Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22128 del 03/08/2021

Cassazione civile sez. trib., 03/08/2021, (ud. 10/06/2021, dep. 03/08/2021), n.22128

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24529 del ruolo generale dell’anno 2013

proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

C.G.;

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, n. 98/19/2012, depositata in data 29

novembre 2012;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 10

giugno 2021 dal Consigliere Giancarlo Triscari.

 

Fatto

RILEVATO

che:

dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a C.G. una cartella di pagamento, relativa all’anno 2005, con la quale, a seguito di controllo automatizzato, era stato contestato l’omesso versamento Iva, Irap e Irpef; avverso la cartella di pagamento la contribuente aveva proposto ricorso che era stato parzialmente accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Milano che, in particolare, relativamente all’omesso versamento Iva, aveva accertato che la contribuente aveva regolarizzato la posizione mediante ravvedimento operoso e, inoltre, relativamente alle altre imposte, che la medesima aveva compensato, nel 2009, il debito con un credito Iva del 2004; avverso la pronuncia del giudice di primo grado l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che: il credito Iva di cui la contribuente si era avvalsa per la compensazione del proprio debito Irpef e Irap non era stato contestato dall’amministrazione finanziaria; la contribuente, atteso il rilevante importo del debito, aveva correttamente ritenuto di compensarlo con il credito Iva;

avverso la suddetta pronuncia ha quindi proposto ricorso l’Agenzia delle entrate affidato a due motivi di censura;

la contribuente è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza per violazione del D.L. n. 78 del 2010, art. 31, per avere ritenuto legittima la compensazione del debito di imposta Irap e Irpef con il credito Iva, nonostante il fatto che la suddetta previsione consente solo la c.d. compensazione verticale, cioè fra debiti e crediti relativi alle medesime imposte;

il motivo è fondato;

la questione di fondo attiene alla compensabilità, nell’anno 2009, del credito Iva 2004 con un debito Irap e Iperf dell’anno 2005, iscritto a ruolo;

va precisato, in primo luogo, che, in materia tributaria, la compensazione è ammessa, in deroga alle comuni disposizioni civilistiche, soltanto nei casi espressamente previsti, non potendo derogarsi al principio secondo cui ogni operazione di versamento, di riscossione e di rimborso, ed ogni deduzione sono regolate da specifiche, inderogabili norme di legge. Tale principio non può, per costante giurisprudenza di questa Corte, considerarsi superato per effetto della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 8, comma 1 (c.d. statuto dei diritti del contribuente), il quale, nel prevedere in via generale l’estinzione dell’obbligazione tributaria per compensazione, ha lasciato ferme, in via transitoria, le disposizioni vigenti, demandando ad appositi regolamenti l’estensione di tale istituto ai tributi per i quali non era contemplato, a decorrere dall’anno d’imposta 2002 (Cass. civ., 26 gennaio 2021, n. 12136; Cass. civ., 22 ottobre 2020, n. 23099);

ciò premesso, va altresì evidenziato, con specifico riferimento alle previsioni normative che hanno contemplato e consentito la facoltà di procedere alla compensazione come modalità di estinzione del debito tributario, che: a) una prima forma di compensazione è stata prevista con riferimento a debiti e crediti riguardanti la medesima imposta e con limiti temporali (si tratta della cosiddetta “compensazione verticale” disciplinata del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 11, comma 3); b) la seconda forma di compensazione è stata prevista dal D.Lgs. 9 Luglio 1997, n. 241, art. 17, che ha esteso la possibilità di estinguere le obbligazioni attraverso la compensazione, ai tributi non omogenei, prevedendo la possibilità di applicare l’istituto della compensazione al momento del versamento unitario di diverse imposte e contributi (cosiddetta “compensazione speciale”); c) il legislatore, modificando successivamente il suddetto art. 17 (ad es., tramite la L. 23 dicembre 2000, n. 388, D.P.R. 14 ottobre 1999, n. 542, art. 28, artt. 4 ed 8), ha reso più ampia l’area di operatività della compensazione facendovi rientrare il ravvedimento operoso del contribuente e l’accertamento con adesione;

va quindi precisato che, con riferimento alla c.d. compensazione speciale, profilo che interessa ai fini della definizione della controversia, il D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 17, comma 1, stabiliva che: “I contribuenti eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all’INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto. Tale compensazione deve essere effettuata entro la data di presentazione della dichiarazione successiva”;

in sostanza, pur prevedendosi la facoltà di procedere alla compensazione del debito tributario anche utilizzando credito non omogenei, la stessa era subordinata a due specifiche condizioni: a) che il credito fosse relativo allo stesso periodo di insorgenza del debito; b) che la compensazione fosse effettuata entro la data di presentazione della dichiarazione successiva;

inoltre, la vicenda in esame si caratterizza anche per il fatto che il debito erariale, che la parte ha ritenuto di potere compensare con un proprio credito Iva, era stato iscritto a ruolo, essendo già stata notificata la cartella di pagamento per l’anno di imposta 2005, a seguito di controllo ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, al momento in cui era stata effettuata la compensazione;

sotto tale ulteriore profilo, va osservato che, con specifico riferimento alla c.d. compensazione speciale, il D.L. n. 78 del 2010, art. 31, ha previsto che: “A decorrere dal 1 gennaio 2011 (…) E’ comunque ammesso il pagamento, anche parziale, delle somme iscritte a ruolo per imposte erariali e relativi accessori mediante la compensazione dei crediti relativi alle stesse imposte, con le modalità stabilite con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, da emanare entro 180 giorni dall’entrata in vigore del presente decreto”;

in sostanza, con specifico riferimento alle somme iscritte a ruolo, il legislatore ha consentito la compensabilità speciale delle somme iscritte a ruolo, ma con decorrenza dal 1 gennaio 2011 e, al di fuori dei limiti previsti dal primo periodo dell’art. 31, cit. (importi iscritti a ruolo di ammontare superiore a 1.500,00 Euro per i quali sia scaduto il termine di pagamento) solo per i tributi erariali (quindi non anche per l’Irap) e per la compensazione dei crediti relativi alle stesse imposte;

come evidenziato dalla relazione di accompagnamento al D.L. n. 78 del 2010, infatti, la possibilità di compensazione anche in presenza di importi iscritti a ruolo “genera l’incongrua conseguenza di consentire la compensazione immediata (e dunque il mancato versamento delle imposte dovute) a chi è nel contempo debitore di altri importi iscritti a ruolo, anche di considerevole ammontare e risalenti nel tempo, e che si ostina a non pagare, costringendo gli organi della riscossione a defatiganti attività esecutive, spesso vanificate da deliberate spoliazioni preventive del patrimonio del debitore”;

con riferimento, quindi, al caso di specie, la facoltà compensazione del debito iscritto a ruolo non è stata correttamente esercitata, in quanto operante solo per le iscrizioni successive alla data dell’1 gennaio 2011 e per crediti relativi alle stesse imposte;

l’accoglimento del primo motivo di ricorso comporta l’assorbimento del secondo, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art., 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112, cod. proc., per non avere esaminato la questione della non correttezza della compensazione, essendo avvenuta mediante F24 in compensazione;

in conclusione, è fondato il primo motivo, assorbito il secondo, con conseguente accoglimento del ricorso e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la sentenza va cassata senza rinvio e, decidendo nel merito, va rigettato il ricorso originario del contribuente;

con riferimento alle spese di lite, vanno compensate quelle relative ai giudizi di merito; la intimata, inoltre, va condannata alle spese di lite del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il ricorso, cassa la sentenza censurata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario della intimata;

compensa le spese di lite relative ai giudizi di merito, condanna l’intimata al pagamento delle spese di lite del presente giudizio che si liquidano in complessive Euro 2.300,00, oltre spese prenotate a debito ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2021

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