Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22121 del 11/09/2018

Cassazione civile sez. I, 11/09/2018, (ud. 29/05/2018, dep. 11/09/2018), n.22121

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27737/2014 proposto da:

Impresa C.C.C. Cantieri Costruzioni Cemento S.p.a., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, Via Alessandria n. 119, presso Io studio dell’avvocato Navarra

Giancarlo, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Candia Vita Augusto, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Provincia Regionale di Palermo, oggi Libero Consorzio Comunale di

Palermo, in persona del Commissario Straordinario pro tempore,

domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile

della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato

Reale Alessandro, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1575/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 21/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

29/05/2018 dal Cons. Dott. SAMBITO MARIA GIOVANNA C.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 12.6.2002, il Tribunale di Palermo, all’esito della disposta CTU, dichiarava risolto, per inadempimento dell’Impresa, il contratto in data 21.12.1994 col quale la Provincia di Palermo aveva affidato alla C.C.C. Cantieri Costruzioni Cemento S.p.A. l’appalto dei lavori di sistemazione di un tratto della locale strada “(OMISSIS)”.

La decisione veniva confermata, con sentenza del 21.10.2013, dalla Corte d’Appello di Palermo, che, disposta la rinnovazione della CTU, e, per quanto ancora interessa, riteneva: a) fuorviante centrare l’attenzione sull’originaria completezza o esecutività del progetto, in quanto la Stazione appaltante aveva collaborato per consentire la prestazione dell’appaltatrice, avendo, in particolare, inserito in seno alla perizia di variante del 28.5.1997, oggetto dell’atto di sottomissione sottoscritto dall’Impresa il 30 maggio 1997, l’esatta indicazione del ferro di armatura dei pali di fondazione, come accertato dal CTU di prime cure, ed introdotto una serie di modifiche al progetto per realizzare tutte le opere a regola d’arte; b) il mancato espletamento della procedura espropriativa della part. n. (OMISSIS) non aveva impedito l’esecuzione dei lavori, e costituiva ad ogni modo un elemento del tutto secondario rispetto all’abbandono del cantiere da parte dell’appaltatrice affatto ingiustificato, tenuto conto dell’assenza di ritardi nel pagamento dei SAL o di rifiuti ad accogliere le richieste di correttivi avanzate dall’Impresa, coerenti con gli interessi comuni.

Per la cassazione della sentenza, ha proposto ricorso la Società, con quattro motivi. L’Amministrazione ha resistito con controricorso. Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, la ricorrente afferma la nullità della sentenza per violazione degli artt. 132 e 161 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., per non esser stati esposti, neppure sinteticamente, i fatti di causa, e per essere la decisione incentrata sulla pronuncia del Tribunale senza fare alcun cenno alle difese di essa impresa. 2. Il motivo è infondato. Come rammenta la stessa ricorrente, la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 5010 del 2017; n. 920 del 2015; n. 22845 del 2010; 6683 del 2009), muovendo dal principio della strumentalità della forma, è ferma nell’affermare che la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto della decisione, richiesta dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nella versione anteriore alla modifica da parte della L. n. 69 del 2009, costituisce un requisito da apprezzarsi esclusivamente in funzione della intelligibilità della decisione e della comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, la cui mancanza costituisce motivo di nullità della sentenza, solo, quando tale omissione impedisca totalmente – non risultando richiamati in alcun modo i tratti essenziali della lite, neppure nella parte dedicata alla motivazione – di individuare gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione. Il che non si ravvisa nella specie, avendo la Corte territoriale dato conto delle ragioni per le quali ha ritenuto sussistente l’inadempimento dell’Impresa, già affermato dal primo giudice, e di confermare la declaratoria di risoluzione dell’appalto per fatto imputabile alla stessa.

3. Col secondo motivo, la ricorrente deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, inerente “alla rilevanza e gravità dell’inadempimento della stazione appaltante in ordine alle obbligazioni nascenti dal contratto di appalto e con riferimento all’oggetto del mandato conferito al CTU”. L’oggetto del giudizio, afferma la ricorrente, era relativo a tutta una serie di inadempimenti della p.A. agli obblighi derivanti dal contratto d’appalto che avevano comportato un anomalo andamento dei lavori, talchè la valutazione della chiesta declaratoria di risoluzione del contratto avrebbe dovuto incentrarsi sulla rilevanza e gravità dei denunciati inadempimenti, riconducibili alle originarie carenze progettuali. Eventuali e successivi comportamenti della committente, e tra di essi la redazione della perizia di variante, prosegue la ricorrente, esulavano dall’oggetto del giudizio, e non avrebbero dovuto trovarvi ingresso, proprio perchè non dedotti dalle parti: la considerazione secondo cui il dovere di cooperazione imponeva alla stazione appaltante di provvedere ad eliminare le carenze progettuali non poteva, insomma, costituire esame da parte del giudice territoriale.

4. Col terzo motivo, si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., oltre che omesso esame del fatto decisivo relativo alle censure sollevate dal proprio CTP in ordine alla perizia di variante. Sotto un primo profilo, la ricorrente lamenta che i giudici d’appello non abbiano considerato l’anomalo andamento dell’appalto riconducibile alle originarie carenze progettuali – che, ribadisce, costituiva l’oggetto del giudizio – ed abbiano, invece, affermato, in assenza di deduzione delle parti, che la PA vi aveva posto rimedio. In concreto, pertanto, la Corte territoriale aveva omesso di pronunciare sul mancato riscontro da parte della Committente alle richieste avanzate da essa Impresa che avevano portato all’abbandono dei lavori; ed era incorsa pure nella violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, non essendo mai stata richiesta ed effettuata alcuna indagine sulla perizia di variante, appunto fuori dall’oggetto del giudizio. Sotto un secondo profilo la ricorrente deduce che il principio di collaborazione, cui si erano richiamati i giudici del merito – neppure in linea col disposto accertamento peritale, che, nel rispondere al quesito, aveva accertato che il progetto non poteva ritenersi esecutivo – non era mai stato prospettato ex adverso e non era neppure pertinente al caso in esame. Sotto un terzo profilo, la ricorrente ribadisce che le carenze progettuali, comportanti maggiori spese non previste avevano precluso l’esecuzione dei lavori nei tempi previsti in base al progetto originario e tale tema, che costituiva l’oggetto del giudizio, era stato bypassato dalla Corte che lo aveva stravolto, focalizzando l’attenzione sul comportamento successivo della stazione appaltante e senza esaminare le contestazioni sollevate dal suo CTP, dalle quali emergeva che la perizia di variante non aveva affatto posto rimedio alle lamentate carenze progettuali originarie.

5. Col quarto motivo, la ricorrente deduce l’omesso esame circa il fatto decisivo per il giudizio in riferimento alla omessa espropriazione della part. (OMISSIS), che, secondo gli accertamenti condotti dal CTU, aveva interferito sulla programmazione dei lavori relativi alla realizzazione dei viadotti, senza dire che l’argomento secondo cui era possibile l’utilizzo di altra stradella (più lunga e difficoltosa) non considerava affatto i rilievi del proprio CTP, talchè la conclusione cui era pervenuta la Corte territoriale era semplicistica e superficiale, laddove non aveva considerato che il mancato completamento dei lavori era addebitabile all’inerzia della stazione appaltante ed all’anomalo andamento dei lavori ad essa addebitabile.

6. I motivi, che vanno esaminati congiuntamente, perchè deducono, da diversi profili, le medesime questioni, sono in parte infondati ed in parte inammissibili. 7. La violazione dell’art. 112 c.p.c., da cui occorre muovere, è infondata in tutte le sue declinazioni. Ed, infatti, secondo l’ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. 13297/2012; 19879/2011; 13840/2010; 2799/1997), il giudice del merito, adito, come nella specie per la declaratoria di risoluzione per inadempimento di un contratto d’appalto pubblico deve procedere al relativo esame in base alla disciplina privatistica degli artt. 1218 e 1453 c.c. e segg., la quale non gli consente di isolare singole condotte di una delle parti e di stabilire se ciascuna di esse soltanto costituisca motivo di inadempienza a prescindere da ogni altra ragione di doglianza dei contraenti, ma impone a detto giudice di procedere alla valutazione sinergica del comportamento di entrambe: compiendo una indagine globale ed unitaria coinvolgente nell’insieme l’intero loro comportamento, anche con riguardo alla durata del protrarsi degli effetti dell’inadempimento, perchè l’unitarietà del rapporto obbligatorio a cui ineriscono tutte le prestazioni inadempiute da ognuna delle parti non tollera una valutazione frammentaria e settoriale della condotta del contraente, ma esige un apprezzamento complessivo e comparativo dei reciproci inadempimenti, nonchè della loro gravità che il giudice deve porre a fondamento della propria opzione valutativa ai fini della decisione.

8. A tale stregua, risulta evidente come l’assunto della ricorrente, secondo cui la Corte territoriale avrebbe dovuto arrestare il suo esame alla valutazione di parte della condotta della committente, per l’esattezza di quella antecedente la perizia di variante, e non avrebbe potuto apprezzare, senza violare il principio di cui all’art. 112 c.p.c., quella successiva è giuridicamente erroneo, proprio perchè le contrapposte domande di risoluzione gli avevano devoluto l’intero comportamento di entrambe le parti, sicchè la valutazione degli opposti addebiti ineriva al dibattito processuale, che doveva esser condotto alla stregua dei dati acquisiti in giudizio, da cui emergeva, com’è incontroverso, che, nel corso del rapporto, cadenzato da varie sospensioni, i lavori erano, poi, stati variati e che l’Impresa aveva sottoscritto al riguardo un atto di sottomissione.

9. Non può, inoltre, sottacersi che il ricorso è pure generico, in quanto nel negare che la controparte abbia riconnesso valore alla perizia di variante, ai fini dell’eseguibilità dell’appalto, neppure riporta le ragioni poste ex adverso a sostegno della domanda di risoluzione, tenuto conto, da una parte, che anche quando venga dedotto un error in procedendo, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito presuppone che la parte rispetti il principio di autosufficienza cui deve essere improntato il ricorso per cassazione, e dall’altra, che, nell’affermazione dell’ingiustificato abbandono del cantiere (che, come si desume dalla sentenza d’appello, costituisce l’addebito mosso dalla committente all’appaltatrice) è implicito l’assunto relativo alla fattibilità dell’opera, quale risultante dagli atti sottoscritti dalle parti ed offerti in giudizio.

10. A tanto, va aggiunto che la questione dell’obbligo di cooperazione della stazione appaltante costituisce un profilo che la stessa ricorrente ha dedotto in giudizio (cfr. pag. 6 del ricorso, penultimo capoverso) addebitando alla Provincia di non averlo osservato, e che, nell’affrontare tale tema, la Corte del merito si è attenuta al principio (cfr. Cass. n. 12698 del 2014; n. 10052 del 2006) secondo cui nell’appalto di opere pubbliche, stante la natura privatistica del contratto, è configurabile, in capo all’amministrazione committente, creditrice dell’opus, un dovere -discendente dall’espresso riferimento contenuto nell’art. 1206 c.c. e, più in generale, dai principi di correttezza e buona fede oggettiva, che permeano la disciplina delle obbligazioni e del contratto – di cooperare all’adempimento dell’appaltatore, attraverso il compimento di quelle attività, distinte rispetto al comportamento dovuto dall’appaltatore, necessarie affinchè quest’ultimo possa realizzare il risultato cui è preordinato il rapporto obbligatorio. E, con giudizio di merito insindacabile in questa sede di legittimità, ha ritenuto che tale obbligo la Provincia abbia assolto, con la predisposizione della variante, che consentiva la realizzazione dell’opera, il che è in linea col principio secondo cui la risoluzione del contratto d’appalto di opere pubbliche per inadempimento dell’obbligo della stazione appaltante di verifica del progetto, in relazione al terreno e ad altre varianti, può giustificare la risoluzione del contratto, solo, se ritenuto prevalente su altre e contrapposte inadempienze e semprechè renda praticamente impossibile l’esecuzione dell’opera da parte dell’appaltatore, dovendosi, invece, escludere che una tale violazione possa essere considerata, in sè e per sè, come causa di sospensione od improseguibilità dell’opera, che potrà verificarsi solo se il giudice del merito accerti o escluda la ricorrenza delle condizioni tecniche per l’eseguibilità del progetto sull’area prescelta (Cass. n. 12321 del 2015).

11. Nel resto, le censure si risolvono nell’inammissibile richiesta di una rivalutazione di merito, incensurabile nel giudizio di legittimità; tenuto conto, peraltro, che, in base alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non è consentito denunciare a questa Corte l’omesso esame di elementi istruttori (nella specie la deduzione della censure del proprio CTP) ma solo l’esistenza di uno o più fatti specifici, che siano stati oggetto di discussione tra le parti, ed abbiano carattere decisivo. E nella specie i fatti dedotti dalla ricorrente (sopra riassunti) risultano valutati – in senso contrario a quello auspicato dalla ricorrente – dalla Corte territoriale, che non ha mancato di rilevare la natura non decisiva di taluni di essi (in ispecie la mancata espropriazione della part. (OMISSIS)), pervenendo ad una globale valutazione d’inadempimento colpevole dell’appaltatrice di dare seguito agli impegni assunti, plasticamente identificato nella realizzazione,da parte della stessa, di una “serie di strutture in cemento armato collocate in aperta campagna ed abbandonate”, in assenza di giustificazioni di sorta.

12. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna alle spese, che liquida in Euro 7.600,00, di cui Euro 200,00 per spese oltre accessori. Ai sensi del

D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 29 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2018

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