Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22112 del 13/10/2020

Cassazione civile sez. I, 13/10/2020, (ud. 28/09/2020, dep. 13/10/2020), n.22112

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 16028/19 proposto da:

-) K.B., elettivamente domiciliato a Porto Sant’Elpidio, v.

Adige n. 113, presso l’avvocato Lara Petracci che lo difende in

virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

-) Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona 28.11.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28.9.2020 dal Consigliere relatore Dott. Rossetti Marco.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. K.B. (alias B.), cittadino gambiano, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento dell’istanza dedusse di avere lasciato il proprio Paese per timore di essere arrestato, in quanto accusato di avere violato una legge che imponeva di celebrare con preghiere una certa solennità religiosa in un certo giorno.

3. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento K.B. (alias B.) propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Ancona, che la rigettò con ordinanza 12.11.2017.

Tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Ancona con sentenza 28.11.2018.

Quest’ultima ritenne che:

-) lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non potessero essere concessi perchè il racconto del richiedente era inattendibile;

-) in ogni caso – con autonoma ratio decidendi – la Corte d’appello ha rilevato che i fatti narrati dal richiedente non evidenziavano alcuna persecuzione, ma solo un “generico timore di essere arrestato in caso di rientro”, timore non più attuale dopo il cambio di governo in Gambia;

-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non potesse essere concessa, perchè nel Paese d’origine del richiedente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

-) la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, non potesse essere concessa in quanto nel caso di specie “non risultano riscontrabili specifiche situazioni soggettive legate a una condizione di particolare vulnerabilità”.

4. Il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da K.B. (alias B.) con ricorso fondato su tre motivi.

Il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente lamenta la violazione, da parte della Corte d’appello, del dovere di cooperazione istruttoria di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, con riferimento a tutte e tre le forme di protezione richieste.

1.1. Con riferimento alle domande di asilo e di protezione sussidiaria per l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), il motivo è inammissibile perchè irrilevante: ed infatti la ritenuta inattendibilità soggettiva del richiedente asilo esonerava la Corte d’appello dal dovere di cooperazione istruttoria.

Infatti il c.d. dovere “di cooperazione istruttoria” non sorge ipso facto sol perchè il giudice di merito sia stato investito da una domanda di protezione internazionale, ma è subordinato alla circostanza che il richiedente sia stato in grado di fornire una versione dei fatti quanto meno coerente e plausibile.

Se manca questa attendibilità, non sorge quel dovere, poichè l’una è condizione dell’altro (Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 02; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 16925 del 27/06/2018, Rv. 649697 – 01). Questi principi sono già stati affermati da questa Corte, sia con riferimento all’ipotesi di richiesta di asilo, sia con riferimento all’ipotesi di richiesta di protezione sussidiaria giustificata dal rischio di morte o tortura, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. (a) e (b) (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 16925 del 27/06/2018, Rv. 649697 – 01).

1.2. Con riferimento alla domanda di protezione sussidiaria per l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il motivo è inammissibile. La Corte d’appello ha escluso la sussistenza di una guerra in Gambia, dichiarando che l’informazione è “consultabile sui siti governativi”, ed indicando una serie di circostanze di fatto a corredo della suddetta affermazione (p. 5, secondo capoverso, della sentenza impugnata).

La Corte d’appello dunque ha fornito una motivazione che dimostra l’avvenuta ricerca officiosa delle fonti di informazione: fonti che però non vengono indicate.

La Corte d’appello dunque non ha mancato di motivare la propria decisione, nè ha mancato di assolvere il dovere di cooperazione istruttoria: ha mancato, però, di indicare le fonti da cui ha tratto il proprio convincimento, così impedendo il necessario controllo sulla attendibilità e sull’aggiornamento delle fonti consultate.

Tuttavia, se è vero che la mancata indicazione nella sentenza di merito delle COI utilizzate dal giudicante ai fini del decidere impedisce di stabilire se questi abbia rispettato D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 è altresì vero che questa, come qualsiasi altra violazione di legge, in tanto può condurre alla cassazione della sentenza impugnata, in quanto possa ragionevolmente presumersi che l’esito del giudizio sarebbe stato diverso, se il giudice avesse applicato correttamente la legge.

Pertanto chi intenda denunciare, in sede di legittimità, la violazione da parte del giudice di merito dell’obbligo di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per consentire a questa Corte di valutare la decisività della censura ha sempre l’onere di allegare che esistono COI aggiornate ed attendibili dimostrative dell’esistenza, nella regione di provenienza, di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato; di indicarne gli estremi; di riassumerne o trascriverne il contenuto, nei limiti strettamente necessari al fine di evidenziare che, se il giudice di merito ne avesse tenuto conto, l’esito della lite sarebbe stato diverso. In mancanza di questa allegazione il motivo va dichiarato inammissibile per difetto di rilevanza (rectius, per difettosa esposizione del requisito della decisività), dal momento che sarebbe impossibile stabilire se, in caso di regressione del processo alla fase di merito, esista l’astratta possibilità di un differente esito del giudizio.

1.3. Nel caso di specie il ricorrente sostiene che il giudice di merito ha immotivatamente escluso l’esistenza in Gambia d’un conflitto armato, ma non indica in alcun modo da quali fonti internazionali, attendibili ed aggiornate, dovrebbe risultare il contrario. Si limita a richiamare (p. 14, primo capoverso, del ricorso) un rapporto dell’associazione Amnesty International, un rapporto dell’associazione “Human Right” ed un articolo di un quotidiano, senza però indicarne la data e riassumerne il contenuto, in violazione dell’onere richiesto a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., n. 6, (per come è stato costantemente interpretato da questa Corte).

Inoltre, quel che più rileva, è lo stesso ricorrente a riferire che nei suddetti documenti si fa menzione di “decessi, torture e maltrattamenti in carcere, sparizioni forzate e deduzioni arbitrarie”, e dunque non d’una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato.

Ma questa Corte ha già più volte affermato che la situazione di “violenza indiscriminata” di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non si identifica con mere turbative dell’ordine pubblico, oppure con la mera corruzione dell’apparato statale, o con la violazione dei diritti di libertà dei cittadini. Secondo la giurisprudenza di questa Corte la “violenza indiscriminata derivante da conflitto armato” richiesta dalla legge per la concessione della protezione sussidiaria sussiste solo quando il livello di violenza sia talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nella regione in questione, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno per il solo fatto di essere presente sul territorio: condizione oggettivamente non emergente dalle fonti invocate dal ricorrente, per come riassunte da lui stesso.

Da ultimo, non sarà superfluo ricordare che questa Corte ha già ripetutamente rigettato numerosi ricorsi avverso sentenze di merito le quali avevano ritenuto non sussistente in Gambia una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato (ex multis, da ultimo, Sez. L, Ordinanza n. 20245 del 25.9.2020; Sez. 2, Ordinanza n. 20121 del 24.9.2020; Sez. 2, Ordinanza n. 19963 del 23.9.2020; Sez. 1, Ordinanza n. 19878 del 22.9.2020).

2. Col secondo motivo il ricorrente impugna il capo di sentenza con cui è stata rigettata la sua domanda di protezione umanitaria.

Lamenta che tale domanda è stata rigettata con una motivazione solo apparente e stereotipata, la quale rende nulla la sentenza.

2.1. Il motivo è manifestamente inammissibile.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo stabilito che una nullità della sentenza per vizio motivazionale può consistere solo “nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

Nessuna di tali ipotesi ricorre nel caso di specie: la Corte d’appello ha infatti rigettato la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari dopo aver ritenuto inattendibile il richiedente, rilevando la “insussistenza nel caso in esame di specifiche situazioni soggettive legate una condizione di particolare vulnerabilità”.

Si tratta di una motivazione chiara e limpida, e niente affatto apparente.

Del resto la vulnerabilità soggettiva costituisce un presupposto di fatto del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari: e quando il giudice di merito ritiene indimostrato il fatto costitutivo della pretesa, nessun altro onere motivazionale ha, se non quello, per l’appunto, di dichiarare non provato il suddetto fatto.

3. Col terzo motivo il ricorrente impugna, sotto altro profilo, il rigetto della domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Sostiene che tale decisione è erronea perchè la Corte d’appello:

-) ha omesso di valutare la situazione personale in cui si trova il ricorrente;

-) ha omesso di valutare la situazione del paese di origine;

-) ha trascurato di acquisire informazioni attendibili ed aggiornate sul paese di provenienza;

-) ha trascurato di comparare la situazione raggiunta dal richiedente asilo in Italia, con quella del paese di origine.

3.1. Tutte le censure suddette sono inammissibili.

Essa, infatti, consistono nella denuncia di omesso esame d’altrettanti fatti ritenuti decisivi, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, poichè nel caso di specie nei gradi di merito vi è stata una doppia pronuncia conforme, le suddette censure sono inammissibili ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c..

Non sarà superfluo aggiungere che il ricorrente, con la motivazione questa sì – stereotipata, si duole del rigetto della domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari lamentando la violazione dei propri “diritti inviolabili”, senza mai, nemmeno nel ricorso per cassazione, spende una sola parola per indicare in cosa consisterebbe la sua situazione di vulnerabilità, nè quale o quali dei suoi diritti fondamentali verrebbero violati in caso di rimpatrio.

E va da sè che la “situazione di vulnerabilità” rilevante a tal fine non può essere ravvisata nella racconto posto a fondamento della sua domanda, giudicato dalla Corte d’appello inattendibile, nè nella sola circostanza di provenire da un determinato paese, dal momento che la protezione umanitaria è una misura che può fondarsi solo su circostanze personali e peculiari, e non sulla generica condizione del paese di provenienza.

4. Non è luogo a provvedere sulle spese, non avendo il Ministero dell’Interno svolto attività difensiva.

Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), se dovuto.

PQM

la Corte di cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione civile della Corte di cassazione, il 28 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2020

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