Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22125 del 11/09/2018

Cassazione civile sez. VI, 11/09/2018, (ud. 20/06/2018, dep. 11/09/2018), n.22125

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12745/2017 proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati

MARIA GOFFREDO, ETTORE SBARRA;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE SPA, (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BARBERINI 47,

presso lo studio dell’avvocato ANGELO PANDOLFO, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2379/2016 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata i124/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/06/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 10 ottobre-24 novembre 2016 nr. 2379 la Corte di Appello di Bari riformava la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva accolto la domanda e per l’effetto respingeva il ricorso proposto da P.G. per la dichiarazione della nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato con POSTE ITALIANE spa in data 26.6.2002, in relazione al periodo 1 luglio – 30 settembre 2002 per “esigenze tecniche, organizzative e produttive anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, prodotti o servizi nonchè alla attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11.12.2001 e 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002, congiuntamente alla necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie contrattualmente dovute a tutto il personale nel periodo estivo”;

che, per quanto rileva in causa, la Corte territoriale riteneva legittima la causale sostitutiva indicata in contratto, in quanto specificata dal riferimento ai mesi durante i quali si era verificata la scopertura temporanea dell’organico, al servizio scoperto in via temporanea (recapito), alla filiale ((OMISSIS)) ed al Comune (Gravina di Puglia) in cui si era manifestata la esigenza di sostituzione.

Aggiungeva che i mesi di luglio, agosto e settembre erano notoriamente quelli durante i quali i dipendenti fruivano della maggior parte delle ferie loro spettanti e che POSTE ITALIANE aveva prodotto i prospetti delle assenze e presenze del personale (MOD. 70 P) ed un prospetto riepilogativo, attestanti che nel periodo di occupazione del P. vi era un numero di 201 giornate di lavoro da coprire.

Tali considerazioni bastavano ad affermare la legittimità della clausola del termine, con assorbimento di ogni altra questione, in particolare circa la legittimità del termine in relazione alla concorrente causale organizzativa;

che avverso tale sentenza ha proposto ricorso P.G., affidato a due motivi, al quale ha opposto difese POSTE ITALIANE spa con controricorso;

che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti -unitamente al decreto di fissazione dell’udienza – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che la parte ricorrente ha impugnato la sentenza deducendo:

– con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1e dell’art. 112 c.p.c., nonchè – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame circa un fatto decisivo ed oggetto di discussione tra le parti.

Ha censurato la sentenza per non avere dichiarato la nullità della clausola del termine in ragione della genericità della causale determinata dalla presenza di più ragioni giustificative alternative e confliggenti.

Ha altresì denunziato il mancato esame della relativa domanda di nullità benchè dedotta sin dal primo grado e riproposta in appello (alle pagine 9-10 ed alle pagine 18 e 19). Ha articolato la medesima censura anche sotto il profilo del vizio di motivazione, per omesso esame del fatto decisivo della pluralità della causali – individuabili in almeno tre ordini di ragioni (esigenze tecniche, organizzative e produttive/attuazione degli accordi sindacali/sostituzione di personale in ferie) – e della loro contraddittorietà;

– con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 e dell’art. 2697 c.c., censurando la statuizione di specificità della causale sostitutiva per avere il giudice dell’appello falsamente applicato i principi di diritto enunciati da questa Corte in relazione alle situazioni aziendali complesse. Il ricorrente ha altresì dedotto il difetto di prova della effettività della causale sostitutiva, assumendo che la sentenza accertava la sua ricorrenza sulla base di luoghi comuni (il periodo di svolgimento del contratto) e documenti inconferenti (modelli 70P).

che ritiene il Collegio il ricorso debba essere respinto;

che, invero:

– quanto al primo motivo, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, cui in questa sede va assicurata continuità, la genericità della causale del termine non può essere ritenuta per la pluralità ed eterogeneità delle ragioni addotte ed, in particolare, per la indicazione congiunta di esigenze organizzative e sostitutive, come già affermato in relazione a clausole di tenore analogo a quella qui in esame (cfr. Cass. 16.4.2015 n. 7772; Cass. sez. lav. 28.3.2014 nr. 7371; 17 giugno 2008 n. 16396).

Ne consegue che correttamente il giudice del merito ha respinto la relativa domanda ed ha ritenuto assorbita ogni questione circa la legittimità della causale organizzativa, essendo adeguatamente fondata la statuizione di legittimità del termine sulla accertata legittimità e sussistenza della causale sostitutiva;

– è parimenti infondato il secondo motivo di ricorso. Il giudice dell’appello ha correttamente applicato il consolidato principio enunciato da questa Corte – che va qui ribadito – secondo cui nelle situazioni aziendali complesse – in cui la sostituzione non sia riferita ad una singola persona ma ad una funzione produttiva specifica che sia occasionalmente scoperta – l’apposizione del termine deve considerarsi legittima se l’enunciazione dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti – da sola insufficiente ad assolvere l’onere di specificazione delle ragioni stesse – risulti integrata dall’indicazione di elementi ulteriori, quali l’ambito territoriale di riferimento, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro, che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire ancorchè non identificati nominativamente, ferma restando, in ogni caso, la verificabilità della sussistenza effettiva del prospettato presupposto di legittimità (ex plurimis: 25/02/2016, n. 3719; Cass. 17-1-2012 n. 565, Cass. 4-6-2012 n. 8966, Cass. 20-4-2012 n. 6216, Cass. 30-5-2012 n. 8647, Cass. 26-7-2012 n. 13239, Cass. 2-5-2011 n. 9602, Cass. 6-7-2011 n. 14868).

La sentenza ha ritenuto, infatti, specifica la causale sostituiva in ragione della indicazione in contratto del servizio scoperto (recapito), dell’ambito territoriale (filiale di (OMISSIS)), del luogo della prestazione lavorativa ((OMISSIS)), del periodo di riferimento.

Non è invece necessaria ad assolvere al requisito di specificità la

indicazione nel contratto nè del nominativo nè del numero dei lavoratori assenti nell’unità organizzativa di assegnazione del lavoratore a termine nè delle ragioni delle assenze.

L’accertamento in concreto del numero dei lavoratori in organico assenti nell’unità territoriale indicata in contratto attiene, invece, al piano della prova in giudizio della effettività della causale.

Quanto alle contestazioni sulla mancata acquisizione di tale prova, è inconferente la deduzione della violazione dell’art. 2697 c.c.: il giudice del merito ha ritenuto positivamente provata la causale sostituiva sicchè non ha applicato la regola di giudizio di cui all’art. 2697 c.c., che individua la parte soccombente nelle sole ipotesi di mancato raggiungimento della prova.

Il giudizio di fatto circa la effettività della causale sostituiva è, invece, impugnabile in questa sede di legittimità unicamente con la deduzione di un vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, ovvero con la allegazione, nella fattispecie carente, dell'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”;

che, pertanto, essendo da condividere la proposta del relatore, il ricorso deve essere respinto con ordinanza in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c.;

che le spese vengono regolate come da dispositivo, secondo la soccombenza;

che trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 3.000 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 20 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2018

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