Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22114 del 13/10/2020

Cassazione civile sez. I, 13/10/2020, (ud. 28/09/2020, dep. 13/10/2020), n.22114

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 16693/19 proposto da:

-) F.B., elettivamente domiciliato a Macerata, v. Goffredo

Mameli n. 66, presso l’avvocato Andrea Petracci che lo difende in

virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona 4.12.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28.9.2020 dal Consigliere relatore Dott. ROSSETTI Marco.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. F.B., cittadino della Guinea Bissau, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento dell’istanza dedusse di avere lasciato il proprio Paese per sfuggire alle persecuzioni e vessazioni di cui era vittima da parte degli appartenenti al gruppo etnico dei pular, rivale del gruppo di sua appartenenza (mandinka), ed in particolare da quelle di un suo vicino, col quale aveva avuto una lite per ragioni di vicinato, e dal quale era stato altresì aggredito e picchiato. Precisava che la polizia, cui si era rivolto cercando protezione, non volle aiutarlo perchè notoriamente “vicina ai pular”.

3. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento F.B. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Ancona, che la rigettò con ordinanza 13.2.2018.

Tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Ancona con sentenza 4.12.2018.

Quest’ultima ritenne che:

-) lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non potessero essere concessi sia perchè il racconto del richiedente era inattendibile, sia perchè comunque riguardavano una vicenda privata;

-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non potesse essere concessa, perchè nel Paese d’origine del richiedente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

– la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, non potesse essere concessa in quanto non sussisteva alcuna specifica circostanza idonee a qualificare il richiedente come “persona vulnerabile”.

4. Il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da F.B. con ricorso fondato su cinque motivi.

Il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha reputato inattendibile il racconto posto a fondamento della domanda di protezione, senza attivare i propri poteri officiosi di indagine e cooperazione istruttoria.

Nella illustrazione del motivo si sostiene che la Corte d’appello:

-) da un lato, avrebbe trascurato di esaminare alcuni aspetti del racconto;

-) dall’altro, avrebbe violato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, per non aver rispettato i criteri di formulazione del giudizio di attendibilità previsti da tale norma.

1.1. La prima delle suesposte censure è inammissibile ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., in quanto nei gradi di merito vi è stata una doppia pronuncia conforme.

1.2. La seconda censura è manifestamente inammissibile, in quanto il ricorrente, pur formalmente dichiarando di volere denunciare il vizio di violazione di legge, nella sostanza censura un tipico apprezzamento di fatto, e cioè il giudizio di inattendibilità del racconto fatto dall’odierno ricorrente. Nè il ricorrente, in violazione dell’onere richiesto a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., n. 4, indica mai, nell’illustrazione del motivo, sotto quale aspetto e per quale ragione la Corte d’appello avrebbe violato il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

2. Col secondo motivo il ricorrente denuncia la Corte d’appelloullità della sentenza per “motivazione errata”.

2.1. Il motivo è manifestamente inammissibile, perchè fa riferimento a fatti del tutto estranei al presente giudizio: in esso si fa infatti menzione d’una “persecuzione religiosa” e di persona espatriata dalla Nigeria, non dalla Guinea Bissau.

3. Col terzo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato la domanda di protezione sussidiaria.

Sostiene che “la situazione in Guinea Bissau è diversa da quella erroneamente dipinta dalla corte anconetana”, e che nella regione di sua provenienza esiste una situazione di conflitto armato.

3.1. Con riferimento alle ipotesi di cui all’art. 14, lett. a) e b), il motivo è infondato, in quanto la ritenuta inattendibilità del richiedente asilo esonerava la Corte d’appello da qualsiasi approfondimento istruttorio.

3.2. Con riferimento all’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il motivo è inammissibile perchè, nei termini in cui è formulato, non consente a questa Corte di stabilirne l’astratta rilevanza e, di conseguenza, di valutare se sussista l’interesse a proporlo, ai sensi dell’art. 100 c.p.c..

Il ricorrente, infatti, nell’illustrazione del motivo si limita a sostenere questo il nucleo della censura – che il Giudice di merito avrebbe malamente valutato la condizione della Guinea Bissau, e sarebbe perciò giunto alla erronea conclusione che in quel Paese non sia in atto un conflitto armato.

Tuttavia, se è vero che la mancata indicazione nella sentenza di merito delle COI utilizzate dal giudicante ai fini del decidere impedisce di stabilire se questi abbia rispettato D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, è altresì vero che questa, come qualsiasi altra violazione di legge, in tanto può condurre alla cassazione della sentenza impugnata, in quanto possa ragionevolmente presumersi che l’esito del giudizio sarebbe stato diverso, se il giudice avesse applicato correttamente la legge.

Pertanto chi intenda denunciare, in sede di legittimità, la violazione da parte del giudice di merito dell’obbligo di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per consentire a questa Corte di valutare la decisività della censura ha sempre l’onere di allegare che esistono COI aggiornate ed attendibili dimostrative dell’esistenza, nella regione di provenienza, di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato; di indicarne gli estremi; di riassumerne o trascriverne il contenuto, nei limiti strettamente necessari al fine di evidenziare che, se il giudice di merito ne avesse tenuto conto, l’esito della lite sarebbe stato diverso. In mancanza di questa allegazione il motivo va dichiarato inammissibile per difetto di rilevanza (rectius, per difettosa esposizione del requisito della decisività), dal momento che sarebbe impossibile stabilire se, in caso di regressione del processo alla fase di merito, esista l’astratta possibilità di un differente esito del giudizio.

Nel caso di specie il ricorrente sostiene che il giudice di merito ha immotivatamente escluso l’esistenza in Guinea Bissau d’un conflitto armato, ma non indica in alcun modo da quali fonti internazionali, attendibili ed aggiornate, dovrebbe risultare il contrario.

4. Col quarto motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8.

Sostiene che la Corte d’appello è venuta meno al dovere di cooperazione istruttoria, e non ha approfondito la effettiva situazione sociopolitica della Guinea Bissau.

4.1. Con riferimento alle domande di asilo e di protezione sussidiaria per l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), il motivo è inammissibile perchè irrilevante: ed infatti la ritenuta inattendibilità soggettiva del richiedente asilo esonerava la Corte d’appello dal dovere di cooperazione istruttoria.

Con riferimento alla domanda di protezione sussidiaria per l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il motivo è inammissibile per le medesime ragioni indicate al precedente p. 3.2.

5. Col quinto motivo il ricorrente censura il rigetto della sua domanda di protezione umanitaria. Deduce che su questo punto la sentenza d’appello sarebbe erronea perchè:

-) ha trascurato il motivo di impugnazione “inerente la provenienza del richiedente dalla Libia”;

-) ha trascurato di dare rilievo alla circostanza dell'”ottimo inserimento” del ricorrente in Italia;

-) ha trascurato di considerare che in caso di rimpatrio il ricorrente “andrebbe incontro a persecuzione”.

4.1. Il motivo è inammissibile in tutte le censure in cui si articola.

Sebbene il ricorrente, nella intitolazione del motivo in esame, prospetti anche il vizio di violazione di legge, quello denunciato col quarto motivo di ricorso è un tipico vizio di omesso esame del fatto decisivo: ed infatti, come già detto, il ricorrente si duole della mancata considerazione, da parte del giudice di merito, del suo attraversamento della Libia, il quale è una circostanza di fatto; e dei rischi cui andrebbe incontro in caso di rimpatrio, i quali sono una circostanza di fatto.

Tutte e tre le censure sopra indicate, dunque, nella sostanza lamentano l’omesso esame di altrettanti fatti astrattamente decisivi: ma la possibilità di censurare nella presente sede l’omesso esame di fatti decisivi non consentita dall’art. 348 ter c.p.c., essendovi state nei gradi di merito due pronunce conformi.

5. Non è luogo a provvedere sulle spese, non avendo il Ministero dell’Interno svolto attività difensiva.

Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), se dovuto.

PQM

La Corte di cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione civile della Corte di cassazione, il 28 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2020

 

 

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