Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22127 del 25/10/2011

Cassazione civile sez. lav., 25/10/2011, (ud. 29/09/2011, dep. 25/10/2011), n.22127

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 13794/2007 proposto da:

F.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BERGAMO

3, presso lo studio dell’avvocato ANDREONI AMOS, rappresentata e

difesa dall’avvocato DI STASI Antonio, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati MERCANTI

Valerio, LANZETTA ELISABETTA, TADRIS PATRIZIA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 36/2007 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 15/02/2007 R.G.N. 218/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

29/09/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO IANNIELLO;

udito l’Avvocato LANZETTA ELISABETTA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 15 febbraio 2007 e notificata il successivo 7 marzo, la Corte d’appello di Ancona ha confermato la decisione di primo grado di rigetto delle domande proposte da F.A.R. nei confronti dell’INPS – alle dipendenze del quale era transitata in forza della disciplina di mobilità volontaria dei dipendenti da pubbliche amministrazioni, provenendo dalla AUSL di Bologna ove era inquadrata nella sesta qualifica funzionale (poi categoria C, fascia 1), come “operatore professionale collaboratore assistente sanitaria” -, dirette ad ottenere l’inquadramento, dalla data del suo trasferimento all’INPS avvenuta il 16 settembre 1999, nella settima qualifica professionale, ruolo sanitario, di cui al C.C.N.L. parastato (poi divenuta Area C, livello 1), anzichè nella sesta qualifica funzionale (poi Area B2) come effettuato dall’INPS, con le conseguenze economiche e normative nonchè ad ottenere il risarcimento dei danni conseguenti alla dequalificazione e al demansionamento operato nei suoi confronti dall’INPS a seguito dell’errato inquadramento.

In proposito, la Corte territoriale ha rilevato che non aveva costituito oggetto di specifica contestazione da parte dell’appellante una delle tre ragioni del rigetto in primo grado delle domande, ognuna delle quali sarebbe stata di per sè sufficiente a sostenere la decisione. Si tratterebbe di quella relativa alla mancanza nella F. dei “requisiti culturali” per poter ricoprire, a norma del C.C.N.L. del comparto parastato, la posizione professionale nell’Area C, per il profilo professionale di infermiere, in particolare, il possesso del diploma universitario di infermiere professionale conseguito ai sensi della L. n. 502 del 1992, art. 6. I giudici hanno pertanto ritenuto per ciò stesso inaccoglibile l’appello, ricordando al riguardo la giurisprudenza costante di questa Corte suprema (Cass. nn. 7809/01).

In ogni caso, la Corte territoriale ha poi, per completezza, escluso che in materia di mobilità, anche tra diversi comparti, del personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni, la normativa di cui al D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 33 e successive modificazioni, la quale presenta i caratteri della specialità, consenta, i fini dell’inquadramento professionale nel nuovo comparto, l’esame delle mansioni svolte nel comparto di provenienza, attribuendo al riguardo rilevanza esclusivamente al dato formale della qualifica.

Avverso tale sentenza propone ora ricorso F.A.R., affidandolo a due articolati motivi.

Resiste alle domande l’INPS con rituale controricorso, depositando infine una memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Col primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 346 c.p.c., e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, che censura laddove ha ritenuto non oggetto di specifico motivo di appello il rigetto della domanda di superiore inquadramento per difetto del requisito culturale rappresentato dal possesso del diploma universitario di infermiere professionale, conseguito ai sensi della L. n. 502 del 1992, art. 6.

Anzitutto l’argomento non avrebbe una sua autonomia nell’economia della sentenza, in quanto sarebbe stato svolto dal Tribunale all’interno dell’opinione (errata alla stregua della giurisprudenza di questa Corte: cfr. Cass. S.U. n. 26420/06), secondo la quale col trasferimento si determinerebbe la novazione del rapporto di lavoro.

Avendo l’appellante contestato tale qualificazione col sostenere che il trasferimento realizza unicamente una modificazione dal lato soggettivo del rapporto di lavoro, con ciò stesso avrebbe altresì implicitamente escluso che fossero applicabili i requisiti contrattualmente stabiliti per l’accesso all’impiego nella qualifica rivendicata.

La ricorrente rileva comunque che l’art. 346 c.p.c., stabilisce la decadenza, in caso di mancata riproposizione in appello, delle sole domande ed eccezioni non accolte e non anche delle “frasi o motivazioni che si rinvengono nella sentenza di primo grado”.

2 – Col secondo motivo viene dedotta la violazione della L. n. 300 del 1970, art. 13 e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, nonchè il vizio di motivazione della sentenza. Essendo ormai acquisito che la mobilità volontaria tra diversi comparti dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni si attua con la prosecuzione dell’originario rapporto di lavoro, al relativo trasferimento sarebbe applicabile l’art. 13 S.L. e il suo omologo D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, che fanno divieto di attribuzione al dipendente di mansioni professionalmente inferiori a quelle in precedenza svolte; ne consegue che anche la disciplina della mobilità andrebbe interpretata alla luce di tale norma imperativa, rendendosi quindi necessario, all’occorrenza, operare la valutazione delle mansioni in precedenza svolte ai fini della attribuzione di mansioni simili nel diverso comparto, con conseguente riconoscimento della qualifica corrispondente.

Così sostenuti l’illegittima dequalificazione e il conseguente illegittimo demansionamento, la lavoratrice chiede altresì a questa Corte l’accertamento del suo diritto ad ottenere il conseguente risarcimento, quantificandolo o rinviando al giudice di merito per l’incombente.

Il primo motivo è manifestamente infondato.

Avendo la Corte territoriale esplicitamente affermato che quella relativa alla assenza nella appellante dei c.d. “requisiti culturali” aveva costituito autonoma ratio decidendi da parte del Tribunale, la diversa opinione della ricorrente, secondo la quale tale affermazione dipenderebbe dalla qualificazione della mobilità volontaria tra pubbliche amministrazioni dei relativi dipendenti in termini di novazione del rapporto di lavoro (ormai smentita da Cass. S.U. 12 dicembre 2006 n. 26420), avrebbe dovuto, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (su cui cfr., per tutte, recentemente, Cass. nn. 4201/10, 6937/10, 7161/10, 10605/10 e 11477/10), essere illustrata con la riproduzione del testo della sentenza di primo grado dal quale desumere la correttezza dell’assunto.

Viceversa, la ricorrente si limita a porre in ricorso, tra virgolette, alcune brevi espressioni, senza specificare se siano tratte dalla sentenza di primo grado o riflettano censure svolte in appello, le quali comunque non appaiono in alcun modo significative del collegamento che si sostiene operato dalla sentenza del Tribunale, impedendo così l’esercizio del potere di controllo di legittimità sui rilievi della decisione dell’appello censurati che qui viene richiesto.

Essendo pertanto orientamento consolidato di questa Corte quello secondo cui nel caso in cui la sentenza di primo grado pronunci sulla domanda in base ad una pluralità di autonome ragioni, ciascuna di per sè sufficiente a giustificare la decisione, la parte soccombente ha l’onere di censurare con l’atto di appello ciascuna delle ragioni della decisione e, in difetto, la non contestata autonoma ratio decidendi resta idonea a sorreggere la pronuncia impugnata, non potendo il giudice di appello estendere il suo esame a punti non compresi nel gravame senza violare l’art. 112 c.p.c. (cfr., tra le altre, Cass. 30 agosto 2007 n. 18310), il primo motivo di ricorso risulta manifestamente infondato.

A ciò consegue altresì l’inammissibilità delle altre censure, per difetto di interesse in ordine ad esse (cfr., ad es. Cass. 30 giugno 2005 n. 13956 o 2 febbraio 2007 n. 2272).

Il ricorso va pertanto respinto, con le normali conseguenze in ordine al regolamento delle spese di questo giudizio di cassazione, effettuato, unitamente alla relativa liquidazione, in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare all’INPS le spese di questo giudizio, liquidate in Euro 30,00 per esborsi ed Euro 2.500,00, oltre accessori di legge, per onorari.

Così deciso in Roma, il 29 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2011

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