Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22120 del 22/09/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 22/09/2017, (ud. 20/04/2017, dep.22/09/2017),  n. 22120

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 12509/10, proposto da:

GRUPPOBEA s.p.a., in persona del legale rappres. p.t., elett.te

domic. in Roma, alla via Giovanni Nicotera n. 31, presso l’avv.

Francesco Astone, rappres. e difesa dall’avv. Domenico Morano, con

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, elett.te domic. in Roma, alla via dei

Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura dello Stato che la rappres. e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 23/12/2009 della CTR della Lombardia,

depositata in data 16/3/2009;

udita la relazione del consigliere, Dott. Caiazzo Rosario;

udito il difensore della parte ricorrente, avv. A. Gallo per delega;

udito il difensore della parte controricorrente, avv. P. Gentili;

sentito il Pubblico Ministero, Dott. Del Core Sergio, il quale ha

concluso per il rigetto del ricorso principale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Gruppobea s.p.a impugnò, innanzi alla Ctp di Milano, vari avvisi d’accertamento e atti di contestazione; l’ufficio si costituì con controdeduzioni. La Ctp accolse i ricorsi – a seguito di riunione; la Ctr accolse l’appello dell’Agenzia delle entrate e, respinta l’eccezione preliminare di vizio di motivazione, ritenne che la società avesse emesso fatture non regolarizzate, ovvero effettuato operazioni senza fatturazione, nonchè l’illegittima detrazione di costi.

La Gruppobea s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione formulando diciotto motivi; resiste l’Agenzia con controricorso, eccependo l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso.

Parte ricorrente ha altresì depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso va, nel complesso, rigettato.

2. Con il primo motivo, la parte ricorrente ha denunziato la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, avendo l’ufficio proceduto agli accertamenti contestati sulla base di presunzioni semplici.

Con il secondo motivo, la parte ricorrente ha denunziato la violazione e falsa applicazione del suddetto art. 39 per omessa applicazione dei presupposti legittimanti l’accertamento induttivo.

Con il terzo motivo, la parte ricorrente ha lamentato che la Ctr avesse violato la L. n. 212 del 2000, art. 12, per aver illegittimamente utilizzato la motivazione per relationem, non avendo la Ctr effettuato il vaglio critico degli elementi probatori raccolti dalla polizia tributaria.

Con il quarto motivo, la parte ricorrente ha parimenti denunziato l’illegittimità della motivazione per relationem per omesso vaglio critico contenuto negli avvisi d’accertamento.

Con il quinto motivo, la parte ricorrente, ribadendo la censura della violazione di legge di cui al suddetto art. 12, ha lamentato l’errata e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata sempre in merito alla motivazione per relationem.

Con il sesto motivo, la parte ricorrente ha denunziato la violazione e falsa applicazione nella parte della sentenza impugnata che conteneva un riferimento ad altre sentenze di primo grado.

Con il settimo motivo, la parte ricorrente ha lamentato la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, censurando l’errata e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata in ordine alla contabilizzazione e deduzione di costi di fatture per operazioni inesistenti provenienti dalla M. & G. s.r.l.

Con l’ottavo motivo, è stato parimenti denunziato il vizio di motivazione, non avendo la Ctr considerato la sentenza penale di assoluzione del legale rappresentante della società, per il reato di fatturazione per operazioni inesistenti, perchè il fatto non sussiste.

Con il nono motivo, la parte ricorrente ha denunziato la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., avendo la Ctr pronunciato su una questione mai contestata dall’ufficio, circa l’indebita deduzione dei costi relativi a fatture per operazioni inesistenti.

Con il decimo motivo, la parte ricorrente ha denunziato la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in tema di differenze inventariali, mentre l’undicesimo riguarda il vizio di motivazione sulla stessa questione.

Con il dodicesimo motivo, la parte ricorrente ha parimenti denunziato l’errata e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata in merito alle differenze inventariali.

Con il tredicesimo motivo, è stata denunziata la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 447 del 1997, artt. 3 e 4, avendo la Ctr applicato erroneamente una presunzione afferente alle differenze inventariali, in quanto essa opera solo nell’anno in cui è stata effettuata la verifica, mentre nella fattispecie, la verifica avvenne nel 2005, ma fu riferita al 2002.

Con il quattordicesimo motivo, la parte ricorrente ha denunziato il vizio di motivazione della sentenza impugnata circa la distinzione tra acconti e caparre confirmatorie.

Con il quindicesimo motivo, la parte ricorrente ha lamentato un vizio di motivazione in ordine alla medesima questione di cui al precedente motivo.

Con il sedicesimo motivo, la parte ricorrente ha lamentato la violazione di legge e un vizio di motivazione in ordine alla questione della dichiarazione integrativa di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 8.

Con il diciassettesimo motivo, la parte ricorrente ha denunziato cumulativamente la violazione di legge e un vizio di motivazione in ordine alla questione della regolarità dei tempi di fatturazione per le operazioni intercorse con la M.& G. s.r.l.

Con il diciottesimo motivo, è stata parimenti denunziata cumulativamente la violazione di legge e un vizio di motivazione in relazione alla questione della decadenza dalle domande e eccezioni non riproposte.

La parte ricorrente ha formulato sedici quesiti di diritto, comprensivi anche dei quesiti di fatto per i motivi che riguardano i vizi di motivazione, con il relativo momento di sintesi.

3. I primi due motivi, da trattare congiuntamente, in quanto tra loro connessi, sono inammissibili per carenza di autosufficienza, non essendo stato riprodotto il contenuto degli avvisi d’accertamento contestati, precludendo ciò l’esame della censura afferente all’omesso esame della contabilità e all’insussistenza dei presupposti dell’accertamento induttivo.

Inoltre, i motivi sarebbero comunque infondati, in quanto dalla sentenza si desume che gli avvisi impugnati erano fondati su specifiche contestazioni integranti presunzioni legittimanti l’accertamento compiuto.

4. I motivi dal terzo al quinto, da trattare congiuntamente perchè tra loro connessi, sono inammissibili, in quanto la parte ricorrente ha formulato, per essi, un unico quesito di diritto, anzichè redigere un distinto quesito per ogni motivo, violando così l’art. 366 – bis c.p.c., a norma del quale l’illustrazione di ciascun motivo di ricorso per cassazione si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione del quesito di diritto (Cass., SU, ord. n. 21864 del 19.10.2007).

Inoltre, tali motivi sarebbero comunque infondati.

Come si evince dalla sentenza impugnata, il processo verbale d’accertamento fu richiamato nei suoi punti essenziali negli avvisi impugnati.

Ne consegue l’applicabilità dell’orientamento consolidato della Corte secondo cui la L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, che si riferisce solo agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza, consente di assolvere l’obbligo di motivazione degli atti tributari anche per relationem, ovvero mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati all’atto notificato, quando lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, cioè l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, la cui indicazione permette al contribuente ed al giudice, in sede di eventuale sindacato giurisdizionale, di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono le parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento (Cass., ord. n. 9323 dell’11.4.2017; n. 9032 del 12.4.2013).

Pertanto, nel caso concreto, non sussisterebbero i lamentati vizi di violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, e della motivazione della sentenza impugnata.

5. Il sesto motivo, afferente alla censura di vizio della motivazione perchè contenente un erroneo rinvio ad altra sentenza di primo grado, è inammissibile” in quanto non pertinente e non congruente con la motivazione della Ct., che non è stata fondata su alcuna sentenza di primo grado, ma su specifiche argomentazioni.

6. Il settimo e l’ottavo motivo, da esaminare congiuntamente perchè tra loro connessi, sono inammissibili, in quanto privi dell’autosufficienza.

Invero, la società ricorrente ha lamentato l’inadeguata motivazione della sentenza impugnata in ordine alla deducibilità dei costi inerenti ad operazioni ritenute inesistenti, invocando la lacunosità degli avvisi d’accertamento, ma non ha riprodotto il contenuto di quest’ultimi (se non molto parzialmente), precludendo ogni verifica dei vizi indicati.

In particolare, è irrilevante il riferimento alla sentenza penale, parimenti non riprodotta in ricorso, a prescindere da ogni altro rilievo concernente la separatezza e distinzione tra il processo penale e il procedimento tributario. Inoltre, l’inammissibilità discende anche dalla omessa formulazione di distinti quesiti per i due motivi.

7. Il nono motivo è infondato, in quanto dalla motivazione della sentenza della Ctr si evince che l’ufficio contestò le operazioni inesistenti e la non deducibilità dei costi, per cui non sussiste alcuna ultra o extra petizione sulla questione.

8. Il decimo e undicesimo motivo, da esaminare congiuntamente in quanto tra loro connessi, sono inammissibili perchè il quesito di diritto, peraltro per due volte, è stato formulato congiuntamente per entrambi i motivi, in violazione dell’art. 366 – bis c.p.c..

Inoltre, tali motivi sarebbero comunque infondati.

Al riguardo, la ricorrente ha censurato la motivazione della Ctr perchè insufficiente in ordine ad alcuni punti della decisione, afferenti alla compensazione tra le differenze inventariali e alla ritenuta inutilità di valutare l’applicabilità alla stessa società della disciplina relativa alle medesime differenze.

La motivazione del giudice d’appello è immune dalla censura formulata, in quanto chiara ed esaustiva, illustrando il percorso logico – intellettivo seguito.

La Ctr, infatti su ogni singolo motivo d’appello, rilevando che: la società appellata, quantunque non tenuta alla redazione della contabilità di magazzino, non aveva giustificato documentalmente i disguidi informatici, producendo in ritardo una relazione della società fornitrice del servizio; era infondata la contestazione relativa al mancato riscontro fisico delle giacenze di magazzino, considerati i periodi interessati dal controllo, dal 2000 al 2003, rispetto alla data dell’intervento, nel maggio del 2005; non erano rilevanti i criteri inventariali della grande distribuzione, alla luce dei rilievi formulati dai funzionari dell’Agenzia (richiamati per relationem negli avvisi d’accertamento).

9. Il dodicesimo motivo è inammissibile, in quanto il quesito di diritto è stato formulato in maniera non chiara, poichè il vizio di motivazione prospettato non indica gli specifici punti della sentenza affetti dal vizio stesso, esponendo genericamente che la Ctr aveva avallato le difese dell’Agenzia delle entrate senza vagliarle alla luce dei rilievi della controparte.

Inoltre, il motivo è relativo anche al mancato riscontro delle consistenze di magazzino, doglianza già dedotta nel precedente motivo, che la Ctr ha ritenuto infondata.

10. Il tredicesimo motivo è infondato.

La ricorrente ha lamentato la violazione del D.P.R. n. 441 del 1997, artt. 1 e 4, in quanto l’ufficio ha ricostruito le differenze inventariali nel 2005, applicando le relative presunzioni in ordine ad anni anteriori e non allo stesso anno della verifica.

Ora, il citato art. 4, comma 1, secondo il cui disposto gli effetti delle presunzioni di cessione e di acquisto, conseguenti alla rilevazione fisica dei beni, operano al momento dell’inizio degli accessi, ispezioni e verifiche – non è applicabile nella fattispecie, in quanto l’accertamento in questione fu effettuato senza rilevazione fisica dei beni, bensì attraverso l’esame delle schede di contabilità, come si desume dalla sentenza (pag. 11).

11. Il quattordicesimo e quindicesimo motivo, da trattare congiuntamente perchè tra loro connessi, sono inammissibili.

Il primo dei suddetti motivi è inammissibile in quanto il quesito di diritto è stato redatto in maniera non chiara e contraddittoria rispetto al contenuto del motivo, relativo alla censura del vizio di motivazione sulla questione della qualificazione quale acconto – prezzo del versamento di denaro da parte della società ricorrente.

Invero, tale quesito ha prospettato un vizio della motivazione in quanto la Ctr avrebbe motivato sulla qualificazione dell’acconto rappresentando un comportamento antieconomico e contrario alla prassi del settore, ed è difforme dal motivo che è stato dedotto sulla scorta della diversa doglianza afferente all’insufficiente motivazione circa la suddetta qualificazione (censurata poichè la dazione di denaro avrebbe invece costituito una caparra confirmatoria e, come tale, non rientrante nell’ambito applicativo dell’iva).

Al riguardo, la Corte intende confermare l’orientamento per cui è inammissibile, per violazione dell’art. 366 – bis c.p.c., il motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale ed astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame (non potendosi, peraltro, desumere il quesito dal contenuto del motivo) o che si riveli una tautologia o un interrogativo circolare, che già presuppone la risposta ovvero la cui risposta non consenta di risolvere il caso sub iudice (Cass., n. 11646 dell’11.5.2017; SU, n. 6420 dell’11.3.2008) o sia sostanzialmente difforme dal contenuto del motivo stesso, come nella fattispecie.

Il quindicesimo motivo è inammissibile, in quanto non pertinente alla decisione, avendo la ricorrente lamentato la violazione dell’art. 1385 c.c., quale norma di diritto, mentre, in sostanza, ha censurato la motivazione della sentenza, invocando documenti che il giudice d’appello non avrebbe esaminato al fine di qualificare le dazioni di denaro quali caparre confirmatorie, anzichè acconti del prezzo di cessione dei beni.

12. Il sedicesimo, diciassettesimo e diciottesimo motivo sono inammissibili per violazione dell’art. 366 – bis c.p.c., in quanto contengono motivi cumulativi (violazione di legge e vizio di motivazione), inestricabilmente promiscui, violando la regola di chiarezza sottesa alla suddetta norma.

Al riguardo, è inammissibile il motivo di ricorso nel cui contesto trovino formulazione, al tempo stesso, censure aventi ad oggetto violazione di legge e vizi della motivazione, ciò costituendo una negazione della regola di chiarezza posta dall’art. 366 – bis c.p.c. (nel senso che ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione) giacchè si affida alla Corte di cassazione il compito di enucleare dalla mescolanza dei motivi la parte concernente il vizio di motivazione, che invece deve avere una autonoma collocazione (Cass., ord. n. 9470/08; n. 18021/16). Il sedicesimo motivo è altresì inammissibile, in quanto la Ctr ha motivato chiaramente circa l’esclusione del beneficio di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 8, per cui la parte ricorrente ha chiesto, di fatto, un riesame del merito della causa, richiamando la dichiarazione integrativa che però non ha riprodotto nel ricorso.

L’ultimo motivo è inammissibile anche per difetto di autosufficienza, non avendo la ricorrente indicato e specificato il contenuto delle difese espresse nell’atto di costituzione nel giudizio d’appello, che sono state oggetto di pronuncia ai sensi dell’art. 346 c.p.c., essendo dunque precluso ogni esame al riguardo.

13. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso, condannando la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di Euro 13.500,00 per compensi oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 20 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2017

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