Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22122 del 03/08/2021

Cassazione civile sez. trib., 03/08/2021, (ud. 26/05/2021, dep. 03/08/2021), n.22122

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO A. M. – Presidente –

Dott. SUCCIO Rober – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA R. M. – Consigliere –

Dott. CHIESI Gian – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 21794 del ruolo generale dell’anno

2015, proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

B.M.D., rappresentato e difeso, giusta procura

speciale allegata al ricorso, dall’Avv.to Simona Ricci elettivamente

domiciliata presso lo studio dell’Avv.to Leonardo Brasca, in Roma,

alla Via Cola di Rienzo n. 212;

– intimato e ricorrente (successivo) incidentale –

nonché

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore:

– resistente successivo –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Toscana n. 249/01/2015, depositata in data 9

febbraio 2015, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26 maggio 2021 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati

Viscido di Nocera.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con sentenza n. 249/01/2015, depositata in data 9 febbraio 2015, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Toscana aveva rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di B.M.D., avverso la sentenza n. 202/2/13 della Commissione tributaria provinciale di Massa Carrara che, previa riunione, aveva accolto i ricorsi proposti dal suddetto contribuente avverso gli avvisi di accertamento n. (OMISSIS), (OMISSIS) con i quali l’Ufficio, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), aveva contestato nei confronti di quest’ultimo, esercente attività di “servizi di saloni di barbiere e parrucchiere” un maggiore reddito imponibile ai fini di Irpef, add. reg. e add. com., Irap e Iva, per l’anno 2008;

– la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse – dopo avere osservato che il gravame era fondato e doveva essere accolto in quanto: 1) non sussisteva alcuna violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, in quanto, nella specie, si era trattato di un accesso mirato conclusosi, in data (OMISSIS), con processo verbale data dalla quale dovevano farsi decorrere i sessanta giorni per la formulazione delle osservazioni da parte del contribuente – con continuazione, dell’istruttoria documentale presso gli uffici dell’Amministrazione e instaurazione del contraddittorio personale con il responsabile del procedimento, in due incontri, sia pure non verbalizzati; né poteva dal citato art. 12, comma 7, farsi discendere un obbligo generalizzato di emanazione di p.v.c. anche al termine della verifica fiscale svoltasi in ufficio sulla documentazione; 2) gli elementi indiziari posti dall’Ufficio a fondamento della pretesa fiscale (la mancata coincidenza degli incassi a mezzo Pos con l’ammontare delle ricevute contabilizzate, il non irrilevante scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli ricavabili dalle caratteristiche e condizioni dell’attività, la bassa redditività dell’impresa in relazione al volume di affari e al costo del personale; notorietà, collocazione, ampiezza del locale e tipologia di arredamento sintomatici di una capacità di lavoro non comune; l’esiguità dei redditi dichiarati in relazione al tenore di vita del contribuente) erano gravi, precisi e concordanti con conseguente legittimità della ricostruzione reddituale operata con metodo analitico-induttivo, non essendo le osservazioni svolte dal contribuente idonee a contrastare le risultanze dell’accertamento medesimo – ha affermato (sia nella penultima riga della motivazione che in dispositivo) che l’appello andava, quindi, rigettato, con compensazione delle spese;

– avverso la suddetta sentenza, l’Agenzia delle entrate, con atto spedito per la notifica, a mezzo servizio postale, il 9/9/2015, ha proposto ricorso per cassazione affidato a un motivo; B.M.D., con atto spedito per la notifica, a mezzo servizio postale, il 25/3/2016, propone successivo ricorso per cassazione articolato in due motivi, cui resiste, con “atto di costituzione” l’Agenzia;

– i ricorsi sono stati fissati in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– va preliminarmente disposta la riunione dei due ricorsi successivi (il secondo dei quali proposto dal contribuente è convertito in ricorso incidentale) attesa la connessione oggettiva e soggettiva;

– con l’unico motivo del ricorso dell’Agenzia si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 156 c.p.c., in ragione del contrasto insanabile tra motivazione e dispositivo, per avere la CTR nella parte motiva della pronuncia manifestamente accolto le argomentazioni della ricorrente Amministrazione e in dispositivo rigettato l’impugnazione;

– il motivo è infondato;

– orbene, questa Suprema Corte già con la remota sentenza n. 1205 del 1984 (che peraltro richiama precedenti ancora più lontani, quali Cass. n. 4188 del 1979; Cass. n. 16 del 1978 e Cass. n. 2784 del 1968) ha sancito il principio che al contrasto tra formulazione letterale del dispositivo (di rigetto della domanda) e pronunzia adottata in motivazione (di accoglimento) integra, non un vizio incidente sul contenuto concettuale e sostanziale della decisione, bensì un errore materiale, come tale emendabile con la procedura ex art. 287 c.p.c. (applicabile anche al procedimento dinanzi alle commissioni tributarie), e non denunciatile (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), con ricorso per Cassazione”. In senso analogo si è successivamente espressa la giurisprudenza di questa Corte, che ha precisato che “il contrasto tra motivazione e dispositivo che dà luogo alla nullità della sentenza si deve ritenere configurabile solo se ed in quanto esso incida sulla idoneità del provvedimento, considerato complessivamente nella totalità delle sue componenti testuali, a rendere conoscibile il contenuto della statuizione giudiziale. Una tale ipotesi non è ravvisabile nel caso in cui il detto contrasto sia chiaramente riconducibile a semplice errore materiale, il quale trova rimedio nel procedimento di correzione al di fuori del sistema delle impugnazioni – distinguendosi, quindi, sia dall’error in indicando deducibile ex art. 360 c.p.c., sia dall’errore di fatto revocatorio ex art. 395 c.p.c., n. 4 – ed è quello che si risolve in una fortuita divergenza tra il giudizio e la sua espressione letterale, cagionata da mera svista o disattenzione nella redazione della sentenza, e che, come tale, può essere percepito e rilevato ictu oculi, senza bisogno di alcuna indagine ricostruttiva del pensiero del giudice, il cui contenuto resta individuabile ed individuato senza incertezza” (Cass. n. 17392 del 2004 e Cass. n. 10129 del 1999). I principi sopra enunciati hanno trovato esplicita condivisione in numerose successive pronunce, anche recenti, tra cui Cass. n. 16488 del 2006, Cass. n. 22433 del 2017, Cass. n. 5939 del 2018, Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 26074 del 17/10/2018 secondo cui “il contrasto tra motivazione e dispositivo che determina la nullità della sentenza ricorre solo se ed in quanto esso incida sulla idoneità del provvedimento, nel suo complesso, a rendere conoscibile il contenuto della statuizione giudiziale, ricorrendo nelle altre ipotesi un mero errore materiale”; nel caso di specie, la lettura della motivazione della sentenza impugnata consente di affermare con assoluta certezza quale sia stato il contenuto essenziale del decisum, che appare inequivoco, posto che la CTR in motivazione afferma che “con riguardo alla ritenuta violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, dalla motivazione dell’avviso di accertamento emerge che la verifica della posizione fiscale del B. è avvenuta attraverso un accesso mirato, in data (OMISSIS), conclusosi con processo verbale; che, in data (OMISSIS), il B., invitato dai verbalizzanti, produceva la documentazione contabile richiesta nel processo verbale di accesso; che successivamente l’ufficio continuava l’istruttoria documentale che si concludeva con gli avvisi di accertamento;… né, d’altra parte può farsi derivare dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, un obbligo generalizzato di procedere ad emanazione di un p.v.c che è sì previsto, ma per l’attività istruttoria esterna di verifica generale.. non per quella che si dipana in ufficio sulla documentazione… in ogni caso nella situazione in esame non di verifica generale si può parlare, ma di accesso mirato;… dal punto di vista del merito,.. l’Ufficio legittimamente ha proceduto alla ricostruzione analitico-induttiva del reddito di impresa in base agli elementi emersi durante l’istruttoria tutti dettagliatamente indicati…elementi tutti questi in grado di costituire un congruo corteo indiziario con carattere di gravità, precisione e concordanza che rende legittimo la scelta dell’Ufficio di procedere con metodo analitico-induttivo anche in presenza di contabilità formalmente regolare, ma carente in termini di affidabilità e congruità sostanziali “; pertanto, risulta chiara l’adesione da parte dei giudici di appello alle critiche esposte dall’Agenzia alla statuizione di primo grado alla medesima sfavorevole e il contrasto tra la formulazione letterale, da un lato, dell’ultimo rigo della motivazione (l’appello va, quindi, rigettato) e del dispositivo (rigetta l’appello) e, dall’altro, quanto dichiarato in motivazione, non incidendo sull’idoneità del provvedimento, considerato complessivamente nella totalità delle sue componenti testuali, a rendere conoscibile il contenuto della statuizione giudiziale, non integra un vizio attinente alla portata concettuale e sostanziale della decisione, bensì un errore materiale, correggibile ai sensi dell’art. 287 c.p.c. (in tal senso v. Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 668 del 15/01/2019, con riferimento al contrasto tra formulazione letterale del dispositivo di una pronuncia della Corte di cassazione e quanto dichiarato in motivazione);

– con il primo motivo del ricorso successivo, il contribuente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, per avere la CTR ritenuto erroneamente legittimi gli avvisi di accertamento, ancorché l’Amministrazione non avesse ottemperato all’obbligo di emettere al termine della verifica il processo verbale di constatazione, non avendo la giurisprudenza di legittimità (Cass., sez. un., n. 24823 del 2015), limitato il campo di applicazione dell’art. 12, comma 7, ai soli casi di esecuzione della “complessiva verifica” presso i locali aziendali;

– il motivo è infondato;

– nella sentenza impugnata, la CTR ha fondato il proprio giudizio di mancata violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, sul presupposto dell’avvenuto rispetto del termine dilatorio di sessanta giorni per la presentazione delle osservazioni da parte del contribuente decorrente dalla data (7.9.10) del processo verbale emesso dall’Ufficio a conclusione dell’accesso mirato all’acquisizione di documentazione; ha poi aggiunto che, nella specie, l’attività istruttoria era continuata presso l’Ufficio, con instaurazione di un contraddittorio diretto del contribuente con il responsabile del procedimento in due incontri, su invito dell’Amministrazione, sia pure non verbalizzati (evidenziando, al riguardo, che non poteva farsi derivare dall’art. 12, comma 7, un obbligo generalizzato di procedere ad emanazione di un p.v.c. anche nelle ipotesi di attività istruttoria svoltasi in ufficio);

– va, in primo luogo, evidenziato che questa Suprema Corte ha precisato (Cass. civ. Sez. V, 22 giugno 2018, n. 16546) che l’attività di controllo dell’Amministrazione finanziaria non deve necessariamente concludersi con la redazione di un processo verbale di constatazione, essendo sufficiente un verbale attestante le operazioni compiute; si e’, altresì, precisato che, in tema di violazione di norme finanziarie (nella specie, in materia di IVA), il processo verbale di constatazione, redatto dagli organi accertatori in occasione di verifiche presso il contribuente e previsto dalla L. 7 gennaio 1929, n. 4, art. 24, non deve necessariamente contenere le contestazioni, potendo avere una molteplicità di contenuti, valutativi o meramente ricognitivi di fatti o di dichiarazioni, che, per la libera valutazione dell’amministrazione finanziaria prima e dell’autorità giudiziaria poi, possono comunque dare luogo alla emissione di avvisi di accertamento (Cass. civ. Sez. V, 29 dicembre 2017, n. 31120);

– questa Corte ha affermato che “Il termine dilatorio di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, decorre da tutte le possibili tipologie di verbali che concludono le operazioni di accesso, verifica o ispezione, indipendentemente dal loro contenuto e denominazione formale, essendo finalizzato a garantire il contraddittorio anche a seguito di un verbale meramente istruttorio e descrittivo” (Cass. 2 luglio 2014, n. 15010). Nella detta pronuncia si è precisato che, l’impiego di una locuzione generica come “verbale di chiusura delle operazioni” contenuta nella norma in esame, comma 7, difatti, comprende tutte le possibili tipologie di verbali che concludano le operazioni di accesso, verifica o ispezione nei locali, indipendentemente dal loro contenuto, e ciò consegue dall’impiego nello Statuto dei diritti del contribuente, art. 12, comma 7, pure a fronte di più tipologie di verbali, di una locuzione meramente descrittiva, che ascrive rilievo, di per sé, alla circostanza che il verbale concluda la fase istruttoria di accesso, verifica o ispezione nei locali. Una tale scelta è d’altronde coerente con l’evoluzione del sistema tributario verso moduli partecipativi, in cui le situazioni soggettive dell’erario possono esaurirsi nell’esercizio imparziale di un potere ad imperatività mitigata, che si arresta all’acquisizione delle informazioni utilizzabili ed al mero controllo dell’osservanza degli obblighi strumentali dei contribuenti; si e’, inoltre, precisato che riconoscere l’esercizio del diritto al contraddittorio anche a seguito di un verbale meramente istruttorio che chiuda le operazioni di accesso, verifica o ispezione significa, appunto, determinare le condizioni affinché l’amministrazione possa valutare il proprio interesse non soltanto alla luce degli elementi raccolti, ma anche in base alle osservazioni su di essi rese dal contribuente;

– si è peraltro precisato che le garanzie statutarie operano già in fase di accesso, concludendosi anche tale attività con la sottoscrizione e consegna del processo verbale di chiusura delle operazioni svolte, e ciò alla stregua delle prescrizioni del decreto IVA, art. 52, comma 6, ovvero del decreto sull’accertamento, art. 33; siffatte, garanzie si applicano anche agli atti di accesso istantanei finalizzati all’acquisizione di documentazione, sia perché la citata disposizione non prevede alcuna distinzione in ordine alla durata dell’accesso, ed è comunque necessario, anche in caso di accesso breve, redigere un verbale di chiusura delle operazioni (in senso conf. Cass. n. 2593 del 2014 e Cass. n. 15624 del 2014), sia perché, anche in caso di “accesso breve”, si verifica quella peculiarità che, secondo Cass. sez. unite n. 24823/2015, giustifica, quale controbilanciamento, le garanzie di cui al citato art. 12, peculiarità consistente nella autoritativa intromissione dell’Amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente alla diretta ricerca di elementi valutati a lui sfavorevoli” (Cass. sent. n. 11471 del 2017; cfr. Cass. sent. anche n. 18110 del 2016; Cass. sent. n. 25265 del 2017; Cass. sent. n. 1007 del 2017; Cass. sent. n. 8246 del 2018); pertanto, si è ritenuto che “in materia di garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, impone la redazione del processo verbale di chiusura delle operazioni in ogni caso di accesso o ispezione nei locali dell’impresa, ivi compresi gli atti di accesso finalizzati alla raccolta di documentazione, e solo dal rilascio di copia del predetto verbale decorre il termine di sessanta giorni trascorso il quale può essere emesso l’avviso di accertamento ai sensi della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7” (Sez. 5, Sentenza n. 7843 del 17 aprile 2015).

– da ultimo questa Corte ha affermato il principio di diritto cui questo Collegio intende dare seguito secondo cui: “In materia di garanzie del soggetto sottoposto a verifiche fiscali, il processo verbale, redatto ai sensi della L. n. 4 del 1929, art. 24, deve attestare le operazioni compiute dall’Amministrazione, sicché, nel caso di accesso mirato all’acquisizione di documentazione fiscale, è sufficiente l’indicazione, in esso, dei documenti prelevati, ferma restando la decorrenza del termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, dal rilascio di copia del predetto verbale, senza che sia necessaria l’adozione di un’ulteriore verbale di contestazione delle violazioni successivamente riscontrate” (Cass. Sez. 5, Ord. n. 12094 del 08/05/2019; Sez. 5, Sentenza n. 11589 del 2021);

– ne consegue, quindi, che è priva di pregio la considerazione del ricorrente secondo cui la previsione dello Statuto, art. 12, comma 7, imporrebbe sempre l’adozione di un processo verbale con il quale siano contestate le violazioni finanziarie; invero, poiché il contenuto del processo verbale deve avere riguardo alla specifica attività compiuta dall’amministrazione finanziaria, in caso di accesso mirato, come nel caso di specie, correttamente è stato redatto il verbale di accesso nel quale si è dato atto della mancata esibizione della documentazione richiesta; posto quanto sopra, nelle ipotesi in cui, a seguito dell’accesso mirato all’acquisizione della documentazione fiscale, venga redatto processo verbale, indipendentemente dal suo contenuto, è necessario garantire il rispetto del termine dilatorio di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, prima dell’emissione dell’atto impositivo, il che, nella specie, risulta essere avvenuto, come accertato in punto di fatto dalla CTR, essendo stato il p.v. redatto il (OMISSIS) e gli avvisi di accertamento in questione emessi ben oltre il termine dilatorio di sessanta giorni;

– con il secondo motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), dell’art. 2697 c.c., per avere la CTR affermato apoditticamente che l’accertamento analitico-induttivo dell’Ufficio fosse basato su elementi indiziari gravi, precisi e concordanti senza minimamente confutare le obiezioni sollevate, al riguardo, dal contribuente (irrilevanza degli scostamenti tra i Pos e l’ammontare delle ricevute contabilizzate; la pratica di concedere sconti ai “clienti fedelissimi”, il reddito di impresa superiore al costo del lavoro dipendente; congruità dei ricavi dichiarati rispetto allo studio di settore, inattendibilità del calcolo effettuato con metodo presuntivo dall’Ufficio del “monte ore lavorate” nel corso di ciascun anno accertato);

– il motivo è inammissibile;

– in disparte il non avere il contribuente riprodotto in ricorso o allegato ad esso gli atti difensivi dei gradi di merito con riguardo alle eccepite “obiezioni” che non sarebbero state prese in considerazione dal giudice di appello, il motivo tende ad una inammissibile rivalutazione di apprezzamenti in fatto operati dal giudice di appello non sindacabili dinanzi al giudice di legittimità; premesso che “in tema di accertamento dei redditi di impresa, l’Ufficio può procedere a quello analitico-induttivo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, anche in presenza di scritture formalmente regolari, ove la contabilità risulti complessivamente inattendibile sulla base di elementi indiziari gravi e precisi” (cfr. Cass., ord., 12 dicembre 2018, n. 32129; Cass. 11 aprile 2018, n. 8923; Cass. n. 6047 del 2020); in materia di IVA, l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, commi 2 e 3, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 26036 del 30/12/2015; Cass. sez. 5, Ordinanza n. 27552 del 30/10/2018; n. 6667/20), nella specie, la CTR, correttamente applicando i principi di diritto richiamati, ha ritenuto – con una valutazione in fatto non sindacabile in sede di legittimità – che la ricostruzione analitico-induttiva del maggior reddito operata dall’Amministrazione fosse basata su elementi indiziari idonei ad assurgere a prova presuntiva (la mancata coincidenza degli incassi a mezzo Pos con l’ammontare delle ricevute contabilizzate, il non irrilevante scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli ricavabili dalle caratteristiche e condizioni dell’attività, la bassa redditività dell’impresa in relazione al volume di affari e al costo del personale; notorietà, collocazione, ampiezza del locale e tipologia di arredamento sintomatici di una capacità di lavoro non comune; l’esiguità dei redditi dichiarati in relazione al tenore di vita del contribuente), a fronte dei quali il contribuente non aveva offerto considerazioni idonee a contrastare le risultanze dell’attività di accertamento (“Le osservazioni del contribuente sui singoli elementi che l’Ufficio ha specificamente analizzato.. non appaiono idonei a contrastare le risultanze dell’attività di accertamento”, pag. 3 della sentenza impugnata); va, al riguardo, ribadito l’orientamento di questa Corte secondo cui “E’ inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito” (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 18721 del 13/07/2018);

– in conclusione, previa riunione, vanno rigettatati sia il ricorso proposto dall’Agenzia che quello proposto dal contribuente;

– in considerazione della reciproca soccombenza, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di lite del giudizio di legittimità.

PQM

la Corte:

Riuniti i ricorsi, li rigetta; compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità;

Dà inoltre atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del contribuente (ricorrente incidentale) dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2021

 

 

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