazione che formalmente qualificava
tali scambi come operazioni di compravendita, al cessionario era precluso ogni diritto di godimento
del bene e, quindi la piena proprietà, così confermando le conclusioni dell’Ufficio.
6.6 Deduce, ancora, che non era necessario censurare le premesse della sentenza, non avendo il
giudice di appello compreso i motivi dell’accertamento a carico della società contribuente, correlati
all’impossibilità del contribuente esportatore abituale di fruire del regime di cui all’art. 8 c.2 DPR
n.633/72 per gli acquisti eccedenti detto plafond.
7.Con il secondo motivo l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione degli artt.2 comma 1 e
8 commi 1 lett.a) e 2 del DPR n.633/72, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c.
7.1 Lamenta che la CTR aveva ritenuto ricorrere l’ipotesi di cessione all’esportazione sulla base
della documentazione doganale, dalla quale risultava che la società aveva effettuato esportazioni e
successive importazioni in via definitiva.

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sulla cosa che le società estere non avevano, non potendo godere in via autonoma dei beni ne

7.2 Così facendo, il giudice di appello aveva tuttavia violato le disposizioni normative sopra evocate
che rinviavano, quanto all’individuazione dell’esistenza o meno di un trasferimento della proprietà,
alla disciplina civilistica e non a quella doganale la quale, peraltro, lasciava libero il soggetto di
effettuare importazioni definitive anche in caso di lavorazioni all’estero, essendo la temporanea
esportazione di cui all’art.199 del TULD una scelta discrezionale dell’operatore economico.
7.3 Formulava il seguente quesito di diritto: Dica la Corte se la natura di cessione all’esportazione
di cui all’art.8 comma 1 lett.a) del DPR n.633/72 idonea ad incrementare il plafond di cui al

all’estero per lavorazione sia stata esportata e reimportato in via definitiva a fini doganali o se
invece tale circostanza si irrilevante, essendo necessario accertare in concreto l’avvento
trasferimento della proprietà ovvero costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento a
titolo oneroso ai sensi dell’art.2 comma 1 del DPR n. 633/172. Dica altresì la Corte se
conseguentemente sia illegittima una sentenza che ritenga legittimamente formato il plafond sulla
base della sola documentazione doganale.
8.La società contribuente, nel controricorso, ha dedotto gradatamente l’inammissibilità e
l’infondatezza delle censure esposte dall’Agenzia.
8.1 Quanto al primo motivo, evidenzia che la censura sì appuntava, in realtà, sulla corretta
applicazione di norme di diritto e non sulla correttezza motivazione della sentenza, in ogni caso
tentando di inserire una rivalutazione degli elementi di fatto inammissibile in sede di legittimità.
8.2 Peraltro, era carente la decisivita’ dei rilievi, incentrandosi sull’asserito non corretto esame di
contratti che non erano rilevanti, in quanto temporalmente non applicabili, avendo quello relativo
alla società Rosada, datato 31.10.1994, durata triennale e quello con la società Wizard, datato
4.1.1996, valore fino al 31.12.2006, nè avendo avuto la società contribuente più rapporti con la
detta società dalla fine dell’anno 1996.
8.3 Aggiunge, ancora, che il contratto non poteva essere esaminato ed era inutilizzabile per
violazione dell’art.58 d.lgs.n.546/92, come eccepito da essa stessa già in sede di memoria di
costituzione nel giudizio di appello.
8.4 Evidenzia, nel merito della prima censura, che la stessa era comunque infondata, apparendo la
motivazione della sentenza impugnata corretta e compiutamente motivata in relazione al composito
esame delle emergenze probatorie esaminate dalla CTR. Ed infatti, dall’esame letterale dei contratti
intercorsi fra la società contribuente e gli operatori esteri nonché dalla documentazione esistente
risultava in modo inconfutabile l’esistenza di vendite traslative della merce ed anche la piena
disponibilità dei beni da parte delle società estere, le quali pure potevano cedere la merce a terzi.
Esisteva, ancora, altra decisione della CTP che, per lo stesso soggetto e per la stessa questione, però
3

comma 2 dello stesso articolo, possa essere desunta dalla sola circostanza che la merce inviata

relativa all’anno 1996, aveva acclarato l’inesistenza di irregolarità e l’inesistenza di cessioni di
merci in conto lavorazione.
8.5 Aggiunge che le premesse esposte dalla CTR erano corrette, non potendosi ipotizzare alcun
danno erariale anche nell’ipotesi di sussunzione delle operazioni tra le cessioni in conto lavorazione.
8.6 Assume, ancora, l’inammissibilità del secondo motivo di ricorso, in effetti concernente profili di
merito insindacabili dal giudice di legittimità. Senza dire che la CTR non aveva affatto fondato la
decisione in via prioritaria sulla documentazione doganale che era stata, invece, ponderata dal

8.7 Aggiunge, ancora, che sotto il profilo doganale si era certamente realizzata un’esportazione,
non essendosi la contribuente avvalsa del regime di perfezionamento passivo. Analoghe conclusioni
dovevano trarsi, poi, esaminando il regime di cui all’art.8 DPR n.633/72; solo una lettura
superficiale di tale disposizione consentiva di ritenere che le esportazioni erano integrate dal
trasporto o spedizione di beni all’estero a seguito di trasferimento del diritto di proprietà in cambio
del pagamento di corrispettivo. Ed infatti, la lettura comunitaria della disposizione interna alla luce
delPart.5 par. 1 della sesta direttiva CEE, imponeva di valorizzare il mero trasferimento del potere
di disporre di un bene materiale. Ciò che confermava la rilevanza delle dichiarazioni operate in sede
di esportazione innanzi alle autorità doganali.
8.8 In questa prospettiva, la necessità del pagamento di corrispettivo andava riletta e doveva
intendersi come espressione ellittica operante al solo fine di escludere le ipotesi di gratuita’
giuridica e non economica dell’operazione. Ciò avrebbe consentito di ritenere che le somme
compensate fra le parti – contribuente ed operatori esteri- integravano un vero e proprio
corrispettivo ai fini della legge IVA.
8.9 Tali conclusioni erano, del resto, confermate dalla circolare min. n.156/E del 15.7.99 e dalla
Risoluzione min. 11.2.98 che avevano qualificato come cessione all’esportazione un’ipotesi di
operazioni di lavorazioni all’estero.
8.10 Evidenzia, infine, che la CTR non aveva esaminato una serie di questioni sollevate nel corso
del giudizio tese a paralizzare la pretesa fiscale -esistenza di giudicato interno per acquiscienza in
relazione alla mancata impugnazione, in fase di appello, del capo che aveva accolto il ricorso in
accoglimento del motivo di illegittimità dell’accertamento per assenza di debito di imposta e danno
erariale, inutilizzabilità del contratto Wizard International DOO di cui all’allegato 5 perché prodotto
irritualmente in violazione dell’art.58 d.lgs. n.546/92, illegittimità dell’accertamento per violazione
dell’art.3 comma 3 1.n.241/1990 e 7 1.n.212/2000 nonché art.56 dpr n.633/72 illegittimità
dell’accertamento presuntivo per violazione dell’art.54 comma 3 dpr n.633/72, illegittimità
dell’accertamento per avere esteso immotivatamente la presunzione di cessione in conto
4

giudice di merito insieme agli altri elementi.

lavorazione, illegittimità dell’accertamento per legittimità delle cessioni all’esportazione definitiva e
delle sanzioni-.
9. Il primo motivo di ricorso è per più ragioni inammissibile.
9.1 Ed invero, le censure motivazionali ivi esposte, applicandosi Part.366 bis c.p.c. al presente
procedimento, sono prive dell’essenziale momento di sintesi che circoscriva puntualmente i limiti
della censura, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di
valutazione della sua ammissibilità (Cass.,sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603).

motivo di ricorso per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione qualora non sia stato
formulato il c.d. quesito di fatto, mancando la conclusione a mezzo di apposito momento di sintesi,
anche quando l’indicazione del fatto decisivo controverso sia rilevabile dal complesso della
formulata censura, attesa la “ratio” che sottende la disposizione indicata, associata alle esigenze
deflattive del filtro di accesso alla S.C., la quale deve essere posta in condizione di comprendere,
dalla lettura del solo quesito, quale sia l’errore commesso dal giudice di merito-cfr.Cass.n.24555/11.
9.2 E poiché manca un’autonoma esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione
al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la
dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione, la censura è
inammissibile.
9.3 H motivo è, d’altra parte, privo del requisito di autosufficienza.
9.4 Ed invero, stando alle prospettazioni esposte dall’Agenzia, le carenze motivazionali, sub specie
di insufficienza o contraddittorietà della motivazione, troverebbero fondamento precipuo nei
contratti stipulati dalla società contribuente con gli operatori esteri ai quali venivano consegnate
delle merci per essere lavorate e nuovamente riconsegnate alla detta società.Ma appare evidente che
la critica dell’Agenzia viene formulata riportando uno stralcio del processo verbale della Guardia di
Finanza nel quale gli organi accertatori, senza riportare il contenuto delle pattuizioni e dell’intero
contratto, hanno proceduto ad una valutazione del materiale negoziale. Afferma l’Agenzia che
proprio da tali contratti risultava l’esistenza di un’ipotesi di cessione in conto lavorazione non
assimilabile al trasferimento della proprietà che costituirebbe il dato essenziale al fine di
considerare l’esistenza di cessioni all’esportazione rilevanti ai fini della possibilità di costituire il
plafond di cui all’art.8 comma 2 dpr n.633/72.
9.5 Così facendo, però, questa Corte non è stata in alcun modo messa in condizioni di verificare se,
in effetti, il giudice di merito sia incorso nel dedotto vizio di contraddittorietà od insufficienza,
mancando la base sulla quale misurare il vizio stesso per come è prospettato dall’Agenzia.

5

Questa Corte, infatti, ha statuito che è inammissibile, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., il

9.6 Nè è ipotizzabile che la verifica della fondatezza della censura possa farsi sulle “valutazioni”
che la Guardia di Finanza ha espresso circa il contenuto dei due contratti conclusi fra la società
contribuente e gli operatori esteri.
9.7 D’altra parte, la stessa affermazione dell’Agenzia per cui la CTR avrebbe omesso di “valutare un
elemento decisivo ai fini della qualificazione delle operazioni come cessione o lavorazioni
all’estero” appare distonica rispetto all’operato della CTR la quale, per contro, dimostra di avere
esaminato i contratti Rosada e Wizard e di avere tratto il convincimento che gli stessi avevano “un

di esportazione sotto forma di vendita con trasferimento della proprietà”.
9.8 Parimenti inammissibile, per difetto di autosufficienza, appare la censura relativa al difetto di
logicità della motivazione per avere il giudice di appello fatto riferimento alla documentazione
contabile e doganale che non potevano dirsi idonee a dimostrare l’esistenza del presupposto
necessario ai sensi dell’art.2 dpr n.633/72.
9.7 Anche in questa circostanza, infatti, l’Agenzia avrebbe dovuto analiticamente indicare la
documentazione contabile e doganale che, a suo dire, sarebbe stata erroneamente ponderata dal
giudice di merito, essendo indiscutibile che quello stesso giudice, rispetto all’accertamento dei fatti
posti al suo vaglio, gode del potere di valutare gli elementi probatori offerti dalle parti secondo il
proprio libero convincimento e purché offra motivazione plausibile e logica del percorso seguito-v.,
ex plurimis, Cass.n. 9245/2007 e Cass.n.18644/1 1 -.
9.8 Ma è evidente che se la parte ricorrente prospetta un deficit di contraddittorietà della decisione
senza fornire a questa Corte gli elementi sui quali tale contraddittorietà si sarebbe fondata, risulta
impedito l’esame stesso della censura.
10. Passando all’esame del secondo motivo, lo stesso è parimenti inammissibile per le ragioni di
seguito esposte.
10.1 Ed invero, si è già visto nell’esposizione dello svolgimento del processo che la soluzione
espressa dalla CTR si è fondata su un composito compendio di elementi probatori, costituito dai
contratti intercorsi fra la società contribuente e gli operatori stranieri unitamente alla
documentazione amministrativa e contabile che, secondo la CTR, avrebbe confermato l’esistenza di
operazioni di vera e propria vendita con trasferimento della proprietà e non mere cessioni in conto
lavorazione.
10.2 Da ciò consegue che il prospettato vizio correlato al fatto che la CTR aveva desunto la
cessione di esportazione dalla “sola circostanza che la merce inviata all’estero per lavorazione sia
stata esportata e reimportata in via definitiva ai fini doganali” non risponde affatto alla sentenza del
giudice di appello e non può dunque giustificare il sindacato della Corte che, come è noto deve
6

contenuto non ascrivibile ad operazioni di esportazione in conto lavorazione prevedendo una forma

A
,

concludersi con una pronuncia del giudice nei limiti di un accoglimento o un rigetto del quesito
formulato dalla parte.
10.3 D’altra parte, inammissibile si rileva la censura che, sotto le mentite spoglie di un vizio di
violazione di legge, intende in realtà porre in discussione, contestandole, le valutazioni di merito
operate dalla CTR in ordine alla sussumibilità delle operazioni contrattuali nello stigma delle
vendite con trasferimento di proprietà come ritenuto dalla CTR, risultando tale sindacato possibile
solo con riferimento al vizio di motivazione, non ritualmente prospettato e nei limiti del controllo di

10.4 E’ dunque palese l’inammissibilità anche sotto tale profilo della censura.
11. Sulla base di tali considerazioni il ricorso va rigettato.
12. Le spese sguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo in favore della società
contribuente
P .Q.M.
la Corte
Rigetta il ricorso.
Condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese processuali che liquida in favore della
società contribuente in euro 20.000,00 per compensi oltre euro 200,00 per esborsi, oltre IVA e CPA.
Così deciso il 9 dicembre 2013 nella camera di consiglio della V sezione civile in Roma.

congruità e logicità della motivazione.

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