Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22115 del 13/10/2020

Cassazione civile sez. I, 13/10/2020, (ud. 28/09/2020, dep. 13/10/2020), n.22115

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 16696/19 proposto da:

-) S.S., elettivamente domiciliato a Macerata, Mameli n. 66,

presso l’avvocato Andrea Petracci che lo difende in virtù di

procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona 27.11.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28.9.2020 dal Consigliere relatore Dott. ROSSETTI Marco.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. S.S., cittadino senegalese, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione

internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento dell’istanza dedusse di avere lasciato il proprio Paese in quanto aderente ad una organizzazione politica avversata dal governo in carica, ed i cui membri iniziarono misteriosamente a sparire; e di avere quindi lasciato il Senegal per timore di subire la stessa sorte.

3. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento S.S. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 novembre2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Ancona, che la rigettò con ordinanza 17.2.2018.

Tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Ancona con sentenza 27.11.2018.

Quest’ultima ritenne che:

-) lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non potessero essere concessi perchè il racconto del richiedente era inattendibile;

-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non potesse essere concessa, perchè nel Paese d’origine del richiedente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

-) la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, non potesse essere concessa in quanto il richiedente non aveva allegato nè dimostrato specifiche circostanze idonee a qualificarlo come “persona vulnerabile”.

4. Il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da S.S. con ricorso fondato su cinque motivi.

Il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha reputato inattendibile il racconto posto a fondamento della domanda di protezione, senza peraltro attivare i propri poteri officiosi di indagine e cooperazione istruttoria.

Nella illustrazione del motivo si sostiene che la Corte d’appello ha reputato generico il racconto fatto dal richiedente asilo, senza tuttavia porgli alcuna domanda a chiarimento, in violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. b).

1.1. Il motivo è infondato.

La Corte d’appello ha ritenuto il richiedente inattendibile perchè il suo racconto era “privo di qualsiasi riferimento spaziale e temporale”. La lacuna riscontrata dalla Corte d’appello è così evidente, così macroscopica, così ingiustificabile, da legittimare – anche in virtù del principio della ragione più liquida – il giudizio di inattendibilità, senza bisogno di ulteriori approfondimenti.

Lo stabilire, poi, se davvero il racconto era o non era generico è questione di puro fatto, non sindacabile in questa sede.

2. Col secondo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per “motivazione errata”.

Deduce che la Corte d’appello avrebbe evaso l’onere della motivazione nel rigettare la domanda di asilo.

2.1. Il motivo è infondato.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo stabilito che una nullità della sentenza per vizio motivazionale può consistere solo “nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

Nessuna di tali ipotesi ricorre nel caso di specie: la Corte d’appello ha infatti rigettato le domande attoree sul presupposto della inattendibilità del richiedente; della insussistenza in Senegal d’una situazione di guerra, e della assenza di condizioni di vulnerabilità in capo al ricorrente: in tutti e tre i casi si tratta di una motivazione chiara e limpida, e niente affatto apparente.

3. Il terzo ed il quarto motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente.

Con ambedue questi motivi, infatti, il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato la domanda di protezione sussidiaria.

Sostiene che “la situazione nel Paese è diversa da quella erroneamente dipinta dalla corte anconetana”; che nella regione di sua provenienza esiste una situazione di conflitto armato; e che comunque il giudice di merito è venuto meno al dovere di cooperazione istruttoria imposto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 3.

3.1. Con riferimento all’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), i motivi sono infondati.

La ritenuta inattendibilità soggettiva del richiedente esonerava, infatti, il giudice da qualsiasi dovere di cooperazione istruttoria.

3.2. Con riferimento alle ipotesi di cui all’art. 14, lett. c), i motivi sono parimenti infondati.

La Corte d’appello ha indicato le fonti da cui ha tratto la conclusione che in Senegal non vi sia un guerra in atto, nè il ricorrente indica, nemmeno genericamente, a quali diverse conclusioni il giudice di merito sarebbe pervenuto se avesse esaminato altre fonti, nè indica quale avrebbero potuto essere le fonti “attendibili ed aggiornate” dimostrative della sussistenza di una situazione di violenza indiscriminata nella regione di sua provenienza.

4. Col quinto motivo il ricorrente censura il rigetto della sua domanda di protezione umanitaria. Deduce che su questo punto la sentenza d’appello sarebbe erronea perchè:

-) ha trascurato il motivo di impugnazione “inerente la provenienza del richiedente dalla Libia”;

-) ha trascurato di considerare che, in caso di rimpatrio, il suo diritto di libertà politica verrebbe compresso;

-) ha trascurato di dare rilievo alla circostanza dell'”ottimo inserimento” del ricorrente in Italia.

4.1. Il motivo è inammissibile in tutte le censure in cui si articola. Sebbene il ricorrente, nella intitolazione del motivo in esame, prospetti anche il vizio di violazione di legge, quello denunciato col quarto motivo di ricorso è un tipico vizio di omesso esame del fatto decisivo: ed infatti, come già detto, il ricorrente si duole della mancata considerazione, da parte del giudice di merito, del suo attraversamento della Libia, il quale è una circostanza di fatto; del suo inserimento in Italia, il quale è una circostanza di fatto; e dei rischi cui andrebbe incontro in caso di rimpatrio, i quali sono una circostanza di fatto.

Tutte e tre le censure sopra indicate, dunque, nella sostanza lamentano l’omesso esame di altrettanti fatti astrattamente decisivi: ma la possibilità di censurare nella presente sede l’omesso esame di fatti decisivi non consentita dall’art. 348 ter c.p.c., essendovi state nei gradi di merito due pronunce conformi.

5. Non è luogo a provvedere sulle spese, non avendo il Ministero dell’Interno svolto attività difensiva.

Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17) se dovuto.

PQM

La Corte di cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione civile della Corte di cassazione, il 28 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2020

 

 

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