Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2213 del 27/01/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 27/01/2017, (ud. 15/12/2016, dep.27/01/2017),  n. 2213

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13419/2013 proposto da:

Z.A., in proprio e quale legale rappresentante della

Società A. ZAMBETTI S.R.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

BALDO DEGLI UBALDI 66, presso lo studio dell’avvocato SIMONA RINALDI

GALLICANI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

MASSIMO ROCCHI giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONINO SGROI,

CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE, giusta procura

speciale in calce al ricorso;

– resistente con procura –

avverso la sentenza n. 562/2012 della CORTE D’APRELLO di BRESCIA del

22/11/2012, depositata il 29/11/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/12/2016 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA;

udito l’Avvocato GIUSEPPE MATANO per delega dell’Avvocato ANTONINO

SGROI, difensore del resistente, che si riporta agli scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1 – Il Consigliere relatore, designato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., ha depositato in cancelleria la seguente relazione ex artt. 380 bis e 375 c.p.c., ritualmente comunicata alle parti:

“Con sentenza n. 562/2012 del 20/11/2012, la Corte d’Appello di Brescia, in parziale accoglimento dell’impugnazione proposta da Z.A., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della A. Z. s.r.l., confermava la legittimità del disconoscimento del rapporto di lavoro subordinato tra lo Z. e la A. Z. s.r.l. e, in riforma della decisione del Tribunale di Bergamo, disponeva la restituzione dei contributi indebitamente versati dalla società (di cui lo Z.A. era anche socio unico, come tale legittimato all’azione di restituzione) sulla posizione dello Z. nei dieci anni antecedenti la data della domanda (8/2/2011). Valorizzava la Corte territoriale il ruolo di amministratore unico svolto dallo Z. e riteneva che quest’ultimo non avesse allegato la presenza di altro soggetto che esercitasse in sua vece tali poteri (presupposto, questo, necessario, stante il criterio dell’effettività che regola il rapporto contributivo, per consentire di non escludere il vincolo della subordinazione).

Avverso l’anzidetta sentenza Z.A., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della A. Z. s.r.l., propone ricorso per cassazione fondato su tre motivi.

L’I.N.P.S. ha depositato procura in calce al ricorso notificato.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla mancata valutazione degli indici di subordinazione.

Il motivo è inconferente rispetto al decisum in quanto la Corte territoriale ha spiegato che non vi era stata da parte del ricorrente alcuna allegazione circa l’elemento indispensabile per l’eventuale configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato e cioè la presenza di altro soggetto che, al posto dello Z., esercitasse i poteri di amministrazione della società (ritenendo a tal fine irrilevante il controllo svolto per previsione ed imposizione di legge dal collegio sindacale). In sostanza la Corte territoriale ha ritenuto che, nel caso di specie, il ruolo di amministratore unico del ricorrente (il quale era anche socio unico) comportava di per sè il venir meno dell’elemento dell’intersoggettività, senza il quale è inconcepibile la stessa esistenza di un rapporto di lavoro subordinato – cfr. Cass. n. 13099 del 5 settembre 2003; Cass. n. 7312 del 22 marzo 2013; Cass. n. 24972 del 6 novembre 2013).

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2041 c.c., nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla restituzione di tutti contributi versati anche sotto il profilo dell’indebito arricchimento.

Anche tale motivo non intercetta il passaggio motivazionale in cui la Corte territoriale ha spiegato le ragioni per le quali era da ritenersi che, in ragione di un versamento contributivo avvenuto in carenza di presupposto assicurativo, dovesse considerarsi annullabile e rimborsabile la contribuzione versata nel termine decennale (avendo perso i relativi versamenti la natura contributiva) mentre dovevano considerarsi consolidati i contributi versati in precedenza ed utilizzabili ai fini del diritto al trattamento pensionistico (così escludendosi un indebito arricchimento).

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla mancata considerazione dei contributi versati in carenza di presupposti come contributi volontari utili ai fini del calcolo pensionistico.

Il motivo non è fondato.

Innanzitutto non è chiarito se tale richiesta (verosimilmente riferita alla posizione di Z.A. in proprio) sia stata ab initio corredata dagli elementi necessari ad una delibazione della stessa (domanda amministrativa all’I.N.P.S., intervenuta autorizzazione, riferibilità della stessa all’Assicurazione generale obbligatoria ovvero alla Gestione Separata; sussistenza presso la gestione eventualmente considerata dei requisiti di anzianità contributiva legislativamente previsti – del D.Lgs. 30 aprile 1997, n. 184, art. 5, comma 2 bis; della L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 69, comma 10; mancanza di cause ostative).

Inoltre, a fronte di una pronuncia sulla questione da parte del Tribunale (che, per quanto si evince dal ricorso per cassazione, aveva rilevato una evidente diversità della fattispecie della contribuzione volontaria), non emerge che in sede di atto di gravame il ragionamento del primo giudice sia stato adeguatamente censurato essendo stato il relativo rilievo affidato – pag. 5 dell’odierno ricorso – ad una tanto generica quanto meramente assertiva riconducibilità della fattispecie del disconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato all’ipotesi del rapporto cessato o interrotto per la quale è autorizzabile la contribuzione volontaria: “nel ricorso in appello ci si chiedeva il motivo per il quale…. l’annullamento del rapporto di lavoro non potesse essere equiparato alla cessazione o interruzione dell’attività lavorativa”.

In conclusione, si propone il rigetto del ricorso, con ordinanza ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5″.

2 – Non sono state depositate memorie ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

3 – Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla giurisprudenza di legittimità in materia e che ricorra con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375 c.p.c., n. 5, per la definizione camerale del processo.

4 – In conclusione il ricorso va rigettato.

5 – La regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità, nella misura liquidata in dispositivo tenuto conto dell’attività difensiva limitata alla sola discussione orale, non può che seguire la soccombenza.

6 – Il ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che ha integrato del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.

Essendo il ricorso in questione integralmente da respingersi, deve provvedersi in conformità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’I.N.P.S., delle spese processuali del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2017

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