Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22121 del 25/10/2011

Cassazione civile sez. VI, 25/10/2011, (ud. 16/06/2011, dep. 25/10/2011), n.22121

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 19374/2010 proposto da:

C.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA TACITO 41, presso lo studio dell’avvocato DI CIOMMO

Francesco, che la rappresenta, e difende unitamente all’avvocato DE

DOMINICIS ANTONIO giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.M.E. (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 173/2010 del TRIBUNALE di PARMA del 20/11/09,

depositata l’01/02/2010;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/06/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ULIANA ARMANO;

è presente il P.G. in persona del Dott. IGNAZIO PATRONE.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

E’ stata depositata la seguente relazione: “Dopo aver espletato un accertamento tecnico preventivo, C.M.E. convenne in giudizio avanti al Giudice di Pace la sorella C.C. per sentirla condannare al risarcimento del danno di Euro 1.394,43 arrecato al proprio appartamento da una perdita d’acqua proveniente da quello al piano superiore di proprietà di quest’ultima.

C.C. si costituì in giudizio e contestando la propria responsabilità, sul rilievo che l’appartamento era concesso in locazione.

Il Giudice di Pace di Parma accolse la domanda di risarcimento della sig.ra C.M.E. per la somma di Euro 1.300,00, compensando le spese di causa.

A seguito dell’ appello proposto da C.M.E. avente ad oggetto la compensazione delle spese del giudizio di primo grado e dell’appello incidentale proposto da C.E., il Tribunale di Parma, con sentenza depositata il primo febbraio 2010, notificata al difensore in data 14 maggio 2010, ha accolto l’appello principale e rigettato quello incidentale ed, in riforma della sentenza stessa, ha condannato C.C. alla rifusione in favore di C. M.E. delle spese del giudizio di primo e secondo grado.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione C. C..

L’intimata non ha svolto difese.

2. – Il ricorso contiene tre motivi. Può essere trattato in Camera di consiglio (art. 375 c.p.c.) e rigettato per manifesta infondatezza, alla stregua delle considerazioni che seguono:

Con il primo motivo di ricorso viene denunziata violazione o falsa applicazione dell’art. 2051 c.c., nonchè degli artt. 1587 e 1588 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3); insufficiente e illogica motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5).

Secondo la ricorrente la Corte di Appello ha erroneamente applicato il principio in base al quale il proprietario di un immobile locato risponde ex art. 2051, dei danni causati a terzi dall’immobile stesso nel (solo) caso in cui “tali danni siano derivati dalle strutture murarie dell’immobile o dagli impianti in esso conglobati” quando nella fattispecie si trattava di una rottura di una piletta parte del sifone, inserita nell’impianto idrico, ma non conglobata in esso, tant’è che era raggiungibile dall’esterno mediante un coperchio svitabile che ne permetteva la pulitura; tale errore ha comportato la violazione o di falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. e degli artt. 1587 e 1588 c.c., ripartendo in maniera errata l’onere di riparazione di elementi esterni all’impianto idririco fra proprietario e conduttore;la motivazione è incompleta e contraddittoria nella valutazione della circostanza se la piletta fosse e o meno inglobata nella struttura muraria.

Il motivo è manifestamente infondato.

I giudici di merito hanno condannato la ricorrente a risarcire il danno riconoscendo la sua responsabilità ex art. 2051, in quanto il danno era dovuto ad un cattivo funzionamento dell’impianto idrico conglobato nelle strutture murarie dell’immobile la cui manutenzione spettava al proprietario.

Il motivo di ricorso sotto l’apparente denunzia di violazione di legge e vizio di motivazione, in realtà chiede a questa Corte un accertamento di merito che non è consentito in questa fase di legittimità.

In sostanza la ricorrente chiede che venga accertato che per la riparazione dell’impianto idrico non era necessario intervenire con opere murarie, riguardando la rottura elementi “esterni all’impianto”, con il conseguente onere di riparazione a carico del conduttore.

La valutazione di legittimità non può consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello fatto motivatamente proprio dal giudice di merito in quanto questa Corte non ha il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.

Come secondo motivo viene denunziata insufficiente e illogica motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5); violazione o falsa applicazione dell’art. 2051 c.c., in riferimento agli artt. 40 e 41 c.p. (art. 360 c.p.c., n. 3).

Si sostiene che il giudice di appello avrebbe dovuto valutare la condotta dell’inquilino, che aveva usato impropriamente la vasca da bagno intasando il sifone, come caso fortuito o fatto del terzo interruttivo del nesso causale tra la cosa ed il danno.

Anche tale motivo di ricorso investe un accertamento di merito del giudice di appello che valutando le risultanze della consulenza tecnica non ha ritenuto che la condotta dell’inquilino potesse essere considerata come fatto del terzo idonea a vincere la presunzione di responsabilità ex art. 2051, a carico del proprietario dell’immobile.

La ricorrente chiede a questa Corte una nuova e diversa valutazione degli elementi probatori quali la circostanza che il c.t.u. aveva accertato che al momento dell’ispezione la macchia di umido era secca; che dalla prova testimoniale era risultato che pochi mesi prima su richiesta dal marito della signora C.M.E. l’inquilino aveva cessato l’uso improprio della vasca da bagno ed aveva iniziato a pulire sistematicamente la piletta del sifone; che da ciò si poteva concludere che il comportamento dell’inquilino era l’unica ed esclusiva causa determinante l’evento dannoso.

Tale diversa valutazione degli elementi probatori;in presenza valutazione dei giudici di merito logicamente fondata sulle risultanze della c.t.u., è inammissibile in sede di legittimità.

Anche il terzo motivo di ricorso, con cui si deduce violazione dell’art. 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e insufficiente ed illogica motivazione su un fatto controverso ex art. 360, n. 5, è infondato in quanto il giudice di appello ha seguito il principio della soccombenza nell’attribuzione delle spese processuali.

2. La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti. Non sono state depositate conclusioni scritte, la ricorrente ha depositato memoria difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, il Collegio ha condiviso i motivi in fatto ed in diritto esposti nella relazione evidenziando che l’uso improprio della vasca con il danneggiamene della piletta, per quanto materialmente effettuato dall’inquilino, trova la sua causa nel comportamento della locatrice che ha concesso in locazione per uso abitazione un appartamento privo di lavello. Il ricorso deve essere rigettato.

Nulla per le spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 16 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2011

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